Due settimane fa Politeia si era occupata di Castellammare. Un ritorno a casa per me. Ma amaro e sconfortante, fino a farmi dire che, se fossi stato ancora iscritto alle liste elettorali stabiesi, stavolta non sarei andato a votare. Mi aveva indignato il «kamasutra» elettorale in cui i partiti si sono aggrovigliati: il candidato sindaco del centrodestra era un ex segretario del Pd, quello del centrosinistra veniva da Forza Italia, e l’unico iscritto al Pd della partita, vicesindaco uscente della giunta di centrosinistra, era invece il candidato di un gruppo di liste civiche centriste. Per completare il quadro, un candidato Cinquestelle che veniva da An e un candidato comunista, che a differenza degli altri, non aveva mai cambiato casacca perché era rimasto comunista.
Quest’ultimo, Tonino Scala, mi ha risposto su Facebook all’indomani del primo turno con una lettera polemica: gli era piaciuto il mio articolo quando criticava i suoi concorrenti, ma non per la parte che lo riguardava (accade spesso con i politici): «Non ritengo giusto dire che a Castellammare si cambia casacca come si cambia la camicia e poi utilizzare quella puzzetta sotto al naso per dire… si dai, il solito comunista». Al mio atteggiamento astensionista, giustamente fustigato come diserzione dalla lotta, Scala contrapponeva dunque l’impegno della lista da lui guidata: «Il non voto è lavarsi le mani e non partecipare. A Castellammare la sinistra ha invece dimostrato che essere di sinistra non è una malattia… Il quasi 7% di Liberi e Uguali lo dimostra, l’8% al candidato sindaco e i 600 voti disgiunti alla mia persona, mi riempiono di responsabilità».
Confesso che la ramanzina mi aveva fatto riflettere criticamente sul mio pessimismo: ecco un esempio di partecipazione democratica — mi sono detto — ecco il rifiuto orgoglioso e persino ostinato di confondersi con il triste spettacolo della politica di oggi, restando fedeli agli ideali di un tempo. Certo, si capiva che «il quasi 7% di Liberi e Uguali», sbandierato come una vittoria, era in realtà un risultato che relegava la lista di Scala al quinto e ultimo posto: si sa, la sinistra è decoubertiniana. Però, ho pensato, magari quei «600 voti disgiunti» sono il piccolo seme di qualcosa di grande che sta nascendo, verranno utilizzati come seicento partigiani nella nuova lotta di liberazione di Castellammare.
L’ho pensato davvero. Poi ho scoperto che «il quasi 7%» di Scala ha già rinunciato a quella lotta, anzi ad ogni lotta. E che al ballottaggio che si tiene oggi ha deciso esattamente di «lavarsi le mani», proprio l’atteggiamento che a me imputava, perché si è dissolto nel nulla, non dando ai suoi elettori nessuna indicazione di voto, neanche per il meno peggio, che dal punto di vista di un comunista dovrebbe essere chiunque possa fermare la destra. Poi ho scoperto anche che, se vince il candidato degli odiati Berlusconi e Meloni, oggi in vantaggio, per il meccanismo della legge elettorale Scala avrà un posto in consiglio, mentre se invece vince il meno peggio, e cioè il candidato delle liste civiche ancora iscritto al Pd, lui resta fuori. E allora ho pensato, un po’ maliziosamente, che la scelta astensionista della sinistra dura e pura al ballottaggio risulterà molto gradita al centrodestra, e che dunque un po’ di puzzetta sotto il naso mi era più che consentita.
Ancora più affascinante l’epopea del Pd stabiese. Chiamato infatti al secondo turno a scegliere tra la destra e un suo iscritto, quel De Martino fresco vicesindaco della sua ultima giunta, ha invitato i propri ancora non pochi elettori addirittura a votare scheda bianca. Un po’ come fa fatto Renzi a Roma, quando tra lo sporcarsi le mani con i Cinquestelle e il buttarli nelle braccia di Salvini, ha scelto la seconda opzione, salvo poi a strillare che la Lega è il nuovo fascismo e che bisogna fermarla. Quindici giorni fa avevo anche scritto che Castellammare tradiva così la sua tradizione di laboratorio politico nazionale. In realtà mi sbagliavo: almeno per capire fino a che punto è diventata irrilevante la sinistra, sia nella versione riformista che in quella radicale, la mia città natale è tornata ad essere un caso di scuola da studiare.
Antonio Polito/Corrieredelmezzogiorno
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