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a scoperta delle onde gravitazionali intuite da Albert Einstein lascia intendere che la Scienza bussa alle nostre porte per suggerirci di guardare a questo secolo con un’ottica diversa da crisi finanziarie, populismi politici e conflitti endemici.
La finestra sul Big Bang da cui si originò l’universo rivoluziona lo studio dell’astronomia, permette di sentirci più a casa nel cosmo, spinge a guardare ai 260 mila robot impiegati nell’economia americana come a possibili compagni di viaggio nell’esplorazione oltre i confini del sistema solare e aumenta le attese per il progetto del lanciatore Nasa per far sbarcare gli esseri umani su Marte. Ma ciò che più conta è quanto Gillian Lester, preside della Scuola di Legge dell’Università di Columbia, suggerisce agli alunni dei nuovi corsi invitandoli a immaginare il proprio lavoro nel futuro sovrapponendo materie e competenze apparentemente inconciliabili. Un esempio viene dalla possibilità di rispettare i diritti di proprietà nello spazio esterno alla Terra.
Il presidente americano Barack Obama alla fine dello scorso anno ha promulgato la legge «Us Commercial Space Launch Competitiveness Act» che riconosce e promuove i diritti delle aziende Usa – come «Deep Space Industries» e «Planetary Resources» – di esplorare ed estrarre risorse da «asteroidi ed altri corpi celesti» ponendo le basi giuridiche per la creazione di miniere sulla Luna oppure per riuscire a «catturare» ricchezze minerarie contenute dagli oggetti che orbitano attorno al nostro pianeta.
La Nasa ha allo studio d’altra parte due progetti concorrenti per estrarre acqua dalla superficie lunare. Si tratta di una strada pionieristica, fra giurisprudenza e astronomia, che contrasta con il testo del Trattato internazionale sullo Spazio Esterno, siglato nel 1967 e ratificato da tutte le nazioni con programmi spaziali, che impedisce a qualsiasi azienda privata di appropriarsi di risorse celesti. Ma quella proibizione, risalente a 49 anni fa, stride con le prospettive di coesistenza fra esseri umani ed universo che invece accelerano davanti a noi.
Da qui la necessità che anche altri Paesi, a cominciare dalle democrazie industriali più avanzate – Unione Europea, Giappone, Canada, Australia – inizino a cimentarsi con la sfida che Barack Obama ha accettato, il Congresso di Washington ha fatto propria a dispetto delle diatribe bipartisan e che Gillian Lester sottopone ai nuovi arrivi sui banchi della Columbia University di New York. Non farlo esporrebbe a gravi rischi, ovvero alla possibilità che la solitudine americana nella protezione legale dei diritti privati di esplorazione celeste possa portare a squilibri giuridici, contrasti politici – se non addirittura conflitti armati – internazionali sulla gestione di risorse che costituiscono il vero obiettivo di investimenti globali, privati e pubblici, nella ricerca spaziale che negli ultimi 10 anni hanno superato il tetto dei 50 miliardi di dollari.
Per avere un’idea della posta in palio basti pensare che secondo il sito «Asternak», che pubblica una lista aggiornata degli asteroidi presenti nel sistema solare aggiornandone il valore sulla base dei prezzi di mercato delle materie prime, si tratterebbe di risorse minerarie pari ad oltre 100 mila miliardi di dollari. Una cifra stratosferica per gli abitanti del pianeta.
Da qui la sorpresa per il fatto che nell’Unione Europea, al momento, l’unica nazione che sembra aver compreso l’entità della sfida è il Lussemburgo, dove Jean-Jacques Dordain, ex direttore dell’Agenzia spaziale europea, è al centro di un’iniziativa governativa tesa a sfruttare le tecnologie esistenti per realizzare un progetto futuristico con basi solide.
*lastampa
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