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Editoriale Napoli – Audantes fortuna iuvat, tradotto significa: sia il destino nelle mani di chi (ha) Osi

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’editoriale sul Napoli quest’oggi potrebbe essere raccontato come una favola: C’erano una volta un nigeriano e un georgiano. Fosse una favola, inizierebbe così. Invece no, è tutto vero.

Tutto così vero e incredibile, che alle volte pare veramente di sognarlo. Perché nessuno, neanche il più inguaribile ottimista tra i sostenitori azzurri, avrebbe mai potuto pronosticare, appena pochi mesi fa, non soltanto questa posizione in classifica, ma questo così ampio vantaggio, che vede il Napoli sempre più in alto e le altre azzuffarsi per un posto Champion’s, senza che nessuna, almeno fino a questo punto, sia stata capace di opporre una reazione realmente credibile alla corsa degli azzurri.

“C’erano una volta un nigeriano e un georgiano” è la frase ricorrente che ritorna in mente mentre scriviamo questo editoriale su un bellissimo Napoli.

Eh già, ma non è una favola neanche questa.

Victor, il nigeriano, la furia di Lagos, fino ad appena pochi mesi fa era ancora un cavallo sgraziato, ora è un felino di classe. Perché non c’è solo in lui l’istinto primordiale della foga, ora si sono aggiunte componenti diverse.

L’astuzia, la scaltrezza, l’opportunismo, la freddezza da killer consumato, il controllo, la tecnica e la voglia.

Ma non la voglia in quanto tale, quella non gli mancava neanche prima. Ora c’è una voglia diversa, ora c’è la voglia di vincere.

La si legge dentro gli occhi, di un ragazzo giovane e sempre più uomo, da come corre in Curva Ferrovia e va a scusarsi, prima che la partita inizi, con una tifosa spezzina fortunosamente colpita da un suo tiro in fase di riscaldamento.

E’ la serenità che appartiene ai campioni, a chi ha talmente tanta consapevolezza di sé che può distribuirne in quantità industriali a chi gli sta intorno, avversari compresi.

La si legge in una palla che vaga nell’area dello Spezia e in uno stacco imperioso quanto beffardo che si conclude con una sfera che si deposita in rete e tutta la difesa di mister Luca Gotti che si guarda attonita, quasi a dire: “ma come ha fatto questo a farci goal così?”.

Eppure è vero, tutto vero anche questo. Come la padronanza da extra-dotato di Khvicha Kvaratskhelia, che col pallone fa praticamente ogni cosa voglia, saltando avversari come fossero solo impotenti spettatori della sua fantasia.

Generosissimo, il ragazzo di Tbilisi, a spalancare porta e doppietta al Victor di cui sopra, non prima d’esser stato lui, con un rigore calciato alla perfezione, a stappare una partita che si era conclusa sullo 0-0 alla fine del primo tempo.

Nel nostro editoriale sul Napoli non possiamo non dire che la vittoria è stata ottenuta anche grazie ad un pizzico di fortuna, perchè l’improvvido intervento di Reca che regala al Napoli un penalty netto dopo appena 15 secondi dall’inizio della ripresa ha permesso di sbloccare la partita in favore degli azzurri.

Ma non è fortuna episodica e cieca, è la fortuna che il Napoli sta imparando a costruirsi con le sue proprie forze, di partita in partita. E’ la fortuna di chi non si snatura, di chi resta fedele a sé stesso, anche quando l’avversario ti imbriglia e ti imbruttisce.

Perché lo Spezia, va detto, nei primi 45 minuti non regala niente: lotta su ogni pallone, chiude ogni varco e prova a pungere in contropiede quando può. Onore al merito, anche perché, agli spezzini, mancavano assenti di lusso. Un nome su tutti: ‘Mbala Nzola. Da solo fa 9 goal dei 17 messi a segno finora dai liguri. A voi i commenti.

Ma lo Spezia non si è dato per vinto e questo gli fa valere meriti agonistici che ai ragazzi di Luca Gotti spettano tutti.

Dall’altra parte della barricata, il Napoli. Che la fortuna, come sopra si accennava, se la costruisce tessendo la propria tela, fatta di predominio territoriale, controllo del pallone, idee e tanta ma tanta pazienza.

15 secondi di ripresa, una mano, un rigore. E un uomo, un giovane uomo di Tblisi. Che prende la palla, si prende una responsabilità e batte Dragowski con un destro che, di prenderlo, non ci si può neanche pensare.

Poi lo scippo di Victor, la testa malandrina del raddoppio. A chiudere, Kvara cuore d’oro, che potrebbe far doppietta, a tu per tu con Dragowski, ma preferisce che la faccia l’amico di Lagos, il cavallo pazzo divenuto gazzella.

Il resto è accademia.

Ci ha messo 240 secondi, il Napoli, per spintonare via lo Spezia dalla partita. Più o meno il tempo che intercorre tra la testata dolce di Osihmen e l’atto d’amore, di Kvara, nei suoi confronti.

E’ tempo di salutare anche il Picco di La Spezia: 3-0.

Con una porta che rimane inviolata e una difesa sempre più solida.

Con un centrocampo sempre più dominante e un allenatore sempre più addentro i cuori e i sogni dei propri ragazzi.

Con la consapevolezza che chiunque giochi ed entri, a prescindere dal calciatore sostituito, darà la propria anima per alimentare la fame.

Questa fame di cose belle e grandi che, una partita dietro l’altra, è anche legittimo che i napoletani coltivino.

Chiudiamo come abbiamo aperto questo nostro editoriale sul Napoli: C’erano una volta un nigeriano e un georgiano.

E se fosse una favola, non svegliateci più.

A cura di Antonio Ingenito


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