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Tre anni fa Bergoglio decise di chiamarsi Francesco. SCALFARI *

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Il Giubileo della Misericordia è un evento rivoluzionario, come Francesco che compie oggi tre anni del suo pontificatoEUGENIO SCALFARI
PAPA Francesco compie oggi tre anni del suo pontificato. Ricordo ancora quando il cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa, affacciatosi al balcone del Palazzo Apostolico dopo la fumata bianca, comunicò il nome che il Papa aveva scelto: la piazza gremita e via della Conciliazione erano già esplose in un applauso assordante, ma quando conobbe quel nome l’applauso diventò un’ovazione ed aumentò ancora di più quando apparve Francesco.
Personalmente seguivo l’avvenimento attraverso la televisione: abbiamo finestre che ci mostrano il Pantheon sotto gli occhi di chi guarda il panorama; poco più in là l’eccentrico campanile di Sant’Ivo, poi la cupola di Sant’Agnese e infine sul fondo la Cupola michelangiolesca di San Pietro.
Guardai intensamente quel panorama, poi spostai lo sguardo alla mia sinistra: c’era il Gianicolo e si vedeva distintamente la statua di Garibaldi a cavallo. Ricordo anche l’episodio che fa parte della storia dell’Italia risorgimentale: Garibaldi e la sua “legione lombarda” avevano combattuto nel 1849 a Porta San Pancrazio contro i francesi che volevano schiacciare la repubblica romana e riportarvi il Papa. Garibaldi, dopo un sanguinoso scontro, ordinò la ritirata. Mentre i pochi garibaldini rimasti valicavano il Gianicolo, Nino Bixio puntò il cannone di cui disponevano verso la cupola di San Pietro con l’idea di farla saltare in aria, ma Garibaldi lo vide e lo fermò: “Sei forse impazzito?”. Così lo apostrofò e la cupola fu così salvata.
Avevo sotto gli occhi Francesco e Garibaldi.
Confesso che quell’associazione fatta dai miei pensieri mi commosse. Alla mia età commuoversi è facile, ma non avrei mai pensato che con papa Francesco avrei avuto uno stretto contatto, al punto che lui ad un certo punto del nostro rapporto mi disse che mi considerava un amico e mentre me lo diceva mi abbracciò.
Mi scuso per aver cominciato raccontando i miei sentimenti prima di entrare nel merito di quest’articolo dedicato a Francesco nel giorno del suo compleanno da Pontefice, ma i sentimenti fanno capir meglio i pensieri che ne derivano e questi sentimenti hanno prodotto un’amicizia da me molto sentita (e spero anche da Lui) tra il Papa cattolico e un non credente quale io sono.
***
Ho più volte scritto e gliel’ho più volte detto a voce, che Francesco è un rivoluzionario. Uno spirito profetico e rivoluzionario. Lui spesso ha anche un linguaggio affettuosamente ironico e in una telefonata recente, del 2 dicembre scorso, esordì dicendomi: “Pronto, sono un rivoluzionario”. Era la sera del giorno successivo al suo ritorno da un viaggio in Africa dove aveva aperto la prima Porta di questo Giubileo.
Come tutti sanno, questo Giubileo straordinario (quelli ordinari si svolgono ogni 25 anni) è dedicato alla Misericordia e di qui voglio partire per indicare i punti di fondo di questo evento rivoluzionario.
La misericordia è un valore tipico del Sacro, ma non soltanto: è, o meglio dovrebbe essere, anche un valore civile, anzi sociale. Qualcuno lo confonde con il perdono, ma non è così. Il perdono presuppone un peccato che il peccatore ammette di aver compiuto e del quale si pente. Questo non è soltanto un fatto religioso. Se quello che una religione definisce peccato risulta essere anche un reato che riguarda la giustizia e le leggi, la confessione può essere considerata un’attenuante che però non cancella il reato, con le conseguenze del caso.
Come fatto religioso invece il pentimento comporta l’assoluzione accompagnata da un percorso penitenziale.
Ricordo che il cardinale Martini, della cui amicizia sono stato onorato, mi disse che il sacramento più importante di tutti è la confessione e il percorso penitenziale che il peccatore deve seguire e non è certo l’obbligo di recitare qualche Pater Noster e qualche Ave Maria. Per i peccatucci va bene, ma non per quelli gravi.
Francesco quando parla dei peccatori fa due considerazioni. La prima è la scarsa importanza dei “peccatucci” determinati dal carattere della persona, dall’ambiente in cui vive, dalle tentazioni che subisce e alle quali talvolta non sa resistere.
Ma poi restano i peccati veri, gravi, prodotti dalle scelte del male anziché del bene. Dio ci ha dato il libero arbitrio e poiché (così pensa il Papa) dentro di noi, di tutti noi, esiste una vocazione verso il bene ed una verso il male, se abbiamo scelto quest’ultima il peccato è grave e il peccatore deve imboccare il processo penitenziale che ha lo scopo di convincere quell’anima a seguire la vocazione del bene. Questo è del resto lo scopo della Chiesa missionaria che Francesco ha lanciato come compito esclusivo della religione cattolica.
Su questo punto, nelle nostre conversazioni, c’è stato un approfondimento. Se il peccatore non si pente e poi cade ammalato ed arriva in punto di morte e in quel momento si pente, il perdono di Dio è certo.
All’obiezione da me avanzata che quel pentimento potrebbe esser fatto come un ipotetico vantaggio per l’Aldilà, la risposta di Francesco è stata: il Signore vede dentro le anime e quindi sa se il pentimento è reale oppure determinato da un calcolo assicurativo. Ed ha poi aggiunto un’altra cosa ancora: “Può accadere che il moribondo abbia il desiderio di pentirsi ma non arrivi al pentimento vero e proprio. Questo è sufficiente per il Signore e quell’anima è salva”.
Ho chiesto: la Chiesa missionaria cerca di evocare la scelta del bene, ma chi decide in che cosa consiste il bene? La Chiesa o la persona chiamata a scegliere con un suo criterio? La risposta è stata: “La persona, sempreché non sia una scelta intimamente ipocrita”. Questa indicazione l’ho avuta durante i nostri incontri e l’ho anche scritta ma poi l’ho ritrovata sull’OsservatoreRomano quando pubblicò alcune dichiarazioni pubbliche di Sua Santità.
Non è rivoluzionario? Qual è quel Pontefice che sia arrivato a lanciare una Chiesa missionaria di questo tipo? E soprattutto qual è il Papa che ha voluto l’attività della Chiesa esclusivamente riservata alla missione, rinunciando ad ogni temporalismo politico?
La Chiesa è sempre stata missionaria e l’Ordine dei gesuiti soprattutto, ma la Missione ha sempre convissuto con il temporalismo che Francesco invece ha sconfessato senza riserve.
Il vero scontro con una parte del Vescovato mondiale e specialmente di quello occidentale avviene su queste questioni. Francesco considera la Chiesa istituzionale come una sorta di ospedale da campo o il magazzino dove si accantonano le risorse per finanziare i servizi. La sola frase che nelle nostre conversazioni gli ho sentito dire in francese fu: “L’intendance suivra”. L’In-tendenza era appunto la Chiesa istituzionale, che deve avere contatti e risolvere questioni politiche “di servizio” con governi stranieri. Non è un caso se alla testa della Segreteria di Stato c’è Pietro Parolin. È un ottimo diplomatico ma è contemporaneamente un sacerdote capace di curare le anime. Forse è la persona più vicina a Sua Santità, il suo più intimo interlocutore.
Ma c’è un altro punto fondamentale nella Missione che papa Francesco ha assunto come obiettivo da perseguire: la Misericordia, della quale abbiamo già fatto cenno ma che è opportuno approfondire.
La Misericordia non ha nulla a che veder con il perdono dei peccati. È un dono, è il requisito motivante della religione cristiana, è il tratto saliente della divinità. La definizione più chiara e netta sta nel motto “Ama il prossimo tuo come te stesso” che dà una legittimità all’amore verso di sé – necessario per assicurare la sopravvivenza dell’individuo – purché sia condiviso con altrettanto amore verso il prossimo.
Sua Santità però, in questi tempi oscuri che stiamo vivendo, ha modificato quel motto dicendo “Ama il prossimo tuo più di te stesso”. Ecco dove sta la sua rivoluzione che si trasferisce alla politica.
La politica, quella alta e nobile come la riteneva Aristotele, deve considerare e far propri i valori che i tempi chiedono. Amare il prossimo più di te stesso deve diventare un valore che si realizza soprattutto con politiche sociali, piena occupazione, assistenza ai deboli, inclusione degli esclusi, educazione all’etica pubblica, competenza, onestà. Pensate alla corruzione dilagante, pensate ai profughi e agli emigranti, e vedrete quale sia il senso politico-religioso di papa Francesco.
Infine c’è il concetto del dio unico, del quale ha fatto il tratto più distintivo del suo pontificato.
Che il dio sia unico è un concetto addirittura ovvio. Non toglie che altrettanto diffuso è il convincimento che quel dio unico sia il tuo e la tua sia una proprietà esclusiva. Così c’è il dio musulmano, il dio ebraico, il dio cattolico, il dio cristiano ma non cattolico che a sua volta si distingue in ortodosso, luterano, protestante, anglicano, valdese, e via enumerando. Naturalmente ci sono anche gli dei indù ed altre divinità del medio e lontano Oriente.
Francesco ribadisce di continuo che di dio non può essere rivendicata la proprietà. Diverse sono le scritture e i modi per arrivarci. Mosè, Abramo, Gesù Cristo, Maometto ed altri. Ma questi percorsi, mentre vengono compiuti, non debbono mai oscurare l’unicità della divinità in genere e di quelle monoteistiche in particolare.
Questa posizione di Francesco esclude il fondamentalismo, lo combatte e in qualche modo lo scomunica. Questo è un altro dei contributi di alta politica del Papa. Il fondamentalismo è il padre del terrorismo che si avvale di una religione profanata a sua immagine e somiglianza e sta insanguinando tutto il mondo nei modi più orribili e disumani.
Infine c’è il rapporto di Francesco con i non credenti. Siamo in molti a coltivare questo rapporto, motivato dal fatto che tra le prescrizioni che conclusero il testo finale del Concilio Vaticano II spicca quella che parla della necessità che la Chiesa si incontri con la cultura moderna.
Di questa necessità Francesco ha fatto uno dei suoi compiti principali. Forse il più difficile perché la modernità nasce e comporta una cultura ispirata dal relativismo e dalla laicità.
Il rapporto tra laicità e fede religiosa non è affatto facile da instaurare e comporta (ma questo Francesco lo sa benissimo) anche qualche cambiamento nella Chiesa.
Debbo dire che il motto “Ama il prossimo tuo più di te stesso” è certamente un punto di incontro con una laicità rettamente intesa. Ma bisogna lavorarci ancora, da una parte e dall’altra, per realizzare quest’incontro con pienezza di risultati, ferme restando le differenze nei modi di concepire il rapporto tra l’aldilà e l’aldiqua.
Carissimo Francesco, buon compleanno pontificale e molti auguri per il tuo lavoro di pace, di amor del prossimo, di misericordia, che anche i non credenti condividono.
Post Scriptum. Questa ricorrenza di papa Francesco non mi ha consentito lo spazio e il tempo da dedicare al cosiddetto bazooka monetario di Mario Draghi. Del resto ieri è stato analizzato con ampiezza da tutti i media, a cominciare dal nostro giornale e quindi mi astengo dall’esaminare in dettaglio le provvidenze da lui varate nell’ambito monetario e bancario per realizzare l’obbiettivo che lo Statuto della Bce prevede: la stabilità dei prezzi.
Questo è l’ampio terreno sul quale la Banca centrale europea può, anzi deve intervenire con le “munizioni” in suo possesso. E Draghi questo ha fatto con una numerosa serie di interventi, alcuni previsti da chi se ne intende, altri sorprendenti anche se, lo ripeto, in piena linea con i poteri che lo Statuto della Bce gli assegna.
Lo ripeto perché mi è sembrata alquanto strana, anzi a dir poco priva di logica e di coerenza, la posizione assunta dai rappresentanti della Bundesbank che sono i soli ad aver votato contro nel Consiglio della Bce.
La Bundesbank infatti, nelle persona del suo governatore, aveva due o tre settimane fa votato un documento insieme al collega governatore della Banca centrale francese, che prevedeva due ipotesi. La prima, caldamente sostenuta, chiedeva la nomina d’un ministro del Tesoro unico dell’Eurozona, con i poteri che vanno ai ministri del Tesoro: un bilancio di dimensioni adeguate, un debito sovrano, la facoltà di emettere buoni del Tesoro, la facoltà di incentivare investimenti pubblici e privati.
Qualora non fosse stata esaudita questa richiesta, si doveva tornare ad una politica di rigore con qualche flessibilità moderatamente autorizzata dalla Commissione di Bruxelles.
Naturalmente essi erano convinti che la scelta d’un ministro del Tesoro dell’Eurozona avrebbe richiesto tempo. In realtà si trattava d’una palese ipocrisia per poi ripiegare sulla reale alternativa. Ma l’ipocrisia ora si rivolta contro di loro: Draghi non fa il ministro del Tesoro, non ne ha i poteri e quindi ha accantonato quella sua richiesta. Fa una politica di controllo dei prezzi per assicurarne la stabilità e di lotta contro la deflazione. Con quale dignità e coerenza la Bundesbank gli vota contro? Queste sue ipocrisie danno qualche fastidio, ma non più di tanto, a Mutti Merkel.
Draghi punta ad arrivare entro due anni ad un’inflazione dell’1,8 per cento, a tenere il più basso possibile il tasso di cambio euro-dollaro, a spingere, con opportune manovre sui tassi di interesse, le banche a prestar soldi alle imprese non solo medio-grandi ma anche medio-piccole, ad acquistare bond emessi direttamente da aziende industriali e a stimolare i governi (quelli economicamente deboli soprattutto) ad una politica fiscale che stimoli gli investimenti.
Le Borse di tutto il mondo hanno molto apprezzato queste misure, ma questo non è l’aspetto essenziale.
Io ho una mia interpretazione che temo non piaccia affatto a Draghi ma quello che penso lo dico sempre: lui fa da banchiere centrale quello che avrebbe dovuto fare un ministro del Tesoro.
Gli faccio un monte di auguri per il bene del nostro Paese e dell’Europa e suggerisco al nostro ministro Pier Carlo Padoan di spostare la politica fiscale su un più consistente e più rapido abbassamento del cuneo contributivo. Questa sì, sarebbe un’ottima politica economica quale i tempi richiedono. Per il resto c’è Draghi che vi sostiene.
* larepubblica / Tre anni fa Bergoglio decise di chiamarsi Francesco EUGENIO SCALFARI

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