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Il G20 chiede nuovo sostegno alla crescita: “Useremo tutti gli strumenti”

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Brexit e crisi dei migranti sono i nuovi grandi timori che pesano sulla fragile ripresa, che “è sotto le previsioni”. Padoan: “Sì a spese per investimenti, se bilanci lo permettono”. Consapevolezza che i banchieri centrali da soli non possono dare la spinta alle economie in affanno. Promesse su maggior coordinamento per anticipare le crisi dei mercati

MILANO – Brexit e crisi dei rifugiati: sono due nuove paure a prendere la scena sul tavolo dei Grandi Paesi, che aggiornano così il catalogo delle loro preoccupazioni circa la fragile crescita economica, già minata dagli ormai vecchi spauracchi rappresentati dalla Cina e dalla volatilità sui mercati finanziari. Per questo, l’impegno che esce dal tavolo del G20 di Shanghai alla fine di due giorni di lavoro si concentra sulla necessità di fare di tutto per sostenere la crescita economica. Dal lato dei banchieri centrali, mantenere una politica monetaria ancora accomodante; a questa si accompagnerà la seconda stampella della flessibilità di bilancio per condurre di nuovo a una crescita equilibrata.

Sintetizzando il lavoro della due-giorni, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha spiegato che si è discusso sulle politiche necessarie per sostenere la domanda e si è aperto all’idea che “laddove ci sia spazio fiscale questo debba essere utilizzato per misure favorevoli alla crescita, ad esempio per spese per investimenti che sostengono sia la domanda sia la crescita di medio termine”. Insomma, un tasto sul quale l’Italia batte da tempo. Nel testo finale, anticipato dalle indiscrezioni filtrate fin dalla notte italiana, i paesi del G20 dicono di usare “tutti gli strumenti di politica” possibili, inclusi quelli monetari, fiscali e strutturali, per irrobustire la fiducia economica e “rafforzare la ripresa”. Le prime 20 economie del mondo metteranno in atto tutte le politiche “sia in misura individuale sia collettiva”, si legge nel comunicato, alla luce del fatto che la crescita globale è “irregolare e inferiore alle nostre ambizioni”.

Sul lato della politica monetaria, il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha sì rimarcato che “le misure della Bce non sono affatto al capolinea”, alimentando le aspettative per la riunione del 10 marzo nella quale Mario Draghi dovrebbe annunciare una revisione del piano d’acquisto di titoli di Stato. Ma il numero uno di via Nazionale ha anche preso atto del fatto che “il messaggio alla fine è di rischi verso il basso e di crescita che continua a essere molto ragionevole. Il problema è come mantenerla”. In ogni caso, per Visco non c’è il rischio di bolle sui mercati perché “il sistema è più forte”. Sempre scettico il collega tedesco Jens Weidmann, che non ha mancato l’occasione per sottolineare che la “Bce non è la panacea” di tutti i mali dell’economia globale.

Dopo i chiari di luna dei listini e i deflussi massicci di capitali dalla Cina e dai mercati emergenti, i ministri finanziari delle maggiori economie mondiali si dicono d’accordo sul “consultarsi rapidamente” e da vicino su quanto accade sui mercati valutari, lanciando per tempo gli allarmi sulla volatilità che può danneggiare la stabilità economica. Promesse sono arrivate anche sulla volontà di monitorare da vicino i flussi dei capitali per anticipare i possibili shock, mentre torna l’invito a non usare svalutazioni competitive della moneta (che suona particolarmente forte all’orecchio dei padroni di casa cinesi, anche se non c’è alcun diretto riferimento alle problematiche inerenti al rallentamento di Pechino e al cambio di politica economica del colosso asiatico).

Come detto, a questi aspetti finanziari si sommano i nuovi fattori di tensione. Una eventuale Brexit (l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue a seguito di referendum) è uno dei potenziali shock che pesano sull’economia mondiale, riconosciuto – in accordo con le bozze anticipate da Bloomberg – nel comunicato finale dei leader: si tratta di una vittoria del governo britannico, capace di far schierare così tutto il mondo a favore di una permanenza nell’Unione da parte di Londra. Sul punto, Padoan ha specificato che “è considerata, ove dovesse portare – e mi auguro vivamente di no – a una uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, uno choc che classifichiamo sotto il titolo di choc geopolitico importante, quindi negativo”. Alla Brexit, poi, si affianca la crisi dei migranti.

Insomma, non mancano i punti di preoccupazione. Soltanto all’apertura dei lavori, d’altra parte, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico aveva messo in guardia sulla frenata della ripresa globale. Il messaggio dell’Ocse ai politici è stato più forte quando si è trattato di sottolineare la preoccupazione per la pausa nel processi di riforma rispetto a quanto osservato nella stagione 2013-2014: sia nelle economie avanzate che in quelle emergenti l’ammodernamento degli Stati ha subito un contraccolpo, l’anno scorso. Per Roma, ha garantito Padoan: “L’Italia ha fatto molti progressi nell’agenda strutturale ma resta ancora molto da fare” ma “è ovvio che l’agenda delle riforme strutturali non si deve fermare, né in termini di implementazione né di elementi nuovi da aggiungere. Il debito è elevato e va abbattuto, perché un debito elevato che continua a crescere è elemento di fragilità” ma il debito italiano “comincerà a scendere, è elevato ma diminuirà”.

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