<span style="font-family: georgia, palatino, serif;"> Donald Trump mostra i muscoli nel suo primo discorso all’Onu e indica la sfida ai regimi autoritari, incluso l’Iran, come agenda comune di tutti gli Stati sovrani. Diverso l’approccio del presidente francese Macron per il quale la priorità è la difesa del clima.
La ricetta anti-Trump di Macron: “Niente muri, più forti tutti insieme”
L’attacco del presidente francese al nazionalismo: multilateralismo più efficiente. E sul clima avverte: l’accordo di Parigi non sarà rinegoziato, avanti senza gli Usa
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Complice l’avvicendamento quasi immediato tra i due sullo scranno più alto dell’Assemblea generale, sembrava che Macron controbattesse colpo su colpo su ognuno dei temi toccati (o evitati ad arte come l’intesa sul clima) dall’inquilino della Casa Bianca poco prima. «L’accordo non sarà mai rinegoziato – parte il leader dell’Eliseo – Rispetto profondamente la decisione degli Usa e la porta resterà aperta per un loro ritorno. Ma noi andremo avanti». Per di più che quell’intesa porta il nome di Parigi. Altrettanto perentorio è in merito all’accordo sul nucleare di Teheran, – che nel corso dell’Assemblea di due anni fa prese forma – L’accordo con l’Iran è solido. Denunciarlo e rigettarlo senza proporre altro è un grave errore».
Macron punta in alto quando trascina il confronto con Trump sul piano dottrinale, criticando la sua rivisitazione del principio di «Stato-nazione». «È falso pensare che i Paesi siano più forti quando sono da soli – chiosa in riferimento all’America First – Il multilateralismo è molto più efficiente». E se l’idea della superiorità nazionale è «obsoleta», lo sono anche gli strumenti a essa funzionali. A partire da barriere e fossati: «I muri non ci proteggono – tuona – il mondo è interdipendente». E l’aula magna del Palazzo di Vetro si libera in un lungo applauso scrosciante.
Ma nel «mondo secondo Macron» i diritti umani vengono ancor prima di tutto questo, non a caso alla vigilia del discorso il presidente aveva anticipato la sua menzione speciale alle crisi umanitarie. Ed ecco allora la forte denuncia contro la «pulizia etnica», in corso in Birmania contro la minoranza musulmana dei Rohingya. E ancor prima ricorda l’emergenza in Siria: «Il popolo siriano ha sofferto abbastanza. Le soluzioni sono politiche, non militari. Quello che serve è un “gruppo di contatto” che lavori ad una soluzione per la Siria». In entrambi i casi la ricetta è nel multilateralismo grazie a cui si può garantire la protezione per tutti i rifugiati, un principio che deve diventare un «imperativo morale».
Perché questa è la vera «sfida di civiltà», chiude Macron congedandosi dopo circa 35 minuti di assolo tra applausi e standing ovation. Il primo test, quello di anti-Trump, è stato superato. «Preferiamo dire alternativa a Trump, non anti Trump», suggeriscono dalla delegazione transalpina. Del resto tra i due non c’è un muro visto l’invito di Macron al presidente americano per le celebrazioni del 14 luglio a Parigi. Visita da cui l’inquilino della Casa Bianca ha preso spunto per arricchire con una parata militare la festa dell’Indipendenza Usa del 4 luglio. «In fondo un po’ di “premier” patriottica esiste anche in Macron», affermano gli osservatori del Palazzo di Vetro, in riferimento ai recenti accadimenti europei, da Fincantieri al dossier libico. Oltre al fatto che l’«imperativo morale» della protezione dei rifugiati stride con certi episodi che accadono alle frontiere. Se Macron ha infatti passato il test politico agli occhi del mondo, la sfida per la leadership del Vecchio continente è più complicata per lui. Anche perché ad attenderlo in Europa al suo ritorno c’è il falco tedesco Angela Merkel.
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