A
mbra Angiolini, una settimana fa, ha postato su Instagram una foto che nel giro di pochi minuti ha ricevuto oltre 3230 like e più di 421 commenti. La foto “incriminata”, riporta un tratto di lungomare di Barletta mostrandone il più totale abbandono ed il suo essere sommerso dai rifiuti. A corredo della foto Ambra inserisce il seguente commento:
«La natura e l’uomo. Non posso proprio capire …mi auguro che anche le loro case siano così, che loro ‘dentro’ siano fatti di questo schifo. Una delle tante cose che per fortuna non sono disposta a capire e tollerare». #loschifo #imbarazzante #instaschifo
e si scatena ANCHE l’indignazione di chi preferisce girare la testa altrove e il nascondere la polvere sotto il tappeto, incluso il Sindaco della Città, Pasquale Cascella.
Il caso ha sollecitato anche il pensiero di Gramellini che, sul suo articolo di Opinione di oggi s La Stampa, così scrive:
Ambra e le vergini del bagnasciuga
Ambra Angiolini diffonde la foto di un lungomare italiano tormentato dall’immondizia, elevandolo a simbolo del degrado. Qualcuno riconosce il luogo, Barletta, e i galantuomini del web si esibiscono nei soliti esercizi di stile a base di improperi e minacce. Contro i vandali e gli spazzini, responsabili a diverso titolo dello scempio? Naturalmente no. Contro colei che l’ha denunciato, osando lavare in pubblico i panni sporchi (è il caso di dirlo). Al coro delle vergini trafitte si aggiunge il sindaco della cittadina pugliese Pasquale Cascella, già portavoce di Napolitano, che si mostra irritato dalla scelta di Ambra, imputa a una minoranza (di alieni?) la trasformazione della spiaggia in pattumiera e conclude che l’attrice avrebbe fatto meglio a fotografare un tratto di litorale pulito. Ma certo, perché ostinarsi a mostrare i topi di Tor Bella Monaca quando a Roma esiste anche la Cappella Sistina? E perché sottolineare l’esercito nazionale di precari invece di concentrarsi sui vincitori morali di X Factor? Per i teorici della «bella figura» il problema italiano consiste nel volere mostrare i problemi, non nel rifiutarsi di prendere atto che esistono.
P.S. Ieri ci ha lasciati troppo presto un giornalista d’inchiesta e di razza, il cui acume – unito a una padronanza strepitosa della lingua – i lettori de «La Stampa» ebbero modo di apprezzare a lungo. Ecco, almeno questo ennesimo brandello di ipocrisia italica Alberto Statera se l’è risparmiato.
Lascia un commento