Una ricerca degli archeologi del MUSE porta allo scoperto la più antica evidenza certa di caccia all’orso con arco e frecce, risalente al Paleolitico.
Il complesso rapporto tra uomini e grandi carnivori è argomento attuale, di grande interesse mediatico e scientifico. Il recente ritorno di orsi e lupi sulle Alpi, infatti, viene oggi da un lato percepito quale prezioso accrescimento della biodiversità alpina ma dall’altro solleva ampie problematiche connesse alla convivenza con questi animali in un territorio densamente antropizzato. Questa storia, fatta di uomini e grandi carnivori, ha radici molto antiche, tanto che le ossa di questi animali si ritrovano sovente nei siti archeologici del periodo Paleolitico, a partire da almeno 500.000 anni fa. Se i ritrovamenti di ossa nei siti sono abbastanza frequenti, rarissime sono invece le tracce che ci permettono di risalire alle strategie di caccia impiegate dai nostri antenati. Una ricerca coordinata dal MUSE con la collaborazione di numerosi enti di ricerca, tra cui il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Ferrara, il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Siena e il centro “Abdus Salam” di Fisica Teorica di Trieste – recentemente pubblicata sulla rivista Archaeological and Anthropological Sciences – ha portato alla luce la più antica evidenza certa di caccia all’orso attraverso l’utilizzo di arco e frecce, sui Monti Lessini presso un riparo sottoroccia chiamato Cornafessa.
LA SCOPERTA
“La scoperta è legata a un singolo reperto, trovato nel 2015, durante il primo sondaggio esplorativo del deposito di Cornafessa – racconta Rossella Duches, collaboratrice del MUSE e coordinatrice dello studio – Tra le decine di schegge in selce e frammenti di osso rinvenuti, i ricercatori del MUSE hanno infatti identificato una costola di orso bruno recante un’anomala traccia di taglio. Osservata al microscopio e analizzata in 3D, questa strana lesione è stata attribuita all’impatto di una freccia paleolitica, armata con punta e lamelle taglienti in selce. Nonostante lo sfruttamento dell’orso sia documentato in molti altri siti paleolitici dell’Italia settentrionale, la costola rinvenuta a Riparo Cornafessa rappresenta la più antica evidenza certa di caccia all’orso attraverso l’utilizzo di arco e frecce”.
La scoperta è stata possibile grazie all’utilizzo di metodologie di indagine all’avanguardia: l’analisi archeozoologica e tafonomica, volta all’interpretazione dei reperti faunistici, è stata realizzata presso i laboratori del MUSE, grazie alla ricca collezione di confronto di resti scheletrici animali conservata presso questo ente. Qui, è stata svolta anche l’analisi delle superfici ossee dei reperti attraverso l’applicazione di microscopia ad alto ingrandimento.
In particolare, l’analisi della costola al Microscopio Elettronico a Scansione (con spettroscopia EDS – Energy Dispersive X-ray Spectrometry), ha rivelato la presenza di frammenti di selce all’interno della traccia dovuti al danneggiamento della punta di
freccia nell’impatto con l’osso.
Lo studio dettagliato della forma e delle dimensioni della lesione è stato svolto invece presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Siena, attraverso l’acquisizione microscopica in 3D della traccia e la successiva elaborazione statistica dei dati morfometrici acquisiti. Tali dati sono stati confrontati con quelli appartenenti a tracce di impatto prodotte sperimentalmente – attraverso l’utilizzo di fedeli riproduzioni di archi e frecce paleolitiche – dai ricercatori del MUSE.
Il Centro “Abdus Salam” di Fisica Teorica di Trieste, infine, ha svolto una serie di tomografie ad alta risoluzione (μCT – microfocus X-ray computed tomography) che hanno permesso di definire l’età dell’animale cacciato.
PERCHÉ CACCIARE L’ORSO?
Le ricerche condotte dal MUSE hanno messo in evidenza come il riparo sottoroccia sui Monti Lessini fosse frequentato circa 12.000 anni fa, in corrispondenza dell’ultima fase fredda che caratterizza il Paleolitico. Proprio in questa fase cronologica si registra una nuova espansione dei ghiacciai alpini accompagnata da un abbassamento delle temperature medie annue di circa 4°C e una rarefazione della copertura boschiva alle medie-alte quote montane. Questi fattori possono aver spinto i cacciatori di Riparo Cornafessa a rivolgere la loro attenzione all’orso, una preda in grado di fornire abbondante carne, grasso e – soprattutto – una folta pelliccia con cui ripararsi dal freddo invernale.
CONFRONTI ARCHEOLOGICI
L’associazione di resti di orso e manufatti archeologici non implica necessariamente l’interazione tra le due specie; orsi e uomini, infatti, hanno frequentato gli stessi posti e convissuto negli stessi territori e grotte per migliaia di anni. Solo il riconoscimento delle tracce di macellazione lasciate involontariamente dall’uomo sulle ossa, attraverso l’utilizzo di strumenti in selce, permette di accertare scientificamente lo sfruttamento dell’orso da parte dei cacciatori paleolitici.
Grazie a queste evidenze, sappiamo oggi come l’interesse verso questo animale risalga ad almeno 500.000 anni fa, da parte di specie umane precedenti l’Uomo di Neandertal. Rarissime sono però le tracce che ci permettono di risalire alle strategie di caccia impiegate.
Grazie alla costola di Riparo Cornafessa, il numero delle lesioni da impatto riconosciute su resti di orso in Europa sale ora a 4 esemplari. Le altre evidenze consistono in 3 perforazioni ossee rinvenute a Potočka zijalka (Slovenia), Hohle Fels (Germania) e Grotte du Bichon (Svizzera). Gli studiosi ipotizzano che queste lesioni siano state causate durante battute di caccia invernali, quando l’animale risulta più vulnerabile a causa del letargo. In due casi si ritiene che l’arma usata fosse una lancia in legno appuntita con una scheggia di selce, mentre a Grotte du Bichon l’attribuzione della lesione a un’arma specifica è incerta.
I dati ottenuti da questo studio restituiscono invece uno scenario diverso: Riparo Cornafessa non mostra le caratteristiche necessarie per essere utilizzato quale luogo di svernamento per orsi e quindi si ipotizza un contesto di predazione lontano dal sito; le analisi effettuate, inoltre, confermano la predazione di questo animale con arco e frecce, unico caso certo riconosciuto fino a ora per tutto il Paleolitico.
Lascia un commento