a href="http://www.vivicentro.it/nazionale-24h/economia/si-bruxelles-italia-banche-scudo-150-miliardi/" target="_blank">La decisione da parte della Commissione Europea di approvare eventuali garanzie pubbliche per le emissioni di nuovo debito da parte delle banche italiane fino a un massimo di 150 miliardi di euro si inserisce nel rinnovato dibattito sulla solidità del sistema finanziario nazionale emerso dopo Brexit. All’incontro dei 27 Paesi dell’Unione Europea che ha iniziato a delineare il percorso di separazione con il Regno Unito, il presidente del Consiglio Matteo Renzi e la Cancelliera tedesca Merkel hanno discusso di regole per sostenere le banche e riaperto il dibattito sulle diverse strategie adottate da Germania e Italia nella prima fase della crisi finanziaria. Renzi ha in qualche modo accusato i governi precedenti di non aver fatto le ricapitalizzazioni con soldi pubblici e di dover adesso affrontare una situazione che poteva essere risolta prima. Facciamo un passo indietro e proviamo a fare un po’ di chiarezza.
Nel 2008, la Commissione Europea adottò nuove regole sugli aiuti di Stato per permettere sulla base di tre principi i salvataggi pubblici delle banche.
I principi erano: assicurare la sostenibilità nel lungo periodo, minimizzare l’uso del denaro dei contribuenti e limitare la distorsione della concorrenza. In questo modo, furono approvati interventi su più di 100 banche europee per 670 miliardi di euro di prestiti o iniezioni di capitale, e quasi 1300 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva o garanzie pubbliche.
I governi Berlusconi, Monti e Letta, che potevano beneficiarne, lo hanno fatto in modo minimale. Se la Germania ha ad esempio ricapitalizzato le banche per 63 miliardi di euro, l’Italia lo ha fatto per 8. Perché?
Ci sono almeno due ordini di considerazioni. La prima è che la Germania poteva permetterselo, l’Italia no. Il nostro debito pubblico, nel 2008, era già sopra al 100 per cento del Pil, mentre quello tedesco era al 65 per cento. La Germania aveva dunque spazio fiscale per far crescere il debito – come effettivamente fece, e più di noi – senza mettere a rischio la sostenibilità dei conti. La Germania poi pagava interessi sul debito pubblico già allora più bassi dei nostri e quindi un aumento del debito avrebbe causato un aumento della spesa per interessi più limitato che non quello che avrebbe dovuto sostenere l’Italia con una strategia simile.
Va poi detto che in quegli anni le banche tedesche erano molto più esposte di quelle italiane alla crisi greca, 30 miliardi rispetto a 5 a fine 2009, e avevano fatto più operazioni rischiose – i cosiddetti prodotti strutturati – che non le banche italiane: come ricordava il Governatore della Banca d’Italia nella relazione del 2009, questi prodotti rappresentavano alla fine del 2008 meno del 2 per cento dell’attivo dei principali gruppi bancari.
Dunque non si poteva, e le informazioni disponibili non lo richiedevano a gran voce, fare un’iniezione di risorse nel sistema bancario come fece la Germania.
E veniamo all’oggi. Merkel fa la voce grossa con l’Italia e chiede a Renzi di non cambiare le regole ogni due anni. Nella sua decisione sulle garanzie pubbliche infatti, la Commissione ha applicato le regole esistenti e già utilizzate da molti Paesi (la Polonia, ad esempio, ha in piedi questo sistema di garanzie dal settembre del 2009 che viene puntualmente prorogato ogni sei mesi) per ampliare la liquidità ma non ha certo permesso la ricapitalizzazione pubblica. Staremo a vedere se sarà sufficiente, ma così come si adattarono le regole alla crisi del 2008 per fare in modo che le banche tedesche, olandesi o francesi potessero essere ricapitalizzate, non si capisce perché, per salvaguardare la stabilità dell’eurozona, non si debba prendere in considerazione la situazione attuale del sistema bancario italiano, anche alla luce delle ripercussioni – ancora incerte – che avrà la Brexit.
E poi: le nuove regole prevedono anche un meccanismo di assicurazione sui depositi comune, per far in modo che un euro depositato in una banca italiana, francese o di qualunque altro Paese dell’eurozona sia uguale all’altro. La Germania però frena su questo punto rendendo incompleta l’unione bancaria e dando la sensazione, così come avvenne nel 2003 quando insieme alla Francia non rispettò il Patto di Stabilità, che ci sia un menù di regole dalle quali scegliere di volta in volta le più convenienti.
Fa allora male Renzi ad attaccare i governi precedenti, che dovettero affrontare prima di tutto la crisi del debito sovrano e fare tutti gli sforzi per mantenerlo sotto controllo. Fa però bene Renzi a far sentire la sua voce oggi e chiedere di affrontare con pragmatismo una situazione che, causa la lentezza della ripresa economica europea, rischia di compromettere tutti gli sforzi che l’Europa ha compiuto in questi anni. La debolezza delle banche italiane infatti non è solo una nostra questione interna, ma ha ripercussioni sulla tenuta dell’intera area euro: fare tutto il necessario è, ancora, possibile.
vivicentro.it/opinione / lastampa / Che cosa rischia l’Eurozona ANDREA MONTANINO
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