Oggi iniziano le consultazioni per il dopo Renzi, un tour de force per il presidente della Repubblica che ha in agenda 25 incontri in due giorni. Nei piani di Renzi c’è un congresso immediato che consenta di ripensare il Pd.
Mattarella-Renzi, torna il sereno, via alle consultazioni al Quirinale
Oggi inizia il tour de force del Presidente della Repubblica: 25 colloqui in 48 ore. La giornata chiave è sabato: Guerini e Orfini guideranno la delegazione del Pd
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OMA – Il lungo addio di Renzi si è consumato ieri alle 19, dopo la terza visita al Colle. Si è presentato davanti alle telecamere Ugo Zampetti, segretario generale del Quirinale, e ha letto il comunicato che chiude questa pagina di storia italiana: le dimissioni del premier accettate «con riserva», dopo aver preso atto del voto in mattinata sulla legge di stabilità. Renzi resterà a Palazzo Chigi «per gli affari correnti» fintanto che Mattarella non avrà individuato il suo successore. La caccia inizierà stasera con le consultazioni iniziando da Grasso, presidente del Senato, proprio lui che molti vedrebbero su misura per guidare un «governo istituzionale». Poi Boldrini e quindi Napolitano, nella sua veste di Presidente «emerito».
Da domani mattina una estenuante maratona di colloqui, ben 25 nell’arco di due giorni che Mattarella si sobbarcherà con lo scrupolo di non lasciare fuori nessuno, nemmeno quell’Unione Sudamericana Emigrati Italiani di cui alzi la mano chi conosceva l’esistenza. Unica peculiarità: i partiti piccoli avranno 20 minuti per esprimersi; mezz’ora le forze intermedie tipo Fratelli d’Italia, Lega o Ap; un’ora intera i tre gruppi che più contano nel cerimoniale quirinalizio, cioè Forza Italia, M5S e Pd. Lo schema sembra quello solito delle 62 crisi di governo in settant’anni di Repubblica, eppure dietro questo «tour de force» si può leggere una logica politica: arrivare sabato pomeriggio all’ultimo colloquio, con la delegazione Democratica, avendo chiaro se la strada del governo con tutti dentro, del grande «embrassons-nous» è praticabile o meno. E da lì passare oltre.
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Clima «disteso»
L’aspetto curioso è che di quella folta delegazione Pd non farà parte Renzi, ma i due capigruppo, un vicesegretario (Guerini) e il presidente del partito (Orfini). Sgarberia gratuita verso il Capo dello Stato? Neanche per sogno, assicurano sul Colle, questa è la prassi, Mattarella non se l’è presa affatto, e comunque a lui interessa la sostanza. Che invece è buona, soprattutto dopo la conversazione serale con Renzi: quaranta minuti, di cui già le prime battute sono state sufficienti a dissipare le tensioni del giorno prima. S’è chiarito che il Presidente non ce l’aveva con nessuno in particolare quando aveva bloccato la corsa precipitosa alle urne, e in ogni caso non aveva in mente soltanto il premier perché lo slogan «elezioni subito» accomuna tutte le opposizioni (addirittura Salvini annuncia una manifestazione di piazza il 17 dicembre). A sua volta Renzi ha preso atto che sono solo seminatori di zizzania quanti gli sussurrano nell’orecchio che Mattarella trama con i suoi concorrenti interni del Pd, per cucinarlo con vecchia tecnica democristiana.
Ordinatamente al voto
Ristabilito il sereno, il Presidente ha toccato con mano che i margini di soluzione della crisi non sono più così stretti come si poteva temere. L’atteggiamento di Renzi viene definito «aperto» da quanti sono al corrente del colloquio. Nessuna richiesta perentoria di correre a rotta di collo verso le elezioni anticipate, prima ancora che la Corte costituzionale abbia chiarito con quale legge voteremo. E a questo proposito si infittiscono le voci secondo cui la Consulta, quando si pronuncerà il 24 gennaio, potrebbe porre il Parlamento dinanzi all’urgenza di coordinare i sistemi elettorali della Camera e del Senato, che oggi fanno a pugni. In quel caso si renderebbe necessaria una legge apposita, impossibile dunque mettere scadenze. Insomma: se nelle consultazioni matureranno le larghe intese, da lunedì Mattarella si muoverà lungo questa pista. Altrimenti potrà cercare un candidato nel mondo renziano, qualcuno di cui Matteo non tema i colpi bassi, per un governo che si muova nella cornice della maggioranza attuale (nel voto di fiducia a Palazzo Madama si è confermata tale con 173 voti contro 108). Tramonta l’ipotesi di un reincarico a Renzi stesso, contro cui l’opposizione già faceva rullare i tamburi minacciando risposte forti in Parlamento e nel paese. A quanto pare, non ci sarà bisogno.
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