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reddie Mercury avrebbe compiuto oggi 70 anni. Lo storico frontman dei Queen, miglior voce rock di sempre per Classic Rock e 18mo tra i grandi cantanti di tutti i tempi per Rolling Stone, viene ancora celebrato in tutto il mondo a 25 anni dalla prematura scomparsa per una broncopolmonite causata dall’Aids. Giovedì scorso il chitarrista dei Queen, Brian May, ha scoperto una targa davanti alla casa giovanile di Freddie a Londra, dove il cantante viveva ancora con i propri genitori quando fondò il gruppo insieme allo stesso May e al batterista, Roger Taylor.
- Un asteroide per celebrare Freddie Mercury
- Tributo a Freddy Mercury nell’anniversario della nascita: 5 settembre 1946 (VIDEO)
L’unico angolo del mondo che sembra aver dimenticato Mercury è proprio la terra che gli dette i natali: Zanzibar, in Tanzania. Pur essendone il figlio più famoso, l’isola non ha organizzato nessuna celebrazione ufficiale, dopo che nel 2006, per il 60mo ‘compleanno’, i gruppi musulmani protestarono per un party commemorativo in spiaggia. Nel mirino c’era ovviamente l’omosessualità e lo spregiudicato stile di vita del cantante di cui non si sa neppure se sia mai ritornato a Zanzibar che lasciò da bambino per andare a studiare in India prima di trasferirsi definitivamente in Inghilterra nel 1964 mentre sull’isola scoppiava la rivoluzione socialista che cacciò il sultano.
Dall’infanzia a Zanzibar ai trionfi e gli eccessi sul palco, le due vite di Freddie Mercury
Eppure a Zanzibar i Cd contraffatti dei Queen e le t-shirt di Mercury sono tra i souvenir più gettonati per i turisti che non mancano di visitare la sua casa natale nella capitale Stone Town, a Kenyatta Street. Ci sono persino i tour a piedi per visitare il quartiere Shangani in cui è cresciuto e il tempio Zoroastriano in cui la famiglia Parsi pregava.
Ma Farrock Bulsara, questo il vero nome dell’artista dalla straordinaria voce e presenza scenica che scelse Mercury per autocelebrarsi messaggero degli dei, è come ‘oscurato’ da tutto ciò che è ufficiale in Tanzania, Paese africano in cui l’omosessualità è bandita. A Zanzibar il 90 per cento della popolazione è musulmana osservante e, malgrado ci siano quasi più villaggi turistici che abitazioni, il nome di Mercury resta quasi tabù, anche 70 anni dopo la nascita.
Ma ritorniamo al Mercury dei Queen: L’immagine-simbolo è quella di una carriera è quella in cui, in abito regale, solleva in alto la corona davanti a una folla di aficionados al “tribute” dell’aprile 1992 che ha visto riuniti per l’occasione a Wembley mostri sacri del rock di tutti i tempi, da Elton John ad Axl Rose, dai Metallica a Liza Minnelli, da Lisa Stansfield a David Bowie. Elton John, piccolo grande mago fluttuava sulle note della ultrasinfonica “Bohemian Rapsody” (autentico “gioiello” con le sovraincisioni stampo Queen pompate dalla struttura operistica e il centuplicarsi delle sagome sul video), Ian Hunter ricordava con “All the young dudes” la prima importante tournee che vide i Queen “spalla” dei suoi conclamati Mott the Hoople, stelle del glam-rock dei primi anni ’70 con due Def Leppard ad affiancare il guitar-hero Brian May ai cori. Prodigi anthemici come “We are the champions” e “Friends will be friends” trascinavano il pubblico in un abbraccio corale nel ricordo di un mito. Lo spettacolo continuava ancora e Freddie era ancora li’, maestoso, megalomane nei suoi piccoli vizi di figlio d’un diplomatico, iperprotetto dai comfort dei domestici, mai sazio di costruirsi dimore principesche e autogratificarsi di costosi oggetti d’arte. Altrettanto generoso nel curare le scenografie, i giochi di luce, il teatro in cui risaltava l’arte musicale e corale dei suoi Queen e nell’infondere in ogni brano vigore ed impeto carismatico. Il primo Freddie, capellone, magrissimo, in calzamaglia e l’altro Freddie, in canottiera, muscoli da body-building, baffetti si assomigliavano nel loro piazzare in cima a tutti gli obiettivi possibili, il trionfo dei Queen.
Strano destino, quello dei Queen. Bersagliati dalle critiche e dai pettegolezzi della stampa per una vita, mai esaltati a dovere (l’apice, fu toccato con la sterzata violenta verso la disco-music e la techno di “Hot space” e “The game”. Molti non glielo perdonarono. Gli anni ’80 avevano intaccato anche la loro personalissima genuinita’? I dischi successivi confermarono ai fans che il rischio era scongiurato. I Queen non avrebbero mai emulato i Pet Shop Boys. Capaci di veri e propri capolavori-video (“I want to break free”, giocosa parodia del travestitismo, la schizoide “The miracle” con l’abbinamento con i loro sosia-bambini e la pirotecnica “Radio ga ga” e la fantasmagorica “Kind of magic” su tutti), i Queen hanno ricevuto pieno riconoscimento nel momento piu’ tragico. Come accade ai grandi pittori, ai poeti, ai geni spesso incompresi in vita, i Queen, appena staccati dal cordone ombelicale che li legava al loro leader, sono entrati nella leggenda. Oggi Roger Taylor e Brian May proseguono nelle loro fortunate carriere soliste e la foltissima schiera di fans continua a collezionare video, CD, album, cofanetti dei propri miti. “Rare live”, “We will rock you”, “Live at Wembley” continuano ad essere richiesti nei negozi. “Queen”, la biografia ufficiale scritta da due ferratissimi superfan del gruppo, Jacky Gunn e Jim Jenkins (edita in Italia dalla Arcana editrice), e’ diventata una “bibbia” dei Queenmaniaci. Sfumano in dissolvenza le voci maligne che speculavano sulla sfrenata attivita’ libertina di Freddie o tormentavano Jim Hutton, partner sentimental del suo ultimo scorcio di vita, erede di una colossale fortuna. The show must go on, il Queen’s business continua. Anche se difficilmente rivedremo Roger, Brian e John ancora insieme. Con Freddie, se ne e’ andata l’anima dei Queen. Assurdo, farsela restituire dal destino, crudele nei panni del Dottor Faust.
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