Enna, sulla violenza di genere
b>Domenica 26 novembre, alle 18.30, al “Caffè letterario Al Kenisa” di Enna si terrà un incontro-dibattito sulla violenza di genere. A partire dai fatti di cronaca, e dalla ritrosia linguistica del femminile che cede al maschile, si affronteranno i temi dell’abuso, dell’acquiescenza, della speculazione. Introdurranno la giornalista Maria Chiara Graziano, la presidente di Intercultura Provincia di Enna Sofia Minnì, e il critico d’arte, nonché portavoce nazionale di Italia Attiva, Paolo Battaglia La Terra Borgese. Seguiranno gli interventi – coordinati dall’editorialista Gabriella Grasso – del sostituto procuratore della Repubblica di Enna Stefania Leonte, della docente dell’Accademia Belli Arti di Catania – in rappresentanza anche di Koobook Archive – Anna Guillot, dei deputati Ars Elena Pagana e Luisa Lantieri.
«La sopraffazione fisica – si legge nella nota di presentazione dell’evento – è un aspetto del multiforme universo maschilista che mal sopporta l’affannosa parità, interpretandola come minaccioso tentativo di illegittima appropriazione di quello che è sempre stato del maschio. L’intento dell’incontro è dunque fare Politica, nell’accezione di interessamento alla cosa pubblica; fare buona politica significa partecipare dei bisogni e delle necessità per migliorare le condizioni di tutti, specie delle categorie disagiate».
Tra i temi trattati vi sarà anche la presentazione del libro“L’ho uccisa perché l’amavo (Falso!)” con cui le due autrici, Loredana Lipperini e Michela Murgia, confutano le frasi che vengono usate quando si parla pubblicamente di femminicidio: “Ha ucciso la moglie in un raptus di gelosia”, “Ha strangolato la fidanzata che voleva lasciarlo”, “Perde la resta e dà a fuoco alla compagna che lo tradiva”, “È andata a cercarsela”. «Con queste frasi – commenta la nota di presentazione – si colpevolizza la vittima e si assolve l’autore dall’orribile reato. Un reato gravissimo che non ha una connotazione di classe. Dietro l’uccisione non c’è l’amore. Ci sono uomini che non sopportano che le donne pongano fine a una relazione che si è sfaldata, perché le considerano, non persone libere e autonome, ma sottomesse e di loro appartenenza. Sono queste le radici culturali della violenza sulle donne. Recidere queste radici richiede una rivoluzione culturale, che devono fare gli uomini, prima ancora delle donne».
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