L’ultima grande eruzione fece strage anche di B25: l’inglese George Rodger la fotografò
NAPOLI – Gli aerei americani lambiscono la cima del Vesuvio in fiamme e i fotografi di bordo hanno appena il tempo d’immortalare la colonna di fumo e di cenere che sale in cielo nel nitore della fredda mattina di primavera. A condurre la danza intorno al vulcano più celebre del mondo sono i B25, i potenti incursori a medio raggio carichi di bombe che scivolano verso Nord perché la guerra ai tedeschi è in pieno svolgimento. Dalle torrette di plexiglass lo spettacolo della montagna ardente è impressionante. Tutto è cominciato il pomeriggio del 18 marzo del 1944 con una «gragnuola di pomici e di scorie», come avrebbe detto Amedeo Maiuri, il grande archeologo che in quei mesi si è affannato vanamente a difendere Pompei dalle ingiurie del conflitto (il 24 agosto del 1943 proprio le bombe americane hanno provocato gravi danni all’area del foro).
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i ora in ora le spallate del Vesuvio aumentano. Il giorno 22 la nube eruttiva ha già raggiunto l’altezza di cinque chilometri. Cercola, Massa di Somma, San Sebastiano sono investite in pieno dai flussi piroclastici. La terra trema. La pioggia di cenere e lapilli comincia a tingere il cielo di viola. Si soffoca. Pompei è sotto una coltre bianco-grigia. Nell’aereoporto militare allestito dagli alleati fra Terzigno e Poggiomarino, i velivoli allineati sulla pista si coprono di cenere, in strati così alti e penetranti che fanno esplodere il plexiglass e inclinano le fusoliere. Più di 70 aerei B25 andranno perduti nell’interminabile giornata del 23 marzo, come raccontato nelle immagini di Francis E. Hudlow, fotografo ufficiale del 57° Fighter Group, di Eddie Little, di Albert Theodore Ostberg, di Byron F. Quivey. I drammatici scatti dei B25 Mitchell soffocati dalla cenere rovente sono oggi negli archivi nazionali di Washington (NARA). Gli operatori di «Combat Film» ci restituiranno invece le drammatiche sequenze della lava che avanza e delle vecchie case rurali che si sgretolano travolte dal magma.
George Rodger, grande fotografo inglese (nel 1947 sarà tra i fondatori della agenzia Magnum Photos) arriva a Napoli nell’ottobre del 1943 al seguito degli eserciti alleati. Al suo fianco l’amico Robert Capa che ha fatto in tempo a riprendere le madri in lutto delle Quattro Giornate. Con le prime avvisaglie dell’eruzione, Rodger si catapulta alle falde del vulcano a catturare la gigantesca colonna che piega verso sud sotto la spinta del vento. Le sue foto per «Life» faranno il giro del mondo. Di notte lo spettacolo delle fontane di fuoco lascia Napoli senza fiato. Dimenticati per un po’ gli affanni del conflitto (a Cassino si continua a morire) il Vesuvio è ora per soldati ed ufficiali di stanza in città un formidabile diversivo turistico. Si va in «gita» nella Valle dell’Inferno e dintorni, anche se nel contempo si moltiplicheranno gli aiuti alleati alle popolazioni colpite. Cinque o sei uomini della Military Police con casco bianco e ghette bianche si mettono in posa davanti all’obiettivo del fotografo: infilzano spiritosamente il pancarrè in lunghi rami appuntiti e lo abbrustoliscono al riverbero della lava.
Melvin C. Shaffer ha solo diciannove anni quando è aggregato all’ospedale militare americano allestito nei padiglioni della Mostra d’Oltremare a Napoli. Il suo compito è quello di riprendere con una cinecamera Kodak gli interventi chirurgici ai feriti che arrivano dal fronte di Cassino. Alla Mostra Melvin allestisce il suo laboratorio fotografico dove svilupperà anche le immagini scattate durante i giorni dell’eruzione. La più bella: quella di due bambini scalzi sullo sfondo della minacciosa nuvola nera che fuoriesce dal cono. Nell’inverno del ’43 Shaffer aveva fotografato gli accampamenti dell’8° ospedale mobile americano a Teano. Qui, un giorno, un gruppo di soldati tira via la tenda in cui la capo-infermiera sta facendo la doccia tra il divertimento generale. Episodio, a detta di Shaffer, ripreso paro paro da Robert Altman per una scena famosa del film «Mash», con «Bollore» che cerca vanamente di nascondere le sue nudità. Nell’aprile del 1945 Melvin C. Shaffer sarà tra i primi fotografi americani a entrare nel campo di concentramento di Dachau appena liberato.
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