Al convegno sul fisco, organizzato dalla Guardia di Finanza ad Ostia, è stato presentato il nuovo manuale operativo per il contrasto all’evasione fiscale.
“Un vero e proprio ‘manuale operativo’ per approfondire tutti gli aspetti dell’azione di contrasto del Corpo all’evasione e alle frodi fiscali e di carattere economico-finanziario in un momento in cui, peraltro, ci troviamo in piena fase attuativa dell’importante riforma fiscale varata con la legge 11 marzo 2014″.
Così si espresso il comandante generale della Guardia di Finanza, generale Giorgio Toschi. Il nuovo manuale contenente le direttive per l’azione di contrasto alle frodi e all’evasione fiscale, di cui la Gdf si è dotata “in un contesto generale caratterizzato da profondi cambiamenti nel sistema tributario nazionale ed internazionale e da una economia sempre più globale e digitale”.
Un manuale nato «per orientare i reparti – ha spiegato Toschi – verso l’attuazione concreta del nuovo corso dell’amministrazione fiscale e per avviare nuovi percorsi di valutazione critica dei rilievi formulati al termine delle attività ispettive». Il manuale si prefigge l’obiettivo di stabilire un più proficuo coordinamento non solo operativo ma anche strategico con le agenzie fiscali, in linea con le più recenti indicazioni dell’Ocse e del Fondo Monetario internazionale.
E proprio in questi giorni, sono stati diffusi dal Ministero dell’Economia i dati sulle ultime dichiarazioni Irpef delle persone fisiche presentate nel 2017 (anno di imposta 2016), il cui valore medio si è attestato a 20.940 euro, in crescita dell’1,2% rispetto all’anno precedente. Complessivamente, il reddito totale dichiarato è stato di 843 miliardi, in aumento di 10 miliardi rispetto al 2015.
Dietro il dato complessivo si nascondono tuttavia numeri preoccupanti. Il 45% dei contribuenti italiani si colloca nella classe fino a 15.000 euro, mentre i soggetti con oltre 300.000 euro di reddito sono 35.000 (lo 0,1% del totale dei contribuenti). Nella fascia tra 15 e 50mila euro si colloca invece il 50% dei contribuenti. Il 5,3% dichiara invece oltre 50.000 euro. La regione con reddito medio più alto è la Lombardia (24.750 euro) seguita dalla Provincia Autonoma di Bolzano (23.450 euro), mentre la Calabria presenta il reddito medio più basso (14.950 euro).
Al netto degli effetti del bonus 80 euro, l’imposta netta Irpef risulta pari in media a 5.070 euro e viene dichiarata da circa 30,8 milioni di soggetti, pari al 75% del totale dei contribuenti. Infine, secondo le rilevazioni Mef (Ministero dell’economia e delle finanze), oltre 10 milioni di soggetti hanno un’imposta netta pari a zero. “Si tratta prevalentemente di contribuenti con livelli reddituali compresi nelle soglie di esenzione, ovvero di coloro la cui imposta lorda si azzera per effetto delle detrazioni riconosciute dal nostro ordinamento”. Inoltre, considerando i soggetti la cui imposta netta è interamente compensata dal bonus “80 euro”, i soggetti che di fatto non versano l’Irpef salgono a circa 12,3 milioni.
Sempre a proposito di redditi, l’Osservatorio statistico sul reddito di inclusione (Rei), presentato dall’Inps e dal Ministero del Lavoro, rivela che nel primo trimestre 2018, le persone da misure di contrasto alla povertà sono quasi 900 mila e 7 su 10 dei beneficiari risiedono al Sud Italia (Campania in testa, seguita da Sicilia e Calabria). Secondo l’Osservatorio, le persone coinvolte dal Rei (Reddito di inclusione) sono state 316.693 persone (in 110 mila famiglie) mentre altre 47.868 persone (in 119 mila famiglie) sono state interessate dal Sia (il sostegno di inclusione attiva). Dal 1° gennaio 2018 il REI ha sostituito il SIA (Sostegno per l’inclusione attiva) e l’ASDI (Assegno di disoccupazione).
Alcune osservazioni.
Dai dati sopra riportati, in Italia abbiamo solo lo 0,1% (sul totale dei contribuenti) di soggetti con oltre 300.000 euro di reddito, circa 35.000. Praticamente con i loro tributi mantengono una parte della Nazione, visto che nella fascia tra 15 e 50mila euro si colloca invece il 50% dei contribuenti. E quelli con oltre 50.000 euro dichiarato sono appena il 5,3%.
Tuttavia il generale tenore di vita non appare così visibilmente basso. Di conseguenza sorge la lampante conferma di una diffusa evasione fiscale, peraltro stimata in una cifra compresa fra i 250 e i 270 miliardi di euro, un valore pari al 18% del PIL del nostro Paese e ciò sulla base dell’ultimo rapporto 2016 dell’Eurispes che individua in l’Italia un PIL sommerso pari a 540 miliardi – a cui per dirla tutta ne andrebbero aggiunti almeno ulteriori 200 che non sono stati inclusi in quanto derivanti dall’economia criminale, per un totale di 740 miliardi – sui quali, considerando un livello di tassazione del 50%, l’evasione fiscale vale 270 miliardi. Numeri che fanno il paio con l’ultimo Rapporto sull’evasione fiscale, pubblicato dal ministero dell’Economia e basato su dati Istat, secondo cui il dato oscilla tra i 255 e i 275 miliardi di euro.
Inoltre è inquietante il divario che si ravvisa dai numeri tra Nord e Sud per quanto riguarda il reddito dichiarato (24.750 euro in Lombardia a fronte di 14.950 euro Calabria e di seguito la Sicilia). Sicché si evidenza in tutta la sua drammaticità che il Sud d’Italia in questo ultimo decennio è stato abbandonato al proprio destino dai Governi centrali e regionali di centrodestra e centrosinistra.
Ma siccome non siamo qui a fare buonismo, campanilismo o propaganda, qualche altra considerazione va fatta.
Si premette innanzitutto che si è aspramente contro questa vessatoria estorsione fiscale italiana (nazionale, regionale e comunale) eloquente della dissimulata annosa cultura oppressiva di uno Stato sprezzante e arrogante e con cui si mantengono nel sistema pubblico-politico miriadi di Apparati, Palazzi, Privilegi, Superremunerazioni, Superpensioni, Vitalizi, ecc. definiti anche da una (allineata) Giurisprudenza “Diritti acquisiti”, ma così a discapito dell’esistenza (nonché unica vita) degli altri concittadini.
Si comprende dunque, quasi per civile e inevitabile sopravvivenza, l’esistenza di un’evasione cosiddetta “di necessità” senza la quale parecchi finirebbero in una condizione di povertà.
Però di contro, poi molti girano col suv o coupé oppure altro di analogo e del valore di alcune decine di migliaia di euro e con, ad esempio, un rispettivo pneumatico che costa alcune centinaia di euro, come pure fanno viaggi, posseggono altro, anche indirettamente, ecc. Sicché anche “l’evasione di necessità” appare chiaramente e spesso solo un alibi. Di conseguenza dopo pagano per tutti e con aliquote da usura e strozzinaggio, solo coloro che dichiarano ogni bene.
Eppure, per distinguere le singole situazioni individuali e collettive, senza avvitarsi in numeri, statistiche, valutazioni e discussioni tecniche, basterebbe anche solo scrutare con oggettività e dovere il territorio, ovviamente le Istituzioni ritornandovi, per rendersi conto che i redditi dichiarati non sembrano corrispondere a buona parte della società.
Sarebbe pure sufficiente verificare (tanto più oggi con le diverse banche dati a disposizione forzosa dell’Agenzia delle Entrate insieme alla potente informatica dei supercomputer) il tenore di vita di parecchia popolazione italiana, tra cui: politici in generale, parlamentari, istituzionali, burocrati, dipendenti vari, amministratori di Enti, Partecipate e Comuni, tecnici, sindacalisti, professionisti, imprenditori, pseudo-nullatenenti, ecc. incrociando i dati con ciò che effettivamente viene dichiarato, per comprendere che ci sono molte persone le quali dichiarano qualche decina di migliaia di euro l’anno e poi si mantengono nel nucleo familiare di tutto di più.
Per non dire che nei nostri Enti e Comuni (malgrado quasi tutti si dichiarino in difficoltà) c’è una proliferazione di feste, manifestazioni, eventi, parchi, onlus, associazioni, comitati, incarichi, nomine, straordinari, indennità, festivi, ecc. (tutti risaputamente foraggiati con contributi pubblici e attraverso i quali notoriamente la politica regionale e locale in modo indiretto mantiene anche il proprio clientelismo, scambio di voto e altro) che chiaramente a metà della popolazione va bene e non solo per il notorio ritorno a pioggia e vario favoritismo, ma anche perché essendo diffusa l’evasione fiscale, poi di fatto a pagare è solo l’altra metà di concittadini che dichiarano ogni bene e pertanto hanno i redditi noti al fisco.
Allora diciamoci qualche nota ufficiosità per non cadere nella decennale ipocrisia politico-istituzionale.
Non c’è stata e non c’è in generale in Italia (e Sicilia) la volontà politica, istituzionale e giudiziaria, di combattere seriamente l’evasione, il clientelismo, lo scambio di voto, la corruzione nella Pubblica Amministrazione e quindi parallelamente la delinquenza e criminalità. Ma questo in Italia non si può quasi neanche dire che s’inalberano un po’ tutti.
D’altronde e guarda caso, è eloquente che nelle ultime elezioni, sia regionali in Sicilia di novembre 2017, come pure in queste ultime nazionali di marzo 2018, la parola “evasione fiscale” (e non solo) era pressoché scomparsa dai declami dei candidati.
A
dduso Sebastiano
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