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Confiscato il patrimonio ad imprenditore di Trapani vicino alla mafia e all’ergastolo per tre omicidi a Brescia

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Confiscato un patrimonio di 15 milioni di euro ad imprenditore già all’ergastolo per avere ucciso un padre, madre e figlio sgozzati in casa.

Beni per 15 milioni di euro di beni sono stati confiscati ieri a Trapani dalla Polizia di Stato e dal nucleo Pef della Guardia di Finanza, a Vito Marino, 54 anni, figlio del boss 90enne Girolamo, noto come “Mommu u nanu”, a suoi congiunti ed a persone a lui contigue.

La confisca, è stata compiuta su decreto emesso dal Tribunale di Trapani, a seguito di proposta per l’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali avanzata dal Questore e dal Procuratore della Repubblica di Trapani.

La decisione dei Giudici è arrivata a conclusione delle indagini condotte dalla Divisione anticrimine della Questura di Trapani, diretta dal primo dirigente Giovanni Leuci, e dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Trapani comandato dal tenente colonnello Fabio Sava. Indagini rilevanti come evidenzia il direttore del Servizio Centrale Anticrimine del Viminale, Giuseppe Linares “L’odierna operazione di confisca – dice Linares che da capo della Squadra Mobile di Trapani indagò sulla truffa e anche sulla strage dei Cottarelli – costituisce un importante rappresentazione plastica delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei finanziamenti per lo sviluppo agricolo . La proposta di confisca del Questore di Trapani è stata perfettamente recepita e condivisa dai giudici del Tribunale. L’azione sinergica tra Polizia Anticrimine e Guardia di Finanza nel settore della ablazione patrimoniale antimafia rientra tra le strategie avviate dal Servizio Centrale Anticrimine nel suo impulso ai Questori sul territorio nazionale”.

Il provvedimento di confisca ha riguardato 26 beni immobili, 2 beni mobili registrati e 9 società (con i relativi capitali sociali e i pertinenti beni aziendali) nonché 8 conti correnti e rapporti bancari per un valore di circa 15 milioni di euro.

Gran parte dei beni oggetto della confisca erano già stati posti sotto sequestro nel giugno del 2018 al termine di una indagine economico finanziaria di Polizia e Guardia di Finanza che aveva portato alla luce un’associazione a delinquere messa in piedi per truffare lo Stato e l’Unione europea per un importo complessivo di oltre 29 milioni di euro di contributi pubblici ad imprese agricole e del settore della trasformazione alimentare.

Tra le società beneficiarie di ingenti contributi pubblici furono la Vigna Verde, la Olearia Pacheco, e la Ceralseed, società cartiere per arraffare fondi pubblici.

Il Tribunale di Trapani ha disposto il sequestro per equivalente – per coprire i costi della maxi truffa – di ulteriori somme facenti parte della cooperativa “Cantina Sociale Rinascita”. Uno dei progetti di Vito Marino era quello di commercializzare vini con etichette che forse avrebbero dovuto far capire con chi si aveva a che fare, “Malandrino”,

Spadroneggiava assai l’imprenditore agricolo Vito Marino, 54 anni, andando in giro per Paceco, il suo paese, alle porte di Trapani. E questo a cominciare dai primi anni del 2000, dopo che Cosa nostra trapanese aveva anche deciso di sdoganarlo, cancellando le colpe del padre, Girolamo Marino, detto “Mommo u nanu”, capo mafia ucciso da Matteo Messina Denaro nel 1986, a punizione di uno sgarro.

“Baciamo le mani” “Ciri Ciuri” e “Maria Carmela”. Il nome di Vito Marino spuntò fuori pure in un foglietto scoperto durante una perquisizione a casa di un massone di Paceco, cosa che fece sospettare l’appartenenza di Marino ad una loggia segreta.

Marino non è mai stato affiliato alla mafia, ma poté crescere come imprenditore grazie ad un sostegno sotterraneo delle famiglie locali, tanto che quando si è dovuto rifugiare nella latitanza, per sfuggire ad una condanna definitiva all’ergastolo, furono proprio i mafiosi più vicini a Matteo Messina Denaro ad aiutarlo.

È all’ergastolo per avere sterminato nell’agosto 2006 un intero nucleo familiare a Brescia, la famiglia di Angelo Cottarelli, sgozzato assieme alla moglie Marzenne Topor e al figlio Luca di appena 17 anni.

Tutto questo accadeva al culmine di un irrisolvibile contrasto tra Marino e Cottarelli, insorto nell’ambito della maxi truffa ordita proprio da Marino, a capo di un’associazione a delinquere della quale fecero parte altri soggetti, professionisti e faccendieri, vicini anche a esponenti all’epoca dei Governi regionale e nazionale, al fine di accaparrarsi illeciti finanziamenti per mezzo di fatture gonfiate per l’importo di svariati milioni di euro, Cottarelli sarebbe stato uno dei fornitori di false fatture, ma ad un certo punto Vito Marino, che si riteneva essere divenuto un imprenditore sopraffino e furbo del malaffare, che giammai poteva essere tradito, capì che Cottarelli non gli aveva girato tutto il denaro ottenuto con quelle fatturazioni fasulle.

Sicché un giorno d’estate, nell’agosto 2006 raggiunse Brescia e la casa di Cottarelli, compiendo la sua orribile vendetta. Una scena raccapricciante si presentò ai poliziotti del Commissariato quando la mattina del 28 agosto 2006 entrarono nella villetta dei Cottarelli, nel quartiere Urago Mella, alla periferia di Brescia. La coppia Cottarelli e il figlio sgozzati come animali.

Adesso il Marino è stato raggiunto anche dalla confisca dei beni. Con quella truffa si era fortemente arricchito, realizzando aziende agricole, comprando immobili, investendo in titoli quel denaro sporco del sangue di tre morti ammazzati.

La Commissione Nazionale Antimafia dell’epoca, presieduta da Francesco Forgione, scoprì che nonostante quella indagine sulla truffa sulla quale la Polizia indagava ancora prima del triplice omicidio dei Cottarelli a Brescia, il ministero per lo Sviluppo Industriale e la Regione Sicilia continuavano ad erogare finanziamenti a Vito Marino.

Adduso Sebastiano

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