Gli uomini della DIA di Napoli hanno eseguito un sequestro di beni ad un imprenditore dei Casalesi
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a Direzione Investigativa Antimafia di Napoli ha eseguito il provvedimento emesso dalla sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, confiscando 100 milioni di euro per l’imprenditore 73enne di Casal di Principe, in provincia di Caserta. Alfonso Letizia, ritenuto dalla Procura antimafia uno degli operatori economici di riferimento del clan dei Casalesi, addirittura dalla fine degli anni ’80, nel settore della produzione e della vendita del calcestruzzo.
Letizia è stato condannato nel 2017 a tre anni all’esito del processo cosiddetto “Il Principe e la Scheda Ballerina“, da cui è emerso il condizionamento da parte del clan di alcune tornate elettorali a Casal di Principe; tra i condannati anche l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino – condannato a 5 anni di carcere – coinvolto in relazione alla vicenda del Centro Commerciale “Il Principe”, voluto dai Casalesi ma mai realizzato. La confisca effettuata oggi segue il sequestro avvenuto nel luglio 2014 in accoglimento di una proposta formulata dal direttore della Dia.
Dall’attività investigativa condotta, erano stati scoperti gli intrecci illeciti di politici di Casal di Principe con l’ala militare e imprenditoriale del clan dei Casalesi, fazione Schiavone e Bidognetti, realizzati tramite vantaggi procurati ai candidati indicati dall’organizzazione in occasione di consultazioni elettorali e conseguenti ritorni economici in termini di aggiudicazione di appalti, di assunzioni di personale compiacente all’organizzazione, di apertura di centri commerciali. Letizia era considerato il punto di riferimento dei casalesi della famiglia Schiavone, perché metteva stabilmente a disposizione dall’organizzazione mafiosa i propri impianti di produzione del calcestruzzo e le proprie strutture societarie, ottenendo, di contro, l’ingresso nel novero delle aziende oligopoliste presenti sul mercato casertano. Nello specifico, l’associazione imponeva sui cantieri controllati le forniture di calcestruzzo provenienti dalle loro aziende.
L’indagine ha permesso inoltre di individuare un meccanismo definito come “cooptazione camorrista del fornitore”, in cui proprio l’imprenditore Letizia era indicato come fornitore del calcestruzzo per determinate opere a prezzi maggiorati rispetto a quelli di mercato, favorendo così la remunerazione per il clan. La vicinanza di Letizia ai clan camorristici delle zone è stato confermato da più collaboratori di giustizia. Lo stesso Carmine Schiavone ha parlato del legame con Bardellino, sottolineando che lo aiutò a sottrarsi alle ricerche delle forze dell’ordine dopo un omicidio commesso a Marano, offrendogli ospitalità, nonché con Mario Iovine e con Vincenzo De Falco. Luigi Diana ha confermato di averlo conosciuto proprio a casa del capo clan Francesco Bidognetti; Augusto La Torre ha sottolineato invece che la società di Letizia aveva aderito al consorzio Covin, ovvero all’aggregazione di estrattori di sabbia governato dal clan, che garantiva il monopolio delle forniture al sodalizio.
Dai precedenti giudiziari di fine anni Ottanta , si nota come l’impresa di Letizia Calcestruzzi Massicana fosse vicina a Bardellino, fornendo per i cantieri di Monteruscello l’8 per cento in meno del calcestruzzo dichiarato nei documenti contabili, una vera e propria tangente intascata ai danni del costruttore acquirente delle forniture. L’imprenditore risulta quindi inserito pienamente in “un rapporto sinallagmatico con la cosca, tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità“.
I beni interessati dal provvedimento di confisca, stimati in oltre 100 milioni di euro, risultano essere 6 aziende, 70 immobili, 28 auto/motoveicoli, numerosi rapporti finanziari.
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