Deutsche Bank – con il suo investment banking – è fonte di rischio sistemico, ha accumulato enormi sanzioni per illeciti e quindi non riesce a tornare a fare la banca delle imprese. Eppure a Berlino si lamentano: colpa della Bce di Draghi che tiene i tassi sotto zero. Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto Totò.
Se per i tedeschi è tutta colpa di Draghi (Marco Onado)
Davvero i tassi sotto zero imposti dalla Bce sono all’origine delle difficoltà in cui si dibatte Deutsche bank? Così si sostiene a Berlino, dimenticando che tali livelli sono praticati da altre banche centrali. In realtà l’origine dei problemi di Deutsche è da cercare al suo interno e nel sistema tedesco.
Il presidente della Bce e il Bundestag
«A me mi ha rovinato la guèra», diceva piagnucolando Alberto Sordi nei panni di Nando Moriconi. La Deutsche bank, peraltro con accento prussiano, si lamenta perché a suo dire la politica dei bassi tassi di interesse, portata all’estremo dei valori negativi, deprime la redditività oltre il tollerabile. La banca è di nuovo nell’occhio del ciclone, dopo che la Zeit ha diffuso la notizia di un piano di salvataggio da parte del governo ricevendo un’immediata smentita dagli interessati, ma ovviamente il fatto che il tutto sia partito da un giornale tedesco la dice lunga sullo stato di salute della banca. Il guaio è che negli ambienti finanziari e soprattutto politici tedeschi non sembra vero di avere un’occasione ulteriore per attaccare la Bce e, in particolare, Mario Draghi. Mercoledì infatti il presidente della Bce ha subito un faccia a faccia molto duro (e a porte chiuse) con il Bundestag. Che i bassi tassi di interesse non facciano bene alle banche è fin troppo ovvio. Ma qualcuno a Berlino dovrebbe ricordare che è una situazione comune alle banche di tutto il mondo. Dovrebbe poi anche chiedersi come mai, fra tutti i paesi in cui le banche centrali hanno scelto tassi di policy negativi (fra i paesi finanziariamente importanti ci sono anche Giappone e Svizzera), proprio Deutsche bank debba trovarsi con l’acqua alla gola. È forse colpa della Bce se Deutsche ha perseguito per decenni una strategia di espansione sfrenata nel campo dell’investment banking, piantando bandierine nella mappa di tutti i mercati e di tutte le attività rischiose, fino a diventare – come dice il Fondo monetario – una delle massime fonti di rischio sistemico per la stessa Germania? È forse colpa della Bce se Deutsche ha commesso ogni sorta di irregolarità, tanto che oggi nel suo disastrato conto economico le sanzioni accumulate in sede civile e penale incidono significativamente sui margini lordi? Si badi che la notizia che ha scatenato l’ultima ondata di pessimismo è la minaccia di una sanzione da14 miliardi di dollari da parte del Department of Justice americano, per gravi irregolarità connesse al mercato dei mutui ipotecari. È forse colpa della Bce se Deutsche non riesce a tornare alla sua iniziale vocazione di banca delle grandi e medie aziende tedesche, per la semplice ma decisiva ragione che le imprese di quel paese non hanno bisogno delle banche perché accumulano ogni anno surplus finanziari, cioè hanno profitti costantemente superiori agli investimenti del periodo?
Quell’anomalia del sistema tedesco
I flussi finanziari che fanno capo alle imprese tedesche sono da qualche anno a questa parte un fiume che risale verso la sorgente. È un dato anomalo e che riflette la peculiarità della posizione internazionale della Germania, la quale ha sempre basato il suo modello di crescita sulle esportazioni e ha un surplus corrente con il resto del mondo superiore in valore assoluto a quello della Cina. Questo significa che il paese, complessivamente, risparmia più di quanto investe o, se si preferisce, consuma meno di quanto produce. Ovviamente il risparmio nazionale deve distribuirsi all’interno e, data l’altra ossessione tedesca per il pareggio del bilancio statale, porta al risultato apparentemente innaturale che l’intero settore imprenditoriale è un creditore netto, spiazzando dunque tutte le banche. A cominciare da Deutsche. Gratta gratta, alla base delle difficoltà della grande banca tedesca ci sono dunque i problemi macroeconomici posti dal modello di sviluppo tedesco. Sul piano internazionale le conseguenze negative ricadono su altri paesi che a un certo punto accumulano deficit eccessivi e si avvicinano alla soglia dell’insostenibilità del debito accumulato. È il caso dei paesi periferici d’Europa, ovviamente subito accusati di aver scialacquato come cicale ai danni delle virtuose formichine, dimenticando la ferrea logica contabile secondo cui per ogni esportatore ci deve essere un importatore e per ogni debitore ci deve essere un creditore. Perché nelle favole di Esopo le cicale e le formiche vivono in mondi separati: nella realtà degli scambi internazionali, si tratta di due facce della stessa medaglia. Sul piano dei rapporti interni invece le conseguenze negative del modello di sviluppo tedesco ritornano come unboomerang sulle banche del paese, tra l’altro afflitte storicamente da problemi di categoria (è il caso delle Landesbanken) o, come nel caso di Deutsche, dalla difficoltà di adattarsi alla realtà del dopo-crisi. Chi ha seminato il vento degli eccessi di risparmio raccoglie ora la tempesta della crisi delle proprie banche. Colpa della politica monetaria? Vale sempre Totò: ma mi faccia il piacere.
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