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Adnkronos) – “C’è molto interesse per” l’influenza aviaria H5N1. “Voglio sottolineare che non siamo” al momento “in una situazione in cui è necessaria la produzione di un vaccino contro l’influenza pandemica” per l’uomo, ma se dovesse servire c’è già “una pipeline” e un sistema pronto ad attivarsi.Ad assicurarlo è l’epidemiologa Maria Van Kerkhove, che all’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) guida la Preparazione e prevenzione contro epidemie e pandemie (Epp). “Se la situazione – spiega in un focus postato via social – dovesse evolversi in una Pheic”, cioè in una emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale, “o in una pandemia” come è stato per Covid-19, “ma ancora una volta – precisa l’esperta – non siamo a quel punto, con le attuali tecnologie vaccinali stimiamo che si potrebbero produrre 4-8 miliardi di dosi di vaccini per l’influenza pandemica in un anno (a seconda di quanto antigene è necessario in ciascun vaccino)”. Questa stima, approfondisce Van Kerkhove, “non include le nuove piattaforme vaccinali, come mRna e vettori virali, che non hanno ancora ottenuto l’autorizzazione per i vaccini antinfluenzali.
Poiché l’Oms ha una pipeline esistente di Cvv (candidati virus vaccinali) e di produzione di vaccino antinfluenzale, il processo di produzione sarebbe più veloce di quello per Covid e potremmo iniziare ad avere i vaccini disponibili entro 4-6 mesi.L’Oms ha in essere accordi in base ai quali avremmo accesso a circa l’11-12% della produzione in tempo reale di vaccini per distribuirli agli Stati membri in base al rischio e alla necessità”. “L’Oms, attraverso il Pandemic Influenza Preparedness (Pip) Framework istituito nel 2011, dispone di accordi per lo sviluppo rapido di vaccini qualora ne avessimo bisogno – illustra – Sulla base della situazione attuale, non è necessario attivare questo sistema”, ma attraverso questo è possibile “l’accesso ai vaccini da utilizzare in base al rischio e alla necessità”.
Al momento, spiega ancora Van Kerkhove, per quanto riguarda l’aviaria che in questi giorni sta allertando gli esperti, “ci sono 2 candidati virus vaccinali Cvv relativi ai virus circolanti del clade H5 2.3.4.4b disponibili per lo sviluppo del vaccino e, se la situazione lo giustificasse, per la produzione”. Il lavoro dell’Oms sull’influenza, continua Van Kerkhove, “attraversa oltre 7 decenni con il Global Influenza Surveillance and Response System (Gisrs), rete oggi composta da 152 Centri nazionali Oms in 130 Stati membri, 7 Centri di collaborazione Oms e 12 Laboratori Oms di riferimento H5”.Questo sistema “funziona come meccanismo globale di sorveglianza; preparazione e risposta all’influenza stagionale, pandemica e zoonotica; piattaforma globale per il monitoraggio dell’epidemia e della malattia dell’influenza; sistema di alert globale per nuovi virus influenzali e altri agenti patogeni respiratori”.
E’ un network che deve “valutare i virus influenzali circolanti e selezionare Cvv per lo sviluppo” di prodotti scudo “contro l’influenza sia stagionale che zoonotica (ad esempio l’aviaria)”. La selezione e lo sviluppo dei Cvv dell’influenza zoonotica sono attività “finalizzate alla preparazione pandemica e ai primi passi verso la produzione tempestiva di vaccini – chiarisce nuovamente Van Kerkhove – Ciò non implica una raccomandazione per l’avvio della produzione”.L’esperta spiega dunque come funziona la macchina preparatoria. “Le autorità nazionali possono prendere in considerazione l’uso di uno o più di questi candidati virus vaccinali per la produzione di vaccini in lotti pilota, per sperimentazioni cliniche e altri scopi di preparazione in base a valutazioni del rischio e necessità per la salute pubblica”. Per l’influenza aviaria A/H5N1 l’ultima valutazione del rischio sviluppata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), con la Woah (Organizzazione mondiale della sanità animale) e la Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura), è datata 23 aprile. “Il contesto è implicito: è stato segnalato un caso umano” di aviaria “associato al contatto con una mucca infetta negli Stati Uniti (dove è in corso una sorveglianza attiva)”.
Sulla base delle informazioni disponibili finora, “valutiamo basso l’attuale rischio complessivo per la salute pubblica rappresentato da A/H5N1 e, per coloro che sono esposti a volatili o animali infetti o ad ambienti contaminati, il rischio di infezione è considerato da basso a moderato”, ribadisce Van Kerkhove. L’esperta, in un focus postato su X, spiega che “a livello globale, dal 2021, sono stati segnalati 28 casi umani di H5N1 e non è stata rilevata alcuna trasmissione da uomo a uomo tra questi casi (in gran parte delle situazioni sono attivi test molecolari e sierologici nei Paesi che li hanno rilevati)”.Oggi, analizza, “stiamo certamente assistendo ad un’espansione del virus H5N1 negli animali – pollame, uccelli selvatici, mammiferi – e all’infezione di nuove specie.
Allo stato attuale, il virus è un virus animale che causa infezioni umane sporadiche”. “A livello globale – sottolinea Van Kerkhove – abbiamo bisogno di una sorveglianza più forte negli animali e negli esseri umani in contatto con animali; di un rilevamento rapido e di una ricerca attiva dei casi soprattutto nei gruppi ad alto rischio, compresi quelli con esposizione professionale ad animali infetti; di condivisione rapida dei dati di sorveglianza e sequenziamento genetico per la valutazione del rischio.Abbiamo bisogno che coloro che entrano in contatto con gli animali seguano le ultime linee guida sui dispositivi di protezione individuale, dobbiamo aumentare la consapevolezza tra i medici e il pubblico in generale sui loro rischi, e mettere in pratica buone abitudini di sicurezza alimentare (consumare latte e prodotti a base di latte pastorizzati), lavare spesso e accuratamente le mani dopo il contatto con gli animali e il loro ambiente, oltre ad altre misure di igiene personale”. “Nessun virus vivo e infettivo è stato rilevato” nell’ambito di nuovi controlli eseguiti su latte e derivati negli Usa, dove è in corso un’epidemia di influenza aviaria ad alta patogenicità (Hpai) nelle mucche.
Lo ha annunciato la Food and Drug Administration (Fda), rassicurando i consumatori: “La pastorizzazione è efficace nell’inattivare i virus Hpai”, patogeni di tipo A(H5) o A (H7).L’agenzia ricorda inoltre che la definizione “altamente patogeno” per gli Hpai “si riferisce a un impatto grave sugli uccelli, non necessariamente sull’uomo”. I risultati riportati dalla Fda si riferiscono a uno studio nazionale avviato in coordinamento con il Dipartimento dell’Agricoltura (Usda) per verificare la sicurezza del latte in commercio.
L’indagine è stata condotta su un totale di 297 campioni di prodotti lattiero-caseari venduti al dettaglio.I nuovi dati si riferiscono a 201 campioni di latte e latticini, compresi ricotta e panna acida, che dall’analisi Pcr risultavano positivi alla presenza di frammenti virali.
Questi campioni sono stati quindi sottoposti all’analisi gold standard che permette di rilevare l’eventuale presenza di virus infettivi. “Tali ulteriori test preliminari non hanno rilevato alcun virus vivo e infettivo”, ha sottolineato la Fda. “Insieme ai risultati preliminari precedentemente comunicati, relativi ai una serie iniziale di 96 campioni di latte, questi dati – ha ribadito l’agenzia – confermano la nostra valutazione secondo cui la fornitura di latte commerciale è sicura”. Frammenti virali erano stati trovati in un campione di latte su 5 sottoposti a Pcr, ma l’agenzia aveva subito puntualizzato che si trattava di pezzi di virus con ogni probabilità inattivi.La Fda tranquillizza inoltre sulla sicurezza di latte in polvere e derivati, destinati all’alimentazione dei neonati.
Tutti i campioni di prodotti venduti al dettaglio analizzati sono risultati negativi al test Pcr, indicando “l’assenza di frammenti virali o virus Hpai” in latti formula e derivati.Pertanto non sono stati necessari ulteriori test per questi campioni”. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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