Per gli aggressori di Arturo non c’è stata ancora nessuna punizione, nessun mea culpa. Tutto, per loro, si è messo in positivo. Hanno incassato la moneta più pregiata: la protezione del proprio territorio. Non solo delle rispettive famiglie, ma anche degli amici del quartiere, del sistema di relazioni che ora li protegge, li accudisce, li controlla. Eccoli i quattro responsabili del tentato omicidio di Arturo. Sanno che ce l’hanno fatta, sanno che devono aspettare che passi la bufera. Hanno buttato via i coltelli, mentre i loro genitori li hanno aiutati a eliminare tracce di sangue o indizi difficili da giustificare dinanzi a un magistrato. Niente cellulari, niente armi, evitare di stare ancora in mezzo alla strada per un po’.
Protetti, accuditi, come se non fosse accaduto niente di grave, «in fondo non volevano uccidere nessuno…», hanno ripetuto i loro protettori. Che fanno ragionamenti di questo tipo: in fondo, quello era grosso, loro erano più piccoli e se esci con un coltello in tasca, che fai non lo usi? «Bestie» protette da genitori e amici, che ora si sentono già fuori dal rischio, perché a distanza di cinque giorni dall’aggressione di Arturo nessuno è stato arrestato, nessuno è finito allo «scoglio».Voci e strategie percepite in queste ore da chi sta provando a dare un nome agli aggressori del ragazzo, ricostruzioni che possono essere ricondotte a uno dei tanti investigatori che in questi giorni sta cercando di arrestare gli aggressori di un ragazzo inerme.
Lunedì il ferimento di Arturo, con una ventina di coltellate che hanno raggiunto il 17enne al polmone e alla gola, martedì un primo possibile passo falso delle indagini: come è noto sono stati condotti in Questura quattro ragazzini, che sono stati rilasciati in quanto – secondo una nota del Questore – non sono emersi nei loro confronti elementi utili a stabilirne la colpevolezza. Due giorni fa, una possibile svolta delle indagini: Arturo è stato ascoltato dagli inquirenti, ha fornito elementi ritenuti utili. Facile immaginare che non ci sono riconoscimenti diretti, di quelli a senso unico e in grado di giustificare un fermo di polizia. Ma il racconto del 17enne viene comunque ritenuto decisivo per inquadrare l’episodio accaduto lunedì pomeriggio in quel di via Foria. Un’aggressione gratuita, non una rapina. Un’azione violenta e fine a se stessa, che aveva un solo obiettivo: quello di consentire ai quattro criminali in erba di sfoderare i coltelli che avevano in tasca, insomma, di creare un pretesto per scatenare il sangue. Ed è stato lo stesso Arturo a farlo capire agli inquirenti: «Stavo andando dal dottore, mi hanno chiamato e fermato con un pretesto, poi mi hanno circondato e aggredito. Non so cosa avrei potuto fare per evitare di finire in queste condizioni».
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a chi sono gli aggressori di Arturo? Balordi, figli di soggetti con precedenti penali, espressioni di famiglie disgregate. Presidiano la zona, si muovono tra la caserma Garibaldi e le panchine di piazza Cavour, in altre occasioni li puoi incontrare all’altezza di via Carbonara o via Rosaroll. Danno fastidio, si divertono a prendere di mira donne, ragazzi perbene, studenti. Negli ultimi tempi sono passati dalle mazze, dalle spranghe artigianali, ai coltelli. Le lame, dunque. Armi da usare prima o poi, che vanno puntate alle gola, non più solo alle gambe, secondo un modo di fare che si sta diffondendo anche in altre zone della città. E non è la prima volta che sono protagonisti di fatti del genere. Fanno parte di un gruppetto fluido, composto anche da altri soggetti più grandi e già segnalati alle forze dell’ordine. Rissosi, aggressivi.
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