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Castellammare di Stabia

21 condanne in primo grado a Messina nel processo dell’inchiesta “Beta”

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Condanne fino a 16 anni. Coinvolti imprenditori, avvocati, dirigenti e i Romeo, riferimento messinese dei Santapaola catanesi.

Nella tarda serata del 21 dicembre c. a. si è concluso il processo di primo grado scaturito dall’operazione denominata “Beta”, un’inchiesta della Dda e dei Carabinieri del Ros, sugli affari dei nipoti messinesi del boss catanese Nitto Santapaola, i Santapaola-Romeo. Era l’estate del 2017 quando un’indagine coordinata dall’allora Procuratore aggiunto Sebastiano Ardita, portò all’arresto di 30 persone: una vera e propria “cupola” mafiosa con al vertice la famiglia Romeo, riferimento sul territorio messinese del clan Santapaola.

In un post su Facebook, il Magistrato Sebastiano Ardita, ora Consigliere del Csm ha voluto commentare la storica sentenza «A Messina si è concluso con 29 condanne in primo grado il processo denominato Beta sulla cellula di cosa nostra potentissima e radicata in città. Coinvolti e condannati professionisti, imprenditori, personaggi in vista della città, ai quali è stato riconosciuto il concorso esterno. Una vicenda processuale   difficile, anzi difficilissima, perché rivolta non alle espressioni criminali di disagio, ma al patto ed alle intese tra mafia ed “espressioni esterne”.  Per Messina è una sentenza storica che cambia e smentisce le relazioni semestrali che per anni escludevano la presenza di cosa nostra nella città dello stretto. Per i magistrati messinesi, seri e impegnati alla ricerca del patto tra criminalità e potere che sta alle origini della mafia, la riprova del loro valore».

L’inchiesta era nata per gli accertamenti derivanti dall’attività della DEMOTER di Carlo Borella. L’accusa nei suoi confronti era quella di concorso esterno in associazione mafiosa, per aver favorito gli interessi delle famiglie mafiose Romeo-Santapaola.

Un’investigazione che aveva preso le prime mosse dai verbali delle dichiarazioni dell’imprenditore edile Biagio Grasso. La Demoter era stata l’impresa costruttrice dello stadio San Filippo di Messina, gli svincoli dell’Annunziata e di Giostra.

Il Grasso è stato colui che ha svelato i segreti di questo “mondo parallelo” tra mafia-politica-affari, tra cui c’erano, accusati di concorso esterno all’associazione mafiosa, l’imprenditore Carlo Borella, ex presidente dei costruttori di Messina e l’avvocato d’affari Andrea Lo Castro. Inoltre per corruzione, erano accusati il tecnico comunale di Messina, l’ingegnere Raffaele Cucinotta nonché dirigente al Comune di Milazzo e l’imprenditore Rosario Cappuccio, per estorsione.

La contestazione accusatoria principale era di uno “scopo societario” per  «assumere il controllo di servizi di interesse pubblico (quali quello per la consegna a domicilio di parafarmacie per la distribuzione dei farmaci), di autorizzazioni e concessioni (per l’esercizio dei giochi), per condizionare l’andamento di pubbliche forniture (quali quelle legate all’acquisto da parte del Comune di Messina di immobili da adibire ad alloggi), per assumere il controllo e l’esecuzione di pubblici appalti».

span style="font-size: 14pt;">Le indagini dei Carabinieri portarono a due blitz, nel luglio 2017 e ottobre 2018

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Pedinamenti, intercettazioni telefoniche ed ambientali prima, poi appunto le dichiarazioni del geometra-imprenditore Biagio Grasso, chiarirono la crescita in diversi settori economici cittadini dei Romeo-Santapaola, considerati sovra ordinati agli stessi clan cittadini e in grado di intessere contatti con professionisti affermati, imprenditori nazionali e dirigenti degli uffici pubblici.

Dal mondo delle slot, proprio Grasso, loro socio in affari, li aveva “convinti” a fare il salto nell’edilizia pubblica. I loro familiari e collaboratori erano diventati attivi anche nel settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti e delle forniture sanitarie.

A distanza di 3 anni e mezzo dall’emissione dei provvedimenti cautelari, è arrivata la sentenza di uno dei processi più importanti mai celebrati nella città dello Stretto.

A pronunciare il verdetto davanti al Sostituto procuratore antimafia Liliana Todaro e al Maresciallo dei Carabinieri Vincenzo Musolino, uno degli investigatori di punta dei Ros, il Giudice Letteria Silipigni.

Condannati a 2 anni e 8 mesi Giuseppe Amenta, Domenico Bertuccelli, Salvatore Boninelli, Carmelo Laudani, Salvatore Piccolo e Salvatore Guadagno.

Condannati a 13 anni l’imprenditore edile Carlo Borella, ex presidente dei costruttori edili di Messina e Stefano Barbera.

Condannato a 14 anni l’avvocato Andrea Lo Castro, il legale delle famiglie Barbera, Grasso, Marano, Spina, Soraci e Romeo e che in passato era stato anche consulente degli Enti locali.

Condannato a 16 anni Francesco Romeo, a 10 anni Fabio Lo Turco, a 12 anni ciascuno Pietro e Vincenzo Santapaola (classe ’63), a 12 anni e 8 mesi condannati anche Ivan Soraci e Michele Spina.

Condannato a 9 anni il funzionario comunale dell’Urbanistica, Raffaele Cucinotta nonché interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed è stato estinto il suo rapporto di pubblico impiego col Comune di Messina.

Condannata a 3 anni e 2 mesi Silvia Gentile, Franco Lo Presti a 3 anni, Guido La Vista ad un anno e 3 mesi.

Assolti con formula piena, per non aver commesso il fatto Antonino Di Blasi, Giovanni Marano, Benedetto Panarello, Vincenzo Santapaola (classe ’64), Filippo Spadaro e Paolo Lo Presti. Assolto perché il fatto non costituisce reato Antonio Amato.

Disposto il non doversi procedere nei confronti di Roberto Cappuccio, imprenditore, per difetto di procedibilità.

Nell’immagine di copertina il Tribunale di Messina.

Adduso Sebastiano

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