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Castellammare di Stabia

I feriti di Macerata chiedono un lavoro

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Gli stranieri feriti a Macerata dalla tentata strage di un giovane italiano chiedono di avere un lavoro e di poter restare in Italia. Gli africani colpiti sono otto, due sono fuggiti prima delle cure per paura di essere poi espulsi dal Paese.

“Ha mirato a me, poi ha sparato. Lì ho pensato: adesso muoio”

I feriti sono otto, due sono fuggiti per paura di essere identificati ed espulsi

MACERATA – Presi a bersaglio per la pelle nera. E ora si scopre che sono otto, non sei, le vittime del raid razzista di Luca Traini. Casualità del dramma e tratti di vita in comune ricorrono nei racconti degli africani feriti sabato nelle vie più trafficate di Macerata. «Bravi ragazzi», concordano investigatori e volontari delle Ong. Ragazzi accomunati da percorsi burocratici ed esistenziali complicati, in attesa d’asilo, cioè di quella mancata regolarizzazione che potrebbe aver fatto scappare un altro paio di loro compagni di sventura. Feriti che sabato hanno chiesto aiuto da Piediripa e Casette Verdini ma poi hanno fatto perdere qualunque traccia, raccontano alla Asl. Una fuga per evitare l’espulsione dall’Italia quasi che i documenti non in regola suscitino maggior preoccupazione dei danni di una pallottola.

C

oloro invece che sono finiti in un letto di ospedale hanno storie difficili ma cariche di speranza, come il nigeriano Festus Omagbon, 32 anni, ricoverato ad Ancona per fronteggiare una lesione vascolare al braccio destro. Lui e il 21enne ghanese Wilson Kofis (ricoverato per fratture alle costole e contusione polmonare) seguono il progetto di accoglienza del Gruppo di umana solidarietà, l’ente che ridistribuisce 180 richiedenti asilo in una trentina di appartamenti presi in affitto in varie zone dalla città. Oltreché in una completa guarigione, confidano entrambi nelle istituzioni. «Chiediamo di restare qui, non vogliamo essere rimpatriati, l’Italia ci aiuti», dicono ai loro formatori. Al Gus giurano sulle loro capacità di inserimento, snocciolando l’impegno dei due ragazzi per imparare l’italiano il prima possibile, la richiesta di lezioni aggiuntive e i programmi per un corso da operaio carrellista.

Nella sede di via della Pace, a ridosso del quartiere Santa Croce, Alessio Ruta, la coordinatrice etiope Nigist, Paolo Bernabucci e Giovanni Lattanzi descrivono le attività formative e i momenti di svago di cui è intessuta la quotidianità di Festus e Wilson, annunciando che l’associazione si costituirà parte civile e si farà carico delle cure sanitarie e delle procedure sanitarie. «Sono perfettamente integrati a Macerata e non si perdono un appuntamento in comunità», assicurano.

Al reparto di ortopedia di via Santa Lucia, Jennifer Otioto, nigeriana 29enne, attende l’intervento chirurgico di domani al braccio fratturato dallo sparo. «Ero alla fermata dell’autobus di fronte alla stazione – spiega -. Stavo parlando con altre tre persone di colore e vicino a noi c’erano anche degli italiani. Una macchina si è accostata al nostro gruppo e dall’interno un uomo mi ha sparato un solo co lpo ed è subito fuggito». Lei è a Macerata da luglio,è dovuta scappare dalla Nigeria per sfuggire alle persecuzioni e per il momento si arrangia facendo quelle treccine che lei stessa porta e che sono diventate un’acconciatura di moda anche in Italia. Da due mesi abita in un appartamento per migranti con altre tre ragazze africane. «Adesso non so che fare, sono impaurita e scioccata», si copre il viso.

È arrivato dal Mali invece il 28enne Mahmadou Toure, il più grave dei sei feriti e come per gli altri ha la sola colpa di essersi trovato al momento sbagliato in un posto divenuto all’improvviso pericoloso, proprio dove un istante prima era passato il vescovo di Macerata. «L’ho scampata per due minuti, avevo appena finito di celebrare la messa e ho attraversato la strada appena prima che cominciassero gli spari», dice monsignor Nazzareno Marconi. Mahmadou è da sabato in rianimazione per una lesione al fegato, mentre Omar Fadera è stato raggiunto di striscio a un fianco ed è l’unico a essere già stato dimesso dopo aver ricostruito con i poliziotti l’accaduto in una stanza del pronto soccorso.

A Gideon Azeke, 25enne nigeriano, è stato rimosso un proiettile dalla coscia destra, ma la ferita maggiore è la pistola che sente ancora puntata contro di sé. Sconvolto come al risveglio da un incubo mostra la fasciatura e mima gli istanti di terrore vissuti davanti alla tabaccheria. «Stavo andando a comprare le sigarette, ho visto l’uomo con l’arma in mano, ha preso la mira e mi ha puntato. Due spari, ho avuto paura di morire. È stato terribile».

Nei racconti dei feriti si intrecciano senso di smarrimento, confusione e dolore. La polizia presidia il pronto soccorso, il terrore è nelle parole e negli occhi. «Non ho mai pensato che gli italiani siano un popolo razzista, però adesso non mi sento più sicuro. Quello che mi è successo non si può cancellare», scuote la testa Azeke.

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lastampa/“Ha mirato a me, poi ha sparato. Lì ho pensato: adesso muoio” GIACOMO GALEAZZI INVIATO A MACERATA

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