Cgil, cresce il disagio sociale: soffrono maggiormente i giovani, al Sud e le donne. La ricerca della Fondazione Di Vittorio: +45% dallo scoppio della crisi, mai così tanti in dieci anni
Cgil, cresce il disagio sociale: colpisce quattro milioni e mezzo di lavoratori
DISAGIO SOCIALE – I dati ufficiali dicono che il mercato del lavoro sta migliorando, per quanto lo faccia ormai al traino dei contratti a termine. Ma secondo la Cgil, nei primi sei mesi dell’anno l’area del disagio contava 4,492 milioni di lavoratori (+45,5% sullo stesso periodo del 2007, pari a 1,4 milioni di persone in più dallo scoppio della crisi), il numero più alto degli ultimi dieci anni.
E
’ la fotografia scattata da una ricerca della Fondazione Giuseppe Di Vittorio (FdV), che rielabora le statistiche sull’area del disagio nell’occupazione (occupati in età 15-64 anni in modo non volontario con lavoro temporaneo o a tempo parziale). In particolare, rileva la ricerca, il tasso di disagio è maggiore nel Mezzogiorno (23,9%) rispetto al Nord (17,7%), nell’occupazione femminile (26,9%) rispetto a quella maschile (15,2%). Inoltre si dilata la distanza tra generazioni: l’analisi per età registra nella fascia 15-24 anni un tasso di disagio del 60,7%, ben 21 punti in più rispetto a dieci anni prima; segue la classe dei giovani-adulti (25-34 anni) con un tasso prossimo al 32% (era il 19% nel I semestre 2007). Anche la forbice tra italiani e stranieri si allarga: il disagio coinvolge un lavoratore straniero su tre, contro il 18,4% di quelli di cittadinanza italiana.
Il disagio è aumentato notevolmente tra i lavoratori con basso titolo di studio (licenzia media), arrivando nel primo semestre dell’anno al 22,8%, in settori di attività come i servizi collettivi e personali, nel settore alberghiero e della ristorazione – nei quali il tasso di disagio ha toccato il 39% – e in agricoltura dove ha raggiunto il 34% (in questi tre comparti il tasso di disagio era sotto il 25% nel I semestre 2007). Diversamente da quanto osservato nei Paesi Ocse più sviluppati, dove gli occupati in attività ad alta qualificazione aumentano da molti anni più degli altri occupati, in Italia gli occupati in attività non qualificate sono aumentati quanto quelli in attività intellettuali e tecniche ad alta qualificazione ed anzi tra il 2013 e il 2016 in misura maggiore.
“Garantire maggiore flessibilità in entrata in questo contesto, come è stato fatto – sostiene la ricerca – ha quindi assecondato un processo di progressiva precarizzazione e dequalificazione dell’occupazione nel nostro Paese che allontana l’Italia dal novero dei Paesi europei più avanzati e che ha portato l’area del disagio nel mondo del lavoro al punto più alto degli ultimi dieci anni”.
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