Il pres. dell’Ordine dei Medici aveva paragonato, lanciando una provocazione, la situazione di insicurezza del personale medico di Napoli a quello dei medici di Raqqa:”Legittima iperbole, mi dimetto se mi viene chiesto”
Nei giorni scorsi si è scatenata la polemica su alcune dichiarazioni di Silvestro Scotti, presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli. Scotti aveva paragonato la situazione di precaria sicurezza in cui versano personale medico e 118 napoletano e campano alla condizione in cui lavorano i medici di Raqqa, la città della Siria distrutta dall’Isis. Si trattava chiaramente di una provocazione per evidenziare l’argomento e portarlo sui banchi istituzionali, ma molti non hanno accettato l’accostamento.
“Paragonare Napoli a Raqqa è stata un’iperbole retorica, legittima quando si arriva a 33 aggressioni in pochi mesi e le riunioni paludate non muovono di una virgola la quotidianità di cittadini e operatori. Iperboli che sono state usate a piene mani anche dal sindaco che oggi mi attacca. Sono pronto a dimettermi se me lo chiedessero cittadini e operatori miei interlocutori. Mentre ricevo migliaia di attestazioni di stima per la dedizione e il coraggio di dire quello che va detto». Ha dichiarato oggi il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli e provincia in un’intervista al IlMattino, ripubblicata sulla sua pagina facebook.
Si pente della frase che ha pronunciato? «Non mi riferivo a un paragone tra Napoli e quella città ma al vissuto di cittadini e utenti della sanità nel mirino di una violenza cieca, senza regole e senza oggetto. Qui non si tratta solo di aggressioni ai medici in un frangente di un soccorso concitato come pure è deprecabile e come avviene anche in altre città italiane. Si tratta di persone che lanciano un paletto di ferro colpendo un simbolo di civiltà, mettendo a repentaglio la vita di chi è intento a prestare soccorso a chi è in fin di vita. E non è un caso isolato, poche settimane fa a Forcella un individuo a bordo di una moto ha lanciato un sanpietrino per essere stato costretto a fermarsi da un’ambulanza in corsa. Questi atti sono l’espressione virulenta di una ferocia sociale che ormai non rispetta più niente».
«Ognuno ha il proprio ruolo e le propria responsabilità. I miei interlocutori sono i medici, oltre che i cittadini, prime vittime del degrado culturale, umano e sociale che hanno raggiunto livelli oltre l’asticella di guardia. Ricevo in queste ore migliaia di attestati di stima e di condivisione. Se dai miei interlocutori mi fosse chiesto di dimettermi lo farei subito. Invece plaudono al mio coraggio».
Quindi nessuna marcia indietro? «Sono figlio di un operaio dell’Italsider, sono fiero delle mie radici, ho sempre vissuto e ancora vivo e lavoro a Bagnoli. Sono orgoglioso di vivere e essere napoletano. Il clamore ha avuto il merito di accendere i riflettori su un nodo sottovalutato. Anche altri devono assumersi le proprie responsabilità. Prima che ci scappi un morto».
Si riferisce alle forze dell’ordine? «Le forze dell’ordine fanno il massimo e lo fanno anche bene. Una situazione del genere affonda radici nella società, nella gestione delle povertà. Nel degrado bisogna mettere le mani. Non è solo una questione di ordine pubblico. Proprio a difesa del volto sano di Napoli che ho pronunciato la mia provocazione. Ricordo che il sindaco e altri rappresentanti delle istituzioni vennero nei pronto soccorso ad indossare le simboliche pettorine antiproiettile che facemmo stampare per connotare i rischi che corrono i sanitari al pronto soccorso. In fondo la sottolineatura è dello stesso stampo».
Napoli che città è oggi? «Se a Napoli la movida si fronteggia con il coprifuoco, se in periferia una guardia giurata, un padre di famiglia, viene brutalmente assassinato senza una ragione plausibile, se un ragazzo che cammina in una zona centrale viene aggredito e accoltellato a sangue freddo da quattro coetanei è evidente che nel profondo della nostra comunità si sono formati grumi di violenza fuori controllo che bisogna denunciare e affrontare su tutti i piani senza infingimenti».
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