L’ormai ex simbolo dell’antimafia calabrese riconsociuta colpevole di aver utilizzato a scopi privati gran parte dei fondi pubblici destinati al suo movimento.
span style="color: #252525; font-family: Arial, 'Helvetica Neue', Helvetica, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 23px;">Era divenuta un nome e un volto noto dell’antimafia per le sue campagne in favore delle donne di San Luca, ma con i soldi di enti e fondazioni si viziava con vestiti e borse di marca, mobili per la propria casa, viaggi e persino un’automobile. Per questo motivo, i giudici del Tribunale di Locri hanno condannato a quattro anni di carcere l’ormai ex stellina dell’antimafia Rosy Canale, smascherata dall’inchiesta della procura di Reggio Calabria che ha svelato come la donna tenesse per sé gran parte dei fondi destinati al “Movimento delle donne di San Luca”.
Ex titolare di una discoteca, dopo anni trascorsi tra gli Stati Uniti e Roma Rosy Canale torna in Calabria all’indomani della strage di Duisburg, l’uccisione di sei persone vicine al clan Pelle-Vottari di San Luca, che nel 2007 svela alla Germania il volto della violenza mafiosa. Anche in Italia, l’episodio impone la ‘ndrangheta al centro dell’attenzione nazionale. E Canale fiuta il business.
Accreditandosi come imprenditrice “con la schiena dritta”, vittima di un pestaggio per aver sbarrato il passo agli spacciatori quando gestiva un noto locale reggino, la donna si precipita a San Luca dove fonda un movimento che – almeno ufficialmente – avrebbe dovuto dare speranza e lavoro alle donne del piccolo centro nei pressi di Reggio Calabria storicamente soffocato dalla ‘ndrangheta. In realtà, puntava solo ad arraffare quattrini.
Grazie a una strategia mediatica abilmente pianificata, condita da diverse denunce di minacce fasulle, ma strombazzate – scrivono i magistrati – “con l’unico scopo di cavalcare l’allarme sociale in modo da acquisire credibilità sia in campo politico che nel contesto dei rapporti con soggetti istituzionali”, Canale si accredita in fretta. Ministero della Gioventù, Presidenza del Consiglio Regionale della Calabria, Prefettura di Reggio Calabria e Fondazione “Enel Cuore” le inviano finanziamenti per centinaia di migliaia di euro. Al centro di San Luca, ottiene anche un immobile confiscato che sarebbe dovuto diventare una ludoteca per le sue “donne di San Luca”, ma dopo l’inaugurazione non entrerà mai in funzione.
Canale sforna un libro, gira l’Italia con il suo spettacolo teatrale e spende senza freni. A chi, come la madre, le raccomanda prudenza e moderazione – raccontano le intercettazioni – la donna risponde, arrogante: “Me ne fotto”. Ma forse, alla luce della sentenza delle Tribunale di Locri, avrebbe fatto meglio a dare ascolto a quei consigli.
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