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Alitalia, sul tavolo vi sono tre opzioni: la vendita, il crac o un ripensamento dello Stato

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Lo Stato, la vendita o il crac: le amare alternative di Alitalia

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a adesso che cosa succede ad Alitalia? Per quanto le parti coinvolte (governo, sindacati eccetera) possano spararla grossa, dare giudizi drastici e far sembrare scontate e addirittura già scritte le a loro rispettive ipotesi di futuro (fallimento con vendita a pezzi della compagnia, ri-nazionalizzazione o cessione a un altro gruppo come Lufthansa) nessuna delle opzioni sarà facile da realizzare.

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L’ipotesi che l’Alitalia, in quanto ex compagnia di bandiera, torni sotto l’ala protettiva dello Stato, è stata esclusa con tutte le parole e in tutti i modi possibili e immaginabili dal governo. Ma sotto sotto i lavoratori che hanno votato «no» ai nuovi sacrifici sono convinti cha alla fine lo Stato interverrà, eccome, a salvare il salvabile coi soldi pubblici. È facile giurare e spergiurare che «non esiste un piano B», ma se poi 12.500 persone mobilitano i parlamentari per parlare in tv e perorare la causa del posto di lavoro, è possibile che alla fine il muro ceda, soprattutto in vista delle elezioni. Fra gli analisti, invece, quel muro tiene.

Dice Andrea Giuricin (economista dell’Istituto Bruno Leoni): «Lo Stato non ha i 2 miliardi che gli azionisti di Alitalia erano pronti a investire nel rilancio. Ma anche se li tirasse fuori, spinto dalle pressioni politiche, quei soldi non basterebbero, al di fuori dell’alleanza con Etihad. Alitalia li brucerebbe rapidamente se dovesse competere da sola con i mega-gruppi che si sono formati attorno a Air France, Lufthansa e British Airways». Inoltre l’Ue non concederebbe mai la flessibilità di bilancio per quei due miliardi, perché «nonostante quello che si è sentito dire nei giorni scorsi» incalza Giuricin, «nessuno di questi grandi gruppi è a controllo pubblico».

Con Lufthansa lacrime e sangue  

Una vecchia regola dice: «Se non puoi batterli, alleati a loro». Seguendo questa strategia, si potrebbe utilizzare il periodo del commissariamento di Alitalia per agevolare la cessione della quota di Etihad a Lufthansa, che è interessata; così la nostra compagnia troverebbe un nuovo socio forte, e si ritaglierebbe un ruolo in un grande gruppo aereo globale. Ma questo è uno scenario verosimile o una pia illusione? Antonio Bordoni, docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss, sottolinea che operazioni del genere «hanno già avuto successo con le ex compagnie di bandiera di Austria, Svizzera e Belgio. E la capogruppo Lufthansa non si è limitata a usare tali compagnie per alimentare il suo hub di Francoforte: ha creato dei piccoli hub periferici, a cui è rimasto qualche collegamento a lungo raggio. L’operazione potrebbe essere ripetuta con Alitalia, Fiumicino e Malpensa».

Però la transizione da Etihad a Lufthansa, ammesso che si faccia, richiederà mesi, e nel frattempo Alitalia dovrà sopravvivere, ma come? In cassa non c’è più niente, e i viaggiatori non compreranno più biglietti di una compagnia che rischia di fallire e lasciarli a terra. Inoltre, ammonisce Giuricin, «Lufthansa chiederà come pre-condizione un piano molto più duro di quello bocciato dai dipendenti: un taglio del 50% delle rotte e dei posti di lavoro».

Cessione a pezzi senza incasso  

Per quanto l’ipotesi sembri improbabile, a questo punto il fallimento di Alitalia potrebbe realizzarsi davvero. Ma poi che cosa succederebbe? Negli anni passati si è detto e stradetto che conservare una grande compagnia aerea nazionale è necessario non solo per salvaguardare posti di lavoro, ma anche per tutelare la vocazione turistica dell’Italia. Questo è vero o no? Secondo Gregory Alegi (docente di gestione delle compagnie aeree alla Luiss Business School) «il vuoto verrebbe riempito da altri. Certo se questi altri fossero compagnie straniere, non farebbero promozione per il turismo italiano. Ma la domanda naturale di voli non resterebbe inevasa».

Quanto ad Alitalia, il suo triste destino sarebbe una vendita a pezzi. Dagli aerei si ricaverebbe poco: molti non sono di proprietà ma in leasing, e fra quelli di proprietà alcuni sono stati pure dati in pegno. Quasi nulla si ricaverà dagli «slot», cioè dai diritti di atterraggio e decollo negli aeroporti: «Sono tutti gratuiti» dice Andrea Giuricin di Ibl, «a parte un mercato “grigio” nel Regno Unito». Resterebbero da vendere gli immobili. Comunque per lo Stato la liquidazione sarebbe onerosa: il governo stima una spesa di un miliardo di euro. Come mai? Ancora Giuricin: «In una precedente crisi, la cassa integrazione per sette anni è costata un miliardo e mezzo».

vivicentro.it/economia
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