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Castellammare di Stabia

Il Cdm autorizza il Salva Sicilia. Un manifesto per non ripetere gli anni passati

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Dopo una giornata di trattative, il Consiglio dei ministri, alla presenza del governatore Musumeci, ha dato il via libera al decreto Salva Sicilia.

Il Consiglio dei ministri ha autorizzato il decreto legislativo ‘Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Siciliana in materia di armonizzazione dei sistemi contabili, dei conti giudiziali e dei controlli. Le soluzioni normative individuate saranno utili alla Regione Sicilia per ripianare il disavanzo di amministrazione, e le quote di disavanzo non recuperate, in un periodo di 10 anni.

Inizialmente la norma salva Sicilia sembrava ormai saltata. Italia Viva, con i deputati Luigi Marattin e Davide Faraone, aveva impallinato l’accordo raggiunto per consentire alla Sicilia di spalmare in dieci anni il disavanzo da 2,2 miliardi di euro. “Nessuna deroga a chi non ha rispettato le regole”, diceva Marattin. “Nessuna cambiale in bianco a Musumeci”, aggiungeva Faraone. Ma dopo una giornata di trattive, in serata il Consiglio dei ministri alla presenza del governatore Musumeci ha dato il via libera al decreto Salva Sicilia.

In sostanza la Regione, in cambio della spalmatura del disavanzo in dieci anni, dovrà concordare con Roma un piano di riforme per ridurre la spesa. Ora i successivi passaggi saranno la riunione della giunta Musumeci e la discussione in commissione e in aula all’Ars. Rendiconto, assestamento tecnico e spalmatura dei debiti dovrebbero arrivare a Sala d’Ercole negli ultimi giorni dell’anno.

“La regione autonoma siciliana e i siciliani avevano il diritto di una risposta dello Stato e la risposta e arrivata con impegni reciproci chiari. Si fa così tra persone serie che rappresentano le istituzioni indipendentemente dai colori politici di appartenenza” dice ministro per gli Affari Regionali Francesco Boccia commenta il via libera del Cdm al decreto legislativo per il rientro dei disavanzo della Regione.

“L’intesa col governo Conte – dice Nello Musumeci Presidente della Regione Siciliana – ci consente di proseguire nell’azione di risanamento, avviata già due anni fa, e di contenimento della spesa, tanto che non abbiamo contratto alcun debito sin dal momento dell’insediamento. Anzi, abbiamo ridotto l’indebitamento di ben settecento milioni di euro, rispetto agli otto miliardi che abbiamo trovato. Eviteremo così di effettuare tagli pesanti, che graverebbero sulle fasce più deboli della popolazione”.

Dal canto suo, l’Assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, ha sottolineato che “entro novanta giorni sarà definito con lo Stato un accordo che contenga le prescrizioni richieste dal governo nazionale, ma soprattutto chiuda definitivamente le intese sull’autonomia finanziaria regionale”.

“Grazie alla norma del governo Conte bis, che consente di spalmare il disavanzo 2018 in 10 anni, la Regione è salva da sicuro default. Non possiamo fare a meno, assieme a tutti i siciliani, di tirare un grosso sospiro di sollievo, ma ora la Regione non ha più scuse, deve iniziare quel cammino virtuoso che chiediamo da sempre e consenta di ridurre il disavanzo già dal prossimo anno” dicono i deputati del Movimento 5 stelle all’Ars che con una mini delegazione (composta dai deputati della commissione Bilancio di Palazzo dei Normanni, Luigi Sunseri e Sergio Tancredi) oggi hanno incontrato, insieme al viceministro delle infrastrutture e trasporti Giancarlo Cancelleri, il premier Conte a Roma per perorare la causa Sicilia.

Soddisfatto il sottosegretario Alessio Villarosa dei 5 stelle “Non oso neanche immaginare senza questa norma quali conseguenze disastrose potrebbero verificarsi in futuro anche sul bilancio dello Stato Italiano. Sono veramente soddisfatto dell’obiettivo raggiunto per per la Sicilia e per l’Italia. Una vittoria che rappresenta la giusta gratifica di tutto il mio impegno, politico ed istituzionale, svolto finora, nonchè, un ottimo punto di ri-partenza per migliorare il futuro della Regione Sicilia dalle ottime potenzialità”

“Grazie al senso di responsabilità del governo nazionale, la Regione Siciliana potrà ripianare in dieci anni il maggiore disavanzo relativo al rendiconto 2018, evitando pesanti tagli a carico dei settori produttivi, dei servizi ai cittadini e dei Comuni” dice Giuseppe Lupo, capogruppo del Pd all’Ars “Adesso il governo Musumeci definisca un programma di riforme per rilanciare l’economia e l’occupazione così come richiesto dal governo nazionale”.

“Sulla vicenda della norma relativa alla regione siciliana, abbiamo raggiunto l’obiettivo: alla misura di favore per la regione (la possibilità di spalmare il disavanzo su 10 anni) si è aggiunta la nostra proposta, accolta integralmente – dice Marattin in serata –  cioè di affiancare precisi obblighi di riduzione della spesa corrente che dovranno prendere corpo nei prossimi 90 giorni, altrimenti il periodo entro cui il disavanzo potrà essere spalmato tornerà a 3 anni”.

“Bene il testo approvato in Cdm, soddisfatti del recepimento delle nostre proposte. Ora Musumeci faccia le riforme che servono alla Sicilia, siamo stanchi del suo immobilismo” dice il presidente dei senatori di Italia Viva, Faraone.

“Esprimo soddisfazione per l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del provvedimento ‘Salva-Sicilia’. Adesso il presidente Musumeci ha 90 giorni di tempo per presentare un piano di riforme strutturali da approvare così come avevamo detto. Non ci sono più alibi e più scuse adesso. E’ giunto il momento di mettersi a lavoro” afferma il parlamentare regionale di Italia Viva, Luca Sammartino.

L’opinione.

Tutte le ‘forze politiche’ sopracitate e anche quelle non nominate, presenti e passate, hanno una grande responsabilità etica: non avere ad oggi istituito uno strumento normativo che consenta al cittadino di incidere forzosamente, senza costi e lungaggini, nella legittima e democratica vigilanza sull’operato politico e amministrativo degli Enti Locali e Città metropolitane. Implicitamente ciò si rifletterebbe anche sulle scelte politico-amministrative delle Regioni e quindi dello Stato, in quanto, a certo deviato e annoso trasversale sistema, verrebbe meno il totale controllo elettorale-clientelare e pure assoggettante dei territori. Da queste pagine, anche in dibattiti e incontri con parlamentari, si è più volte sollecitato il rispristino del Co.Re.Co rimosso nel 2001 con la normativa sul decentramento amministrativo e a seguito della quale, di tutta evidenza e notorietà con altrettanta dissimulazione, è scaturita la più grande mangiatoia e spartizione legalizzate politico-istituzionale-giuridica-burocratica-professionale-sindacale-imprenditoriale-sociale e pure mafiosa, che forse sia mai stata (reciprocamente) attuata in Italia (e in Sicilia). D’altra parte i conseguenziali gravi danni socio-economici sono ora sotto gli occhi di chi può e vuole vedere. Il resto appare retorica, specialmente mediatica e luminare, nonché ipocrisia e teatrino per accaparrarsi voti. La nostra Democrazia, ove il cittadino, per assenza di legge, non conta nulla e non può fare niente, è di fatto mistificata. D’altronde quanti cittadini sanno concretamente ciò che si delibera e si determina nel proprio Comune o Città metropolitana ? Di certo pochissimi. Ma poiché negli anni (non a caso) è stata veicolata una cultura contraria che incita solo a manifestazioni, spettacoli, eventi, flashmob, selfie, ecc. (insomma a “farsi i fatti propri” come se poi le scelte politiche non condizionassero l’esistenza individuale e collettiva) e soprattutto in quanto a sapere cosa accade nei territoriali Palazzi giova solo ad avvilirsi essendo poi il cittadino forzosamente impotente.

Questo di seguito è un sintetico manifesto contro corruzione, spartizione, sperperi, sprechi, manciugghia e ingordigia, che da queste pagine si ribadisce sempre in articoli e ovunque:

  • Abbattere la corruzione nei Comuni e Città metropolitane sarebbe già metà della ripresa nazionale sociale ed economica. Per fare questo si dovrebbero ripristinare gli organi di controllo (come il Co.Re.Co, Comitato regionale di controllo e la Commissione Provinciale di controllo) ma con criteri inoppugnabili di rotazione e composti con anche nuove figure, quali un Magistrato (all’origine della norma era previsto e si ritiene più idoneo di avvocati, poiché sarebbe di certo maggiormente arduo, anche per le mafie, interferire) e due Ufficiali rispettivamente della Guardia di Finanza e dei Carabinieri, però tutti quanto meno provenienti da regioni diverse e neppure limitrofe a quella in cui opererebbero. Sull’onda di fine anni ’90, con il mantra del federalismo e decentramento, fu varata la riforma del Titolo V della Costituzione che è entrata in vigore l’8 novembre 2001 dopo un lungo iter normativo. Il Senato, con deliberazione adottata l’8 Marzo 2001 (Governo Amato II) ha approvato la Legge Costituzionale n. 3/2001, cosiddetta riforma Titolo V della Costituzione, artt. 114–132, con cui si disciplinano le autonomie locali. All’epoca, si giunse all’approvazione con una maggioranza inferiore a quella richiesta (maggioranza qualificata dei due terzi dei membri delle Camere) e per questo tale legge è stata sottoposta a referendum confermativo il 7 ottobre 2001 (Governo Berlusconi 2), il quale si è concluso con esito favorevole all’approvazione della legge con il 64% dei votanti che si è espresso per il sì, così entrando in vigore il mese successivo. Nessuno da quel momento controllò più le delibere e gli atti dei Comuni. In una dichiarazione del 2016, il Procuratore Capo di Catanzaro dr. Gratteri, individuava uno dei motivi per cui i Comuni sono spesso in mano alla corruzione e alla criminalità <<La riforma Bassanini è stata un grande, anche se involontario, favore alle mafie, perché ha tolto il CORECO (Comitato Regionale di Controllo). Un sindaco solo davanti al mafioso che va lì e gli dice «No questa delibera deve passare.» il primo cittadino cosa risponde «Guarda che è inutile che la facciamo perché tanto il CORECO la boccia». Oggi non c’è nemmeno quello”. Ha dichiarato Gratteri in un’altra fase dell’incontro. “Quando il capomafia concorre a votare il sindaco, perché la cosa terribile per i politici solo le ultime 48 ore quando hanno paura di non essere eletti, fanno patti con il diavolo. Bisognerebbe incatenare i candidati gli ultimi tre giorni per non farli andare nelle case dei capimafia. – afferma il magistrato che prosegue – Oggi rispetto a venti anni fa sono loro che vanno a casa dei mafiosi a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti perché la mafia è più credibile di loro. Trenta quaranta anni fa era il contrario: era il boss che andava dal politico a chiedere il posto per la nuora, o di non far fare la leva al figlio>>. Occorre quindi urgente questo Organo amministrativo intermedio, tra la società e il Tar, che esamini le delibere, determine, ecc. degli Enti e al quale (assumendosene le responsabilità nel caso di dichiarazioni mendaci) il cittadino o il consigliere di minoranza possa segnalare in modo celere, non costoso e semplice, le note storture in tanti Enti. Questi sono suggerimenti da annose esperienze dirette e indirette da trincea.
  • La legge 97/2016 sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione, che in buona parte è una discreta norma, ma di tutta evidenza deliberatamente inefficace, in quanto sostanzialmente solo propositiva e pertanto incompleta poiché non contempla pene e sanzioni. Mancano infatti le immediate conseguenze a carico dell’amministrazione inadempiente, opaca, se non anche omertosa, reticente persino a volte mafiosa. Il comune cittadino infatti, dopo che ha messo in luce le locali irregolarità, non può e non dovrebbe, in una Nazione civile, democratica e repubblicana, doversi esporre a costosi ricorsi e spese legali, oltre a diverse conseguenze a cui potrebbe andare incontro con anche ritorsioni trasversali verso la propria famiglia.
  • Va abolito il limite dei 15 mila abitanti previsto dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016 per cui i rispettivi amministratori non devono rendere noti i loro redditi e quelli dei propri parenti diretti (una norma che favorisce anche la mafia). A seguito del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 «Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) nell’adunanza dell’8 marzo 2017 ha approvato in via definitiva la delibera n. 241 «Linee guida recanti indicazioni sull’attuazione dell’art. 14 del d.lgs. 33/2013 «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali» come modificato dall’art. 13 del d.lgs. 97/2016» che ne dispone la pubblicazione sul sito istituzionale dell’ANAC e sulla Gazzetta Ufficiale e in cui si dice “Comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti … nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, i titolari di incarichi politici, nonché i loro coniugi non separati e parenti entro il secondo grado non sono tenuti alla pubblicazione dei dati di cui all’art. 14, co. 1, lett. f), ovverosia dichiarazioni reddituali e patrimoniali.
  • Associazionismo preda del clientelismo. Una norma (che di solito non viene rispettata e guarda caso non ci sarebbero neanche verifiche) obbliga tutte le forme associative che ricevono contributi pubblici di divulgare su un sito aperto, pertanto non chiuso ai soli iscritti, tutte le rispettive informazioni sui fondi ricevuti. La legge n.124 del 4 agosto 2017, ai commi 125 e 129, fa infatti obbligo di trasparenza sui contributi percepiti. Ed entro il 28 febbraio del 2018 e successivamente ogni anno, tutte le associazioni, onlus, pro loco e fondazioni destinatarie nell’anno precedente di contributi superiori a 10mila euro erogati da Amministrazioni pubbliche e da società partecipate, hanno l’obbligo di pubblicare sui siti web le informazioni relative a sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e a vantaggi economici di qualunque genere ricevuti l’anno precedente. L’inosservanza dell’obbligo comporta la restituzione delle somme ai soggetti eroganti. Sono conseguentemente esonerati da tale obbligo le Associazioni che ricevono – sovvenzioni, contributi, incarichi retribuiti e vantaggi economici – inferiori a 10mila euro. Si deve, invece e sollecitamente in tutta Italia, ridurre dai dieci mila ad almeno 1000 euro, l’obbligo, per qualsiasi associazione che riceve fondi pubblici, di rendicontare pubblicamente su un proprio sito o pagina Facebook. E nel caso di inadempienza, non solo comminare la restituzione delle somme, ma anche escludere l’associazione e similare, da ogni futuro rapporto con il sistema pubblico. Così certa trasversale clientelare politica perderebbe di certo parte del consenso di tutta evidenza comprato con i soldi dei contribuenti stante che notoriamente molto associazionismo sono forme implicite di distribuzione di soldi pubblici per finanziare politici, liste elettorali, partiti e rispettivi seguiti. Si distingue in Italia per trasparenza nell’associazionismo solo il Veneto, nella cui Regione le Organizzazioni di Volontariato (L. 266/91) e le Associazioni di Promozione Sociale (L. 383/00) ed iscritte al Registro Regionale sono sempre tenute, sulla base della L.R. n. 30 del 30 dicembre 2016, a pubblicizzare i contributi ricevuti da Enti pubblici, indipendentemente dal loro importo. All’obbligo si assolve nel Veneto, compilando un apposito schema e attraverso la sua pubblicazione sul rispettivo sito internet dell’associazione, onlus, ecc.

a href="https://vivicentro.it/author/sebaddu/">Adduso Sebastiano

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