Hiroshima mon amour chiude la stagione di prosa del CTB

Si conclude la Stagione di prosa del CTB 2022-23 Questo cuore umano con la produzione numero 21 del cartellone: Hiroshima mon amour

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Si conclude la Stagione di prosa del Centro Teatrale Bresciano 2022-2023 Questo cuore umano con la produzione numero ventuno del cartellone intitolata: Hiroshima mon amour. In scena al Teatro Sociale di Brescia il 16 e il 17 maggio 2023 alle ore 20.30.

Lo spettacolo è basato sulla sceneggiatura di Marguerite Duras e vede la drammaturgia di Fabrizio Sinisi. Sul palcoscenico, Valentina Bartolo e Francesco Sferrazza Papa, con le musiche dal vivo di Corrado Nuccini, la regia è di Paolo Bignamini. Le scene e costumi sono di Maria Paola Di Francesco, il disegno luci di Pietro Bailo e Simone Moretti, Giulia Asselta è assistente alla regia. Lo spettacolo è una produzione Centro Teatrale Bresciano e de Sidera Teatro de Gli Incamminati.

Nel 1959 viene proiettato a Cannes per la prima volta il film Hiroshima mon amour di Alain Resnais, con la sceneggiatura firmata dalla celebre scrittrice Marguerite Duras, che racconta della relazione appassionata tra un’attrice francese, in Giappone per le riprese di un film sulla pace, e un architetto del posto. Il sentimento che nasce tra i due personaggi evoca nella mente della protagonista il ricordo dell’amore vissuto a Nevers, suo paese natale, con un giovane soldato tedesco, ucciso sotto i suoi occhi. Una corrispondenza di eventi che segna tutta la costruzione del film, composta sul gioco dialettico dei contrari che aprirà, nel finale, a una sorta di liberazione dalla memoria della protagonista.

Oltre sessant’anni dopo, cosa resta di quell’opera capitale che, provando a rappresentare l’irrappresentabile,ovvero dare conto della catastrofe della bomba atomica su Hiroshima, ha connotato il cinema del ventesimo secolo?

La sinossi del film Hiroshima mon amour

«Impossibile parlare di Hiroshima, scrive Duras esponendo la sinossi del film . L’unica cosa che si può fare è parlare dell’impossibilità di parlare di Hiroshima». Per evidenziare questa “eccedenza” tra linguaggio e contenuto, significante e significato, l’autrice scrive una battuta che, all’inizio del film, il protagonista maschile ripete più volte a quello femminile: «Tu non hai visto niente a Hiroshima».

Il vero orrore resta inguardabile, indicibile, come lo sguardo insostenibile di una Medusa.

Secondo Duras ,spiega la studiosa Anna Boschetti, «non si può testimoniare Hiroshima. L’unico modo, per l’autrice, è trasmettere il dolore del lutto più personale e più universale che si possa concepire, quello per la persona amata».

Il testo di Fabrizio Sinisi mette in scena questo cortocircuito tra vita e opera, tra linguaggio e presente, mescolando la trama del film e le osservazioni della stessa Duras. Le sue parole prendono vita grazie al talento di Valentina Bartolo e di Francesco Sferrazza Papa, diretti dal regista Paolo Bignamini, e alle musiche dal vivo di Corrado Nuccini, fondatore dell’iconica band del post rock italiano Giardini di Mirò.

Si tratta di un confronto, oggi forse più che mai necessario, intorno alla domanda: si vuole, si può, si deve rappresentare l’orrore? Si vuole, si può, si deve provare a dire quello che non può essere detto?

Note di regia di Paolo Bignamini

Marguerite Duras è una scrittrice capace di maneggiare il tempo come pochi altri: di fronte al più grande trauma dell’umanità, la bomba di Hiroshima, sceglie di affondare lo sguardo nella memoria del più grande trauma individuale, il primo vero amore perduto, ucciso sotto i propri occhi.

Tragedie assolute e sproporzionate, accostamenti sacrileghi: «ciò che veramente è sacrilegio, se sacrilegio c’è, è Hiroshima stessa. Inutile essere ipocriti e spostare il problema».

Solo quando la protagonista di Hiroshima mon amour riesce a nominare, guardandola in faccia, la sua perdita, anche la perdita dell’altro allora diventa una mancanza reale. Un’assenza che brucia, come il calore di «diecimila soli sulla terra». Solo a quel punto, dicendo insieme Nevers – la città della sua giovinezza e del suo lutto – e Hiroshima – la città del crepaccio della coscienza collettiva -, solo allora tutto sarà diventato vero.

“Tutto” significa «duecentomila morti. Ottantamila feriti. In nove secondi».

Ed è lì che il tempo si annulla: nello stesso spazio – sullo stesso palco – la Francia occupata e la bomba di Hiroshima, due amanti perduti per sempre e due amanti ritrovati.

Un’anomalia del tempo: una compresenza che avvicina anche noi, spettatori chiamati in causa, turbati da ciò che sappiamo, che credevamo di conoscere, che ancora oggi ci assilla.

Dire, rappresentare, nominare: come possiamo circoscrivere con le nostre parole, con le nostre immagini, ciò che è stato, ciò che ci sopravanza, ciò che eccede? «Tu non hai visto niente a Hiroshima», eppure adesso, mentre sprofondo nel mio ricordo, ti vedo e ti riconosco.

Nella negazione più aberrante dell’umanità riemerge proprio ciò che è negato, l’umanità stessa: riconosciuta, sopravvissuta, imperterrita, spalancata. Forse, ancora una volta, nonostante tutto: salva.

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