E’ morto ieri notte, nella sua cella all’Opera di Milano, il super boss Cosimo Di Lauro. Ripercorriamo la sua carriera criminale.
È morto Cosimo Di Lauro: Il personaggio
La morte
L
a notizia del decesso è stata comunicata alle 7:00 di ieri mattina al suo avvocato, Saverio Senese, via Pec: “il suo assistito è deceduto”.
Le cause e le dinamiche della morte sono ancora sconosciute, sarà l’autopsia di rito a stabilirle.
Sul corpo non sono presenti segni di violenze che possano far pensare ad un omicidio o ad un suicidio.
Eppure è stato aperto dal PM Roberto Fontana un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti.
Era al regime del carcere duro dal 2005, stesso anno dell’arresto.
In tutti i procedimenti in cui il rampollo di “Ciruzzo o’Milionario” era coinvolto è sempre stata chiesto di verificare la sua capacità di intendere e di volere.
Era diventato pazzo, non si lavava, sentiva le voci ed aveva le allucinazioni: così ha vissuto gli ultimi 17 anni di vita l’uomo che fu l’artefice di una delle faide di mafia più sanguinarie e feroci della storia.
I tratti del suo squilibrio mentale erano così evidenti che il suo legale presentò una relazione al tribunale di sorveglianza speciale nel 2010.
“Dicevano che stesse fingendo” conclude Senese “se così è stato era anche un grande attore”.
Ed è proprio su questo cavillo che potrebbe prendere piede l’accusa di omicidio colposo, qualora l’autopsia stabilisca che le cause della morte siano riconducibili ad un suicidio.
La legge è chiara: anche al detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41bis dell’Ordinamento Penitenziario, nell’ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, deve poter essere applicato l’istituto della detenzione domiciliare umanitaria o in deroga.
E’ quanto previsto dalla sentenza del 5 luglio 2019 n. 29488 della Corte Suprema di Cassazione sezione prima penale, per una persona ristretta dal 2008 con fine pena nel 2033.
La Cassazione, in particolare, richiama a sostegno della sua decisione, la recente sentenza della Corte Costituzionale 99/2019 che ha stabilito la possibilità di curarsi al di fuori del carcere per i detenuti con grave infermità psichica sopravvenuta, anche se la pena supera i 4 anni.
Ma chi è stato Cosimo Di Lauro, il camorrista che ispirò la creazione del protagonista di Gomorra Genny Savastano?
Il personaggio
Cosimo Di Lauro, detto Cosimino, era un narcisista, un despota, in sostanza l’Hitler della camorra del terzo millennio.
Quando prese le redini del clan impresse una svolta autoritaria sul modus operandi dello stesso: mentre sotto la reggenza del padre, Paolo Di Lauro, gli affiliati di spicco avevano una discreta autonomia d’azione, Sotto Cosimo questi dovevano riferirgli tutti i loro piani e le loro intenzioni.
Il nuovo corso, infatti, prevedeva due novità:
- Fare spazio alle nuove leve
- Ogni decisone doveva passare sotto il placet della famiglia Di Lauro
Cosimo agisce di testa sua, interpreta il ruolo di comandante in capo con il piglio del monarca assoluto.
Un atteggiamento quasi di ripicca nei confronti del padre, che si è sempre dimostrato più democratico nei confronti dei suoi uomini più fedeli.
La sua è una chiara reazione all’abbandono della figura paterna.
Infatti Maurizio Prestieri, uomo fidato di Paolo Di Lauro, in un interrogatorio dell’11 Luglio 2008, parla di un padre praticamente assente nella vita dei figli.
Il tutto in linea con la teoria psicologica secondo la quale un soggetto che ha sofferto l’abbandono, anche solo affettivo, dei genitori sviluppi più facilmente manie dittatoriali.
Molti collaboratori stretti del padre si sentirono ridimensionati e ridotti a semplici comprimari di un complesso meccanismo che prima di allora li aveva visti indiscussi protagonisti.
L’obiettivo di Cosimo, infatti, era quello di sostituire gli attuali vertici del clan con i loro rispettivi figli creando un legame di fiducia e riuscendo così a centralizzare sotto le sue mani le decisioni e i movimenti di tutta la cosca.
Un azione di repulisti che mise in allerta tutti gli esponenti che non vedevano di buon occhio l’ascesa al potere del nuovo boss.
E fu proprio l’arroganza e l’irruenza di Di Lauro Junior a procurargli i suoi nemici.
La Faida contro gli Amato Pagano
Stando a quanto riferisce il collaboratore di giustizia Misso, Cosimo Di Lauro, nel 2002, avendo capito che Raffaele Amato non gradisse la sua ascesa al potere, avrebbe intimato l’Amato di allontanarsi da Napoli e di andarsene in Spagna.
Così, è proprio a Barcellona che Raffaele Amato, insieme a Cesare Pagano, riunisce a se tutti gli avversari di Cosimo Di Lauro creando quel gruppo criminale che è più comunemente noto come “gli scissionisti”.
Questo esodo fu visto come una sorta di tradimento poichè proprio la Spagna era il canale di rifornimento della droga dei Di Lauro.
Seppure ci fosse dell’acredine, i rapporti tra le 2 fazioni continuarono , ma, all’insaputa di Cosimo, gli “scissionisti” vendevano la droga a prezzi più bassi ai sodalizi di Arcangelo Abete e Gennaro Marino.
Nonostante diversi tentativi di riconciliazione, nel 2004 la situazione degenerò.
In un concerto a Secondigliano venne festeggiata la morte per infarto di Pietro Amato, fratello di Raffaele.
Fatto che colpì l’orgoglio di Raffaele che a quel punto, insieme a tutti gli scissionisti, tornò a Napoli per iniziare una delle guerre di Camorra più sanguinarie della storia.
Il primo a farne le spese fu Fulvio Montanino, uomo di estrema fiducia di Cosimino, il 28 Ottobre 2004.
La sua morte fece perseguire diversi obiettivi agli Scissionisti:
- Dimostrare la loro forza militare e strategica
- Costringere Paolo Di Lauro, all’epoca latitante, a ritornare alla guida del clan
- Dimostrare che la gestione di Cosimino aveva creato una frattura
- Arrivare ad un accordo per una più giusta spartizione del narcotraffico e dei suoi introiti
Nonostante il monito del padre di rimanere Lucido, Cosimino inizia la sua scia di sangue attraverso le vendette trasversali: se i traditori si nascondevano, allora l’unica soluzione era uccidere i loro familiari.
L’omicidio di Gelsomina Verde
Le strade di Napoli si macchiarono del sangue di decine di vittime.
Il caso che fece più scalpore fu l’omicidio della ventiduenne Gelsomina verde.
Il delitto, commesso il 22 Novembre 2004, è ritenuto uno dei più feroci omicidi della storia della Camorra.
Fu sequestrata, torturata, uccisa e data alle fiamme.
Gelsomina era una ragazza come tante, lavorava in un laboratorio di pelletteria ed era impegnata anche nel volontariato.
Prima dell’esplosione della faida ebbe una breve relazione con Vincenzo Notturno, uno dei tanti che dai Di Lauro Passò agli Scissionisti.
Un cambio di casacca che gli costò la condanna a morte.
Notturno era introvabile e i Di Lauro decisero di intercettare Gelsomina poichè ritenuta l’unica persone che avrebbe rivelato alcune informazioni sull’ex fidanzato.
La sera del 22 Novembre 2004 venne avvicinata da Pietro Esposito, ragazzo di cui si fidava, che le propose di fare un giro.
Fu accompagnata in un casale abbandonato, faccia faccia con dei camorristi.
Lì fu torturata e seviziata fino allo sfinimento.
Alle botte dei suoi aguzzini Gelsomina rispondeva solo con urla di dolore.
Lei non aveva la minima idea di dove si trovasse Vincenzo.
La povera ragazza ad un certo punto svenne e li fu presa la decisione drastica: ucciderla e far fuori un testimone che avrebbe potuto parlare.
Gelsomina venne ammazzata e il suo cadavere messo all’interno di una Fiat 600 parcheggiata in una via di Secondigliano, e data alle fiamme.
La notizia fece il giro del mondo, e grazie alla collaborazione di Pietro Esposito furono condannati Ugo De Lucia, come esecutore materiale dell’omicidio, e Cosimo Di Lauro, come mandante.
L’arresto di Cosimo Di Lauro
Nel bel mezzo della faida, Cosimino viene arrestato il 21 Gennaio 2005.
Si trovava nel rione del “Terzo Mondo” di Secondigliano.
Quel giorno, quasi 400 persone si rivoltarono alle forze dell’ordine, lanciando dai palazzi oggetti di ogni genere e cercando di ostacolare in ogni modo l’operato dei carabinieri.
All’arresto, Cosimo si presentò tutto in ghingheri, con un outfit total black, e non abbassò mai la testa di fronte ai carabinieri.
Fatto che sta a dimostrare il suo ego sconfinato e il suo narcisismo patologico.
Era fiero della persona che era, non ha mai mostrato nessun segno di pentimento, nemmeno in carcere dove, a quanto ci racconta il suo legale, era letteralmente impazzito.
Un criminale che non merita rispetto ma di cui, come i più grandi sanguinari della storia, non va cancellata la memoria che va condannata ogni giorno.
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A cura di De Feo Michele / Redazione Campania
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