I
pezzi d’opinione, generalmente partono a caldo, spesso sospinti da venti di rabbia e frustrazione che con la notizia formano un turbine, una sorta di mulinello dell’anima.
Dal subconscio affiorano tante nozioni, esperienze e fatti da mettere in relazione, i quali potrebbero condurre subito verso un approfondimento, se non si presentasse prima, generalmente, l’istinto di buttarsi sotto a un treno.
Punti Chiave Articolo
- Ergastolo ostativo e carcere duro. Il famigerato 41bis.
- Anche i giuristi della mafia, rivedono alcune norme.
- Un esempio vale più di mille parole.
- I Collaboratori di Giustizia non sono tutti uguali.
- I tribunali mafiosi non uccidono più i collaboratori di giustizia, se in realtà questi non collaborano.
- I giudici della mafia, allargano le vedute, pur senza automatismi.
Alcuni si trattengono con la speranza di riuscire a fare qualcosa di utile, oltre a contribuire alla formazione di nuovo humus da decomposizione…ad oggi credo, unico vantaggio costituito dalla presenza umana per la terra a fronte di danni incalcolabili.
Quindi passiamo dai binari agli approfondimenti del caso…
Ergastolo ostativo e carcere duro. Il famigerato 41bis.
Ovvero, tutte quelle norme messe in atto, quando la guerra alle mafie cominciò veramente, dopo che le nostre strade si erano riempite di sangue e le autostrade saltavano come forse solo in Colombia.
Tanto sangue è stato versato, prima di poter pensare a norme come queste, poiché l’appartenenza alla criminalità organizzata di Casa Nostra, ha peculiarità uniche che andavano prima conosciute e prese in considerazione per poi passare a contrastarle con mezzi adeguati.
Anche i giuristi della mafia, rivedono alcune norme.
Ieri abbiamo affrontato l’atteggiamento e le leggi della mafia, verso i suoi affiliati, leggi che però a loro volta, si modificano negli anni, adeguandosi alle nostre, perché anche loro hanno giuristi, che lavorano senza lena.
Il pentitismo era un fenomeno inesistente, finché, Leonardo Vitale, il 29 Marzo del 1973, non si presentò alla Questura di Palermo autoaccusandosi di numerosi reati fra i quali, 2 omicidi. Oltre a nominare subito soggetti come Riina, Calo’ e Ciancimino, Leonardo tolse il manto che copriva i segreti di un’organizzazione, fatta di riti d’iniziazione e regole d’onore, rivelando anche l’esistenza della famosa Commissione, fino ad allora sconosciuta.
Trasportato all’Ucciardone, venne ben presto definito pazzo e quindi inattendibile. Nel manicomio criminale di Barcellona, venne ripetutamente sottoposto ad elettroshock e imbottito di psicofarmaci, annullando così il suo pericoloso database.
Il che non gli risparmiò comunque i due colpi di lupara alla quale il tribunale della mafia lo aveva condannato, non prevedendo loro, differenza alcuna fra pazzi e sani.
Li ricevette puntuali e precisi alla dimissione dai sette anni di manicomio, mentre usciva dalla messa, in compagnia della sorella. Due bei pallettoni nella testa, che dettero finalmente pace alla sua anima nobile e tormentata.
Un film del 2007, “l’uomo di vetro” ne narra la storia, così come Giovanni Falcone, rese omaggio alla sua memoria, nell’86 durante il maxi-processo di Palermo, affermando che la mafia aveva capito meglio di loro l’importanza di quel gesto e di quell’uomo, che apparve folle, nel suo ardire, ciò che nessuno mai aveva osato, neppure pensare.
Un esempio vale più di mille parole.
Comincia il pentitismo, fenomeno fino ad allora inesistente che dal grande Buscetta, che tutti conosciamo, porta agli sconosciuti eroi dei giorni nostri, attraverso un cammino tortuoso, pieno di vittime innocenti, cadute anche nelle case di quello Stato, che doveva proteggerli.
Forse Leonardo era davvero folle, come lo fu san Francesco e molti altri rivoluzionari.
Qualcun altro avrà preso almeno un the, nell’accogliente salotto di signora Follia, l’unica che sembra capace di comprendere a fondo la sofferenza dell’anima.
Ognuno di questi avrà trovato il modo di uscire dall’accogliente salotto, inventandosi i propri mantra ma qualcuno decide di restare a vivere lì per sempre, perché fuori il dolore che si sente dentro, è troppo forte.
Per approfondimenti, consiglio Alda Merini, poetessa della follia fra le pieghe dell’anima.
Un profondo pentimento, reale, sofferto è quindi alla base del Collaboratore di Giustizia. che si discosta anni luce dalle varie forme che vengono invece offerte, per ottenerne comunque, la stessa definizione pur non avendone lo Status né i fastidiosi effetti collaterali, come la condanna a morte certa.
I Collaboratori di Giustizia non sono tutti uguali.
Quelli veri, apportano contributi determinanti, fondamentali per le indagini, e testimoniano nei processi.
Per questo la condanna a morte delle mafie, grava da subito e per sempre, sulla testa loro e di tutta la famiglia. Manifestano nei fatti la loro reale crisi di coscienza invertendo totalmente la direzione di marcia, e andando di propria volontà, verso l’inferno di una condanna a morte e una vita senza radici, né sicurezze per coloro che ama. È per questi uomini, questi eroi dei giorni nostri che si cominciarono a prevedere i programmi di protezione e gli sconti di pena.
Senza le loro rivelazioni, il coraggio, le testimonianze nei processi, la vena di follia e sprezzo del pericolo che dimostrano, rischiando la vita ogni momento, la lotta alla mafia, non esisterebbe proprio.
È solo grazie a questi Collaboratori di Giustizia, che si possono arrestare boss pluriomicidi, criminali insospettabili, mandanti nascosti o funzionari corrotti e infiltrati.
Poi ci sono altre sottocategorie di collaboratori di giustizia, che pur non avendone lo Status e non rischiando la vita, posso accedere comunque agli stessi benefici e sconti di pena…
La trafila da seguire in estrema sintesi è questa: Si richiede il rito abbreviato, ci si dichiara colpevoli e pentiti ed in sede processuale si dichiara la propria dissociazione. Già questo, dovrebbe evitarti il 41/bis ma col tempo e gli avvocati si può fare di meglio…
Buona condotta in carcere, dove magari, si collabora come mezzo informatore, o si riferisce su fatti obsoleti ormai privi d’interesse o impossibili da verificare accedendo ad una formula definita “collaborazione impossibile, che ben presto può portare alla conquista del 58Ter e in seguito, sconti pena fino alla libertà vigilata. Tutto questo, senza rischiare la condanna da parte della mafia…
I tribunali mafiosi non uccidono più i collaboratori di giustizia, se in realtà questi non collaborano.
In pratica è richiesta un’abiura più formale che sostanziale dai nostri tribunali, la quale ormai da anni, viene accettata dalle leggi mafiose e non prevede necessariamente la soppressione del soggetto, come in passato. In pratica servirsi di ogni escamotage per accedere a sconti di pena, è accettabile dalle mafie, a patto che non scaturisca nessun rapporto reale e determinante per nuove indagini o condanne.
I giudici della mafia, allargano le vedute, pur senza automatismi.
I giudici della mafia, esaminano quindi attentamente caso per caso e agiscono di conseguenza. Mentre noi introducevamo la figura del Collaboratore di Giustizia, il pazzo che non riesce più a scendere a patti con la propria coscienza, l’eroe che cambia la storia… in altri uffici, si stava già lavorando a quella meno insidiosa del “pentito”.
Quindi, tutto sommato, il fatidico Ergastolo ostativo non esisteva già prima, specialmente se come ogni buon capo mafia, si dispone di mezzi per pagare i migliori avvocati e si è disposti a dissociarsi almeno formalmente.
l’insieme di complesse normative, permette già anche ad un collaboratore più di nome che di fatto, di evitare il carcere duro e di accedere ai normali benefici di legge.
Ricapitolando, basta seguire qualche regola, che non porta né ad uscire realmente dalla mafia, né a rischiare la vita e il gioco si può fare lo stesso. Quindi le importanti modifiche, sulle quali si stanno svolgendo gli scontri finali, servono in apparenza a chi non voglia seguire nemmeno questa trafila, innescando pericolosi automatismi e abolendo di fatto l’ergastolo, che sembra quasi, ai nostri occhi, una richiesta di Riina più che del popolo.
Il fronte dei Simboli, dove si lotta per la Costituzione dell’inconscio e della coscienza collettiva.
Quasi una prova di forza, sostenuta da simboli forti, come la figlia del boss, che esce vincitrice, nelle vesti di avvocato e rappresentante di quella giustizia che dovrebbe essere la nostra e non la loro.
Immagine tanto simbolica da entrare negli archetipi primordiali dell’umanità, assieme a tante altre che si metteranno subito in risonanza, come neuroni a specchio per bisbigliarci nell’orecchio la frase peggiore…”tanto lo sappiamo già da sempre, che non c’è niente da fare”.
Le ultime notizie di ieri, sul lavoro della Consulta, registravano il cedimento dello Stato, avvenuto attraverso il rappresentante dell’Avvocatura Ettore Figliolia, il quale, si è espresso a favore di rimettere alla discrezionalità del Giudice di Sorveglianza se concedere o meno la libertà vigilata anche a boss irriducibili, che non hanno mai collaborato in alcun modo, ancora depositari di terribili segreti sulle stragi di stato. Pur non dichiarando incostituzionale la norma dell’ergastolo ostativo, di fatto la si indebolisce, anche perché se ipotizziamo in modo ardito che corrompere un giudice sia possibile ma sicuramente costosissimo, il boss mafioso è proprio quello che può permetterselo.
La posizione manifestata ieri dall’Avvocatura di Stato, non era quella annunciata, né da loro stessi né dal precedente Governo, che era di tutt’altro avviso, pagando fino in fondo il sostegno alla linea “giustizialista” del ministro Bonafede, sul quale è caduto, regalando al giustizialismo stesso, uno dei prossimi approfondimenti…
Prima quindi la sentenza negativa della Cedu, poi quella della Consulta relativa ai permessi premio, il cambio di rotta dell’Avvocatura di Stato e fra oggi e domani, si attendeva la sentenza definitiva, che con questi presupposti pare già scritta.
La buona notizia è che invece la decisione della Consulta, slitterà di qualche giorno. Viene da pensare che in questa che sembra una scivolata generale inarrestabile, qualcuno stia disperatamente aggrappandosi da qualche parte e che da questi dipenda la nostra sorte o forse no, ma quando si lotta, generalmente qualcosa si ottiene.
L’altro lato positivo è che abbiamo ancora qualche giorno per far sentire la nostra voce. Gira una raccolta firme, gli articoli aumentano, sui social se ne parla…in attesa dei prossimi approfondimenti, urliamo forte, contro il silenzio della mafia.
Ci siamo anche noi e facciamoci sentire. Accompagno il caffè amaro di stamani, con un bell’articolo del Corriere del Mezzogiorno di Fabio Postiglione, che spiega bene, come le mafie sappiano anche utilizzare i Social per pubblicizzarsi e reclutare nuove leve…
Forza quindi, popolo onesto del web, impariamo a condividere, a martellare e a fare il nostro dovere, non lasciandoci distrarre, la guerra si svolge al fronte, oggi in quella Consulta e ogni giorno nei tribunali di Stato.
Facciamo sentire la nostra voce, per ricordare a tutti quelli che legiferano in nostro nome, che noi le mafie non le vogliamo e che sempre staremo e sempre più uniti, con i nostri eroi morti ma soprattutto oggi, con quelli ancora vivi.
Siamo tutti sbirri, a difendere il futuro dei nostri figli.
COLLEGATA:
- Mafia e Stato si affrontano fra buio televisivo e silenzio stampa
- Nemo alla ricerca della giustizia, nel mare degli indifferenti
Si è felicemente e rapidamente conclusa la vicenda dell’espulsione di Pietro Santapaola dal Cosenza, non altrettanto, la ricerca di Nemo.
Francesca Capretta / Cronaca Calabria