18.8 C
Castellammare di Stabia

Antiche tradizioni, vecchi proverbi. “Passata la festa, gabbato lo santo”

LEGGI ANCHE

La Pasqua è finita. Dopo il rituale sacrificio degli agnelli si riprendono le antiche tradizioni, svelate da vecchi proverbi, tipo: “passata la festa, gabbato lo santo”.

Nell’articolo precedente, abbiamo raccolto l’appello di Nino di Matteo, che invitava la popolazione ad informarsi. Nicola Gratteri dal canto suo ci spiega come la mafia non abbia alcun interesse a fare attentati o mettersi in mostra, in periodi come questo, visto che le maglie della legalità si stanno allargando a loro favore, permettendo la fuga in sordina di molti pesci, anche grossi.

Gli attentati si verificano invece, quando la mafia viene  contrastata quindi pare che adesso, si possa stare sereni ma solo sul fronte del tritolo.

Oggi però finite le feste, si può ricominciare a “gabbare” li santi come da tradizione e  proprio a tale proposito, raccogliamo un nuovo accorato appello.

Chi mi segue sa che da oltre un anno, mi sto occupando di Testimoni e Collaboratori di giustizia.

Un viaggio dentro una realtà sconosciuta, persino a chi, si è sempre interessato di mafia e s’informa sull’argomento.

Se ne sono occupati anche “le Iene” mandando in onda due servizi interessantissimi sull’argomento che vi invito sempre a guardare.

Di mio avete letto poco invece, benché abbia lavorato mesi a due corposi dossier, che per ragioni di “opportunità” si è deciso di non pubblicare.

L’opportunità è stabilita dal fatto che questo esercito silenzioso di persone, vive in una condizioni precarie, pericolose e sotto scacco.

Non possono rilasciare interviste non autorizzate, pena anche l’uscita dal programma di protezione.

Quindi ti cercano quelli disperati al punto di correre persino questo rischio… poi magari gli fanno un’audizione, dopo anni di proteste e denunce e quindi ricominci a sperare in una soluzione pacifica e il dossier attende.

Attende ma esiste, come esistono i documenti che provano la veridicità delle loro affermazioni.

Altrettanto esistono i loro drammi quotidiani ai quali non si può dare voce.

Del resto il silenzio, nel nostro paese, resta cosa gradita a molti.

Fortunatamente, qualcosa si sta muovendo. L’associazione Collaboratori e Testimoni di giustizia, fondata dai collaboratori Luigi e Paola Bonaventura, con la presidenza onoraria del dott. Luigi Gaetti, comincia a prendere piede tra le istituzioni e nel tessuto sociale.

Un altro progetto nel contempo, viene portato avanti dalla dott.ssa Parsi e dall’associazione Onlus bambino, per dotare i tanti minori coinvolti, almeno di un sostegno psicologico, organizzato e formato per aiutarli ad affrontare gli immancabili drammi, di un percorso ad ostacoli, come quello che si trovano ad affrontare.

Dal canto mio, mi sto dedicando alla stesura di una biografia.

Si tratta della storia del figlio di un ex mafioso, divenuto poi uno dei collaboratori più importanti d’Italia.

Lui è fuori dal programma e può parlare, può raccontare a nome di tanti che oggi non hanno voce.

Quello che spesso glielo impedisce è solo la sofferenza, quella che trasuda da ogni poro, ogni volta che per mano lo riporto nel giardino dei ricordi, oltre quella porta, piazzata lì con tanta cura da un’anima ferita.

Naturalmente ci auguriamo che il confluire di tutte queste iniziative, possa finalmente far emergere una realtà che necessita di interventi immediati e soprattutto, di una diversa narrazione, per facilitare quel mutamento culturale, che è alla base della lotta alla mafia.

Di questi giorni la notizia che il Tribunale di Palermo ha rigettato il ricorso delle due storiche oppositrici alla prepotenza mafiosa esercitata per decenni senza controllo su Palermo, Maria Rosa e Savina Pilliu.

Una lotta trentennale che infine non riconosce loro lo status di vittime di mafia fino a condannarle al pagamento di tasse e spese processuali.

Andatevi a leggere l’ottimo articolo di Marco Lillo per il Fatto Quotidiano se non ricordate il loro calvario.

Si apre con la nota frase di Francesco De Gregori, “cercavi giustizia ma trovasti la legge” che sta diventando piano piano, l’unica frase possibile da esibire nei tribunali, anche in quelli ben intenzionati.

D’altro canto, sempre adesso, scopriamo con rammarico, che neppure la Procura di Caltanissetta, intende indagare, se pur dopo soli 7 anni, sulla scomparsa del notebook e delle pen drive, dall’ufficio della magistrata Principato ai tempi del servizio a Palermo.

Contenevano principalmente atti d’indagine segreti riguardanti il super latitante, Matteo Messina Denaro. L’avvocato Antonio Ingroia si è opposto. Preghiamo fratelli.

Ma fra dossier segreti, notizie appena accennate se non occultate, ve ne sono anche di disponibili a tutti ma che arrivano a pochi. Così oggi, dopo gli agnelli sgozzati, vorrei cogliere il vero spirito di questa ricorrenza, che ci parla di resurrezione.

Vi ho spesso scritto del maxiprocesso che si sta svolgendo a Lamezia Terme, il più grande della storia contro la ‘ndrangheta… “Rinascita Scott“.

Anche qui si parlerebbe di resurrezione se non fosse che nessuno ne parla, eccetto rarissimi casi, come LaC News24, che vi invito a seguire, negli ottimi special che potete trovare in rete, arretrati compresi.

Alla sbarra, 325 imputati, tra membri della ‘ndragheta, politici, imprenditori, avvocati e massoni in genere.

Fra i testimoni, 58 Collaboratori di giustizia.

Uno dei più determinanti, è senz’altro Emanuele Mancuso, primo pentito del temutissimo e quanto mai vasto, “clan dei Mancuso”.

Emanuele è figlio di Pantaleone Mancuso, detto “l’ingegnere”, nipote di Pantaleone Mancuso, detto “U scarpuni” e del famigerato Luigi Mancuso, “Il Supremo”, tutti appartenenti ad un’immensa famiglia di ‘ndranghetisti operante nel Vibonese, una delle più potenti e criminali in assoluto.

Emanuele è solo un ragazzo che tanto ricorda Davide contro Golia.

Un ragazzo che decide di affrontare un incredibile calvario, solo per amore.

Per amore verso la sua bambina che stava per nascere e che lui non voleva “devolvere” alla mafia.

Iniziò lì, la sua coraggiosa collaborazione, alla nascita della piccola.

Durante il processo, Emanuele ci racconta che lo zio “scarpuni”, a suo tempo, siglò un accordo particolare con qualcuno dello stato, perché gli lasciassero la patria potestà del figlio, in cambio della sua cattura, che si sapeva imminente, in seguito ad una grossa condanna.

Così avvenne.

“Glielo stanno crescendo” afferma Emanuele, riferendosi all’organizzazione criminale e familiare dei Mancuso.

Ve la ricordate Tita Buccafusca? Era proprio lei la moglie di “Scarpuni”. La prima che provo’ a ribellarsi e che pagò con la vita.

Anche Tita, lo faceva per salvare il figlioletto da quell’orrore.

Con lui in braccio, si recò alla stazione dei carabinieri di Nicotera Marina, pronunciando le parole: – “si ammazzano come cani, andate a casa a prendere il pc, prima che sparisca”.

L’atto di ribellione di Tita, quel momento di folle disperazione non trovò evidentemente terreno abbastanza fertile,pronto ad accogliere quelle radici scoperte e delicate, un percorso preferenziale già stabilito, per aiutare le numerose donne nella sua situazione.

Così, quella sera Tita rientrò nella tana dell’orco, dalla quale fuggì nuovamente, per poi farvi di nuovo ritorno.

Finché un giorno, “Scarpuni” annunciò, contrito ai carabinieri, che Tita aveva ingerito una grossa dose di acido. Tita morì e il caso venne archiviato come suicido, naturalmente.

Il figlio di “Scarpuni”, restò quindi in famiglia, dove “glielo stanno crescendo”.

Probabilmente gli stessi che contribuirono ad uccidere sua madre e che oggi gli instillano la gratitudine verso quel padre che si fece arrestare, pur di “salvarlo”.

Provate ad immaginare ora, lo strazio di un ragazzo che per cercare di salvare sua figlia e se stesso dalle spirali violente della mafia, deve testimoniare e mettersi contro tutta la sua famiglia mafiosa, pericolosa e sanguinaria.

Ci vorrebbero due articoli solo per raccontarvi tutte le pressioni che ha subito fino ad organizzare un vero e proprio attentato ai suoi  anni.

Alcuni dei suoi, sono persino stati condannati per le intimidazioni rivolte ad Emanuele al fine di farlo ritrattare ed uscire dal programma, cosa che Emanuele fece, per un brevissimo periodo, ricattato proprio, attraverso la figlia e la possibilità di vederla.

Venne condannata anche la sua ex compagna che inviava foto ricattatorie con la bimba in braccio e che non ha mai reciso i rapporti con la famiglia criminale.

Oggi però, benché il Tribunale abbia dispostol la limitazione della patria potestà di entrambi i genitori e che la bambina resti affidata ai servizi sociali… di fatto, la piccola, vive con la madre in località protetta, mantenuta dallo stato, benché il perdurare dei suoi contatti con la famiglia, sia ampiamente dimostrato.

Ma questa non è la cosa più grave, costituita invece dal fatto, che alla fine, l’unico penalizzato veramente, resti Emanuele.

A lui la bambina viene mostrata solo un’ora la settimana, quando va bene, in locali fatiscenti, alla presenza dei servizi sociali.

La bambina che oggi ha già 4 anni, ovviamente comincia a percepire la forte situazione di disagio.

Non solo, Emamuele denuncia anche il fatto, che ogni volta che è costretto a spostare il giorno dell’incontro perché concomita con una testimonianza a processo, l’appuntamento seguente slitti alle calende greche.

Ricordo che Emanuele va a testimoniare nell’interesse dello Stato o almeno di buona parte.

Sono anni che il “delfino” dei Mancuso, primo pentito, ripeto, del sanguinario clan, lancia appelli disperati circa la situazione allucinante in atto.

Di recente ha scritto anche al Presidente della Repubblica.

Dopo essersi sfinito tra denunce e appelli, minaccia ora, ovviamente, di fermare le proprie testimonianze.

Eppure Emanuele è una fonte preziosa, quanto quelle sacre.

Ci parla di tutto, dalle lauree false dei parenti, agli omicidi efferati.

Ci parla anche di Servizi sociali, avvocati e magistrati corrotti da valigette di denaro, narrazione ripresa anche da un’altra collaboratrice legata alla famiglia… “Quelli si comprano tutto con quei maledetti soldi“.

Quindi alla compagna mafiosa è consentito crescere la bambina, che ben imbeccata, già etichetta il padre come “uccello canterino”, mentre Emanuele da anni, lancia appelli disperati e sporge denunce, fino a dover scrivere al Presidente della Repubblica, nella speranza di veder riconosciuti i suoi diritti di padre e di uomo che sta affrontando rischi immani, per collaborare con la giustizia, fornendo tra l’altro un apporto decisivo.

Ci parla di complotto per farlo smettere di testimoniare, così lo ha avvertito lui nel corso del tempo.

Ci siamo abituati a pensare ad apparati deviati dello stato, a servizi segreti deviati, ci mancava ancora l’ombra dei servizi sociali deviati.

Del resto, suppongo che la cosa non renda felici i magistrati che si avvalgono delle testimonianze di Emanuele Mancuso nel maxiprocesso, di conseguenza immagino che qualcuno abbia anche cercato di aiutarlo a risolvere il problema ma che di fatto, ad oggi, non ci sia riuscito, visto il perdurare della situazione.

Forse troppi apparati diversi, competenze, obiettivi divergenti, la burocrazia… quei locali fatiscenti che in tanti lamentano ma che non incontrano mai fondi per la ristrutturazione.

D’altro canto c’è la guerra, devono investire in armamenti, costruire la nuova base militare nel Parco protetto di San Rossore, trivellare per la pace dei condizionatori… insomma, tempi duri.

Emanule si affida quindi al nostro buon cuore, quello di coloro che “vorranno sostenerlo per liberare la sua bambina dalle oppressioni di un servizio sociale che anziché garantire una serena crescita alla minore, le sta negando la figura paterna favorendo la ‘ndrangheta.”

Queste le sue parole conclusive in una lettera inviata alla stampa, che potete trovare
pubblicata in rete su corrieredellacalabria.it

Noi lo sosteniamo e speriamo che questa complessa vicenda, trovi rapidamente una giusta soluzione, anche perché a quanto pare, il boss Pantaleone, durante le intercettazioni, ha sempre rassicurato tutti che nessuno avrebbe tolto la bambina alla madre complice dei Mancuso e che per farlo, avrebbero dovuto passare sul suo cadavere… fate vobis.

Detto questo, la cosa che maggiormente ci preme è che Emanuele possa crescere la sua bambina, in quei valori che ha deciso di abbracciare il giorno che ha rinnegato la sua famiglia, con tutto quel che rappresenta.

Vorremmo che questa creatura crescesse con le idee più chiare sul bene e sul male, perché possa facilmente distinguere un giorno, i simpatici uccelli canterini da quelli che invece ammazzano mamme e bambini.

A Emanuele vada il nostro abbraccio e il sostegno morale di tutta l’Italia per bene, quella che non vorrebbe vedere le sue deposizioni mutilate dagli omissis, quella che ancora crede nella giustizia, malgrado leggi piene di cavilli, che si prestano alle più svariate  interpretazioni…

Attendiamo quindi anche l’intensa interpretazione di qualche solista virtuoso, giacché ne abbiamo di straordinari, che voglia innalzare le proprie note, emozionandoci ancora, al di sopra di questi vecchi ritornelli, che nessuno canta più.

Uniamo quindi il senso di tutti questi quotidiani appelli, per informarvi, senta tema di smentita, che la mafia, non solo esiste ancora ma che non è mai stata tanto ricca, potente e diffusa come oggi, proprio grazie al “pil” crescente e la conseguente immane, capacità di
corruzione.

Francesca Capretta / Redazione


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dal Canto breve storia del Mister del Cittadella prossimo avversario della Juve Stabia

Un tecnico navigato, con un passato da calciatore di successo e un'esperienza pluriennale nelle giovanili, guida i granata veneti
Pubblicita

Ti potrebbe interessare