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1999-2018: Fabrizio De Andrè 19 anni dopo la sua scomparsa

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A 19 anni dalla sua scomparsa si ripercorre il “capitale umano” lasciato da Fabrizio De André: poeta o medico dell’esistenza?

Quando si cammina per le strade di Genova a nessuno, proprio a nessuno, riesce facile pensare che Fabrizio De André sia andato via. Sono passati 19 anni dalla sua morte, da quell’11 gennaio 1999 all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano eppure, ancora oggi, la sua arte resta uno dei simboli più austeri della storia della musica italiana. Fabrizio De André ha rivoluzionato, attraverso la sua discografia, non solo il concetto di cantautore, permettendoci oggi di poter parlare di “musicista impegnato“, ma ha dato la possibilità ad intere generazioni di poter conoscere una realtà “altra” : la vita degli ultimi, dei più fragili, quelli nascosti dietro le piaghe della propria difficile esistenza; dà parola ai fragili “verghiani”, quelli arrugginiti dalla fatica dell’onestà, consumati dal diritto di non aver alcun diritto. Faber, così chiamato dall’amico Paolo Villaggio, non era dalla parte degli “intoccabili”, ma sedeva con chi nella vita ha sempre perso: si nascondeva tra i meandri delle folle ribelli, raccogliendo le idee degli anti-borghesi , tra  gli emarginati, le prostitute “Bocca di Rosa” ma anche dal lato dell’amore. Un argomento, l’ultimo affrontato in modo mai banale o scontato, ma con spiccata sensibilità e uno spirito eternamente ribelle, anche sotto il profilo sentimentale. Faber è dietro ogni lotta contro la violenza e la guerra; “La Guerra di Piero” è la guerra di ognuno di noi fino al limite estremo della vita, oltre ilTestamento“, cioè quello composto dai pensieri di un uomo che in fin di vita riflette sulla morte, su se stesso e su “tutti gli artefici del girotondo intorno al letto di un moribondo”.  La morte non rappresenta il limite estremo oltre il quale non spingersi, ma una seconda dimensione con la quale confrontarsi, che sia attraverso un fiume, come quello che tolse alla vita a Marinella, o attraverso l’esperienza della mortalità vissuta come dolore della perdita di un amico, Luigi Tenco, che scelse di suicidarsi a Sanremo 1968: De André ha saputo rinunciare alla facile tentazione dell’elogio funebre per trasformare la perdita in momento di esplicita denuncia morale: «… Signori benpensanti, spero non vi dispiaccia se in cielo, in mezzo ai santi, Dio, fra le sue braccia, soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte che all’odio e all’ignoranza preferiscono la morte. Dio di misericordia, il tuo paradiso l’hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso, per quelli che han vissuto con la coscienza pura; l’inferno esiste solo per chi ne ha paura…». Ecco, qui la morte diventa un’espediente per un grido disperato, sfrondato dal semplice dolore ed esaltato come momento di protesta. Concetto questo, ribadito anche in “La morte”, canzone nello stesso disco d’esordio, reso ancor più efficace dallo scarno e cupo accompagnamento strumentale: «La morte verrà all’improvviso, avrà le tue labbra e i tuoi occhi; ti coprirà di un velo bianco addormentandosi al tuo fianco. Nell’ozio, nel sonno, in battaglia verrà senza darti avvisaglia, la morte va a colpo sicuro, non suona il corno né il tamburo… Straccioni che senza vergogna portaste il cilicio o la gogna, andarvene non vi fu fatica perché la morte vi fu amica… Di fronte all’estrema nemica non vale coraggio o fatica, non serve colpirla nel cuore perché la morte mai non muore».

In un quadro generale sembra non esserci via di scampo per questi personaggi, attori di uno spettacolo senza applausi, condannati al supplizio eterno della sofferenza, come in un’immagine infernale dantesca. Eppure, in qualche angolo del cielo, esiste la speranza della libertà , come quella del “Suonatore di Jones” : la canzone è ripresa da ad una raccolta di Edgar Lee Masters, poeta della seconda metà dell’Ottocento; di tutti i personaggi trattati da Masters, De André ne prenderà solo 8 per realizzare 8 canzoni diverse.  Prima delle 8 canzoni, c’è un’ulteriore brano “La collina” ispirato alla poesia dell’omonimo autore intitolata “The Hill“; qui si menzionano diversi personaggi, tutti sepolti sotto una collina, che è , nell'”Antologia di Spoon River”, il cimitero stesso di Spoon River.  Quest’ultima è una cittadina immaginaria, ma è anche, nella realtà, un fiume che scorre accanto alla città natale di Masters, Garnett, locata nel cuore degli USA.

Nessuno dei personaggi qui citati sarà preso in esame nelle 8 canzoni, fatta eccezione di Jones: sappiamo che è stato un uomo longevo, «che giocò con la vita per tutti i novant’anni», e sembra essere il solo, in questa lunga lista di personaggi, ad aver vissuto una vita che non fosse misera e penosa. «E con la vita avrebbe ancora giocato», infatti. Forse è riuscito ad essere felice proprio perché le sue preoccupazioni non si rivolgevano ai falsi miti a cui la maggior parte delle persone ambiva: non era certo come i generali, che si fregiarono nelle battaglie con cimiteri di croci sul petto, né come i figli della guerra, partiti per un ideale, per una truffa, per un amore finito male. Jones, piuttosto, offriva la faccia al vento, si rallegrava con il vino, e non si curava di nulla: «non al denaro, non all’amore né al cielo» (o, per dirla con Masters, «nor gold, nor love, nor heaven»). Questo è anche il verso che dà il nome all’album di De André.

span style="font-family: georgia,palatino,serif;font-size: 16px">Forse si nasconde qui il segreto della felicità per De André: la risposta mancata di dolore alla domanda dei falsi miti? 

La chiave di volta, il segreto dell’esistenza è qui? Nelle parole di De André si nasconde l’universo, un quadro di saltimbanchi picassiani, una donna di Modigliani o l’inquietudine dei volti illuminati dalle luci di Van Gogh nei “Mangiatori di patate”?

Non basta una vita per descrivere ciò che all’umanità ha lasciato Fabrizio De André.

“Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura“.

(Fabrizio De André, intervistato da Vincenzo Mollica per Speciale Tg1)

a cura di Annalibera Di Martino

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