Un’immagine del film “Felicia Impastato” (ansa)
QUI non si parla di ascolti, di competizione fra emittenti televisive, di chi sia più bravo a fare il suo mestiere di “professionista della tv”.
Sebbene si parli di una serata nella quale, in tv, andavano in onda l’esordio della nuova
stagione di Gomorra e il film su
Felicia Impastato, entrambi molto attesi, qui non si parla di chi abbia vinto la battaglia dell’audience — argomento interessante soprattutto per gli inserzionisti pubblicitari che devono vendere i loro prodotti laddove ci sono più occhi che guardano.
Vorrei dire interessante solo per gli inserzionisti, ma poiché dal denaro discendono moltissime decisioni, quasi tutte, il verdetto degli ascolti finisce per essere il giudice di cosa vale (la pena) e cosa no. Per cui il committente — l’editore, l’emittente tv — quasi sempre chiede che si “faccia un prodotto” che “offra al cliente quello che vuole”. Al pubblico cliente. Un prodotto che somigli ad un altro che ha già avuto successo.
Per chi non debba vendere nulla, la maggior parte dei telespettatori, il tema degli ascolti non ha nessuna importanza: quel che conta, per chi guarda, è che ciò che vede lo interessi, lo appassioni, lo ri-guardi. É la tv che guarda te, diceva un vecchio libro. Ci si guarda a vicenda. Allora, oggi che la storia di Felicia Impastato — madre di Peppino, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 come Aldo Moro — ha tenuto davanti alla televisione quasi 7 milioni di persone si può forse approfittare della felice coincidenza fra ascolti molto alti e storia molto bella per fermarsi un momento e osservare cosa succede. Forse si può rovesciare la formula consueta. Forse non è necessario inseguire la domanda per avere successo: esiste la possibilità di suscitare la domanda. Non dare al pubblico quello che vuole ma dargli quello che ancora non sa di volere. Magari, quando vede che c’è, poi lo vuole. Bisogna rischiare un po’. Avere coraggio. Provare. Investire nelle idee e pazienza se non sempre è “un successo di pubblico”. A volte lo è. Imprevedibilmente, si dice dopo: a sorpresa. Ma sorpresa per chi? E da cosa dipende?
La storia di Felicia Impastato (quella di suo figlio Peppino era stata magistralmente raccontata 16 anni fa ne “I cento passi” da Marco Tullio Giordana) vede qui protagonista una donna anziana che difende la memoria del figlio da accuse ingiuste, da false verità istituzionali e depistaggi, dall’omertà e la vischiosità di un sistema sordo quando non complice. È — tolta da Cinisi, Sicilia, tolta dalla tragedia dell’omicidio — la storia quotidiana dei mille soprusi che ciascuno deve subire ogni giorno nella sua vita. La vittoria di una donna sola contro tutti. Quella che tanto spesso si perde, e che diventa epica quando qualcuno la vince. Ti ri-conosci. Però in tv, come al cinema, non sono questi gli ingredienti che un produttore approverebbe, in bianco, prima di iniziare: non servono una donna anziana ma una giovane bellissima, non il principio di giustizia ma quello di opportunità. In Gomorra per esempio, leggiamo da giorni e di nuovo vediamo adesso, non c’è il bene in lotta contro il male, per dirla facile, ma solo la grande epica del male. Tutto è corrotto, tutto diversamente nero. Tutti sono rapidi, spietati, pronti a piegarsi a quel che conviene. Anche questo, nella realtà, è spesso vero. I moderni eroi sono coloro che sopravvivono. Non reduci da una sconfitta, ma campioni della battaglia. Hunger games. Perciò i nuovi format tv — dove fin dalla parola la forma prevale sul contenuto — sono un profluvio di crimini e suburre, storie che somigliano ogni volta di più alla finzione precedente nella speranza di replicarla, superarla. Come quando un editore chiede ad un autore un libro che somigli aCinquanta sfumature, o un noir stile Camilleri. Pazienza per il libro che non somiglia a nessun altro e che magari si pubblica in Francia, in Svezia: lo compreremo dopo, se funziona. Compreremo il format della serie tv.
I
l successo di Felicia Impastato interpretata con bravura da Lunetta Savino mostra tuttavia che quando al pubblico si propone qualcosa che non sapeva, qualcosa di profondamente autentico — ecco, anche questo “funziona”. Ogni tanto succede, in tv. Storie come quelle di Franco Basaglia, di Maria Montessori, delle sindache del Sud abbandonate dalla politica dei partiti e dallo Stato (non bisogna andare tanto lontano, succede tutto attorno, nelle cronache ogni giorno) “funzionano”. Forti di questo risultato si potrebbe avere ancora un po’ più di coraggio. E per esempio raccontarle tutte, le storie, semplificarle meno. Le luci e le ombre, la complessità. Nel caso di Felicia Impastato, per esempio: nessuno tra i telespettatori si sarebbe offeso se della tenacia di Rocco Chinnici, magistrato ucciso cinque anni dopo, del lavoro del pool antimafia da lui ideato e del sistema della giustizia com’è stata in quei vent’anni si fosse detto qualcosa di più preciso. Le opacità, i doppi fondi. La retorica è sempre un nemico, quando si racconta. Non c’è luce senza ombra né coraggio senza paura, gli eroi lo sanno. Tra Felicia Impastato e Gomorra esistono migliaia di tonalità di grigio e migliaia di storie da scrivere, da raccontare. Sette milioni di ascoltatori da una parte, su RaiUno — tv pubblica — un milione dall’altra, sulla pay Sky Atlantic, il miglior debutto di sempre. Molti brindisi negli uffici e bravi tutti: magari qualcuno si sarà detto che, hai visto, la tv può anche raccontare qualcosa di autentico — non un reality, no. Qualcosa di vero. Persino di più, persino meglio. Non servono architetti e ingegneri per costruire Brasilia: quelli dopo. Prima serve Niemeyer, qualcuno che veda una città e i suoi abitanti quando ancora non ci sono.
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