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Sentenza del Gup di Caltanissetta: condannato Montante a 14 anni (la sentenza)

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Il Gup di Caltanissetta ha emesso la sentenza per l’ex presidente di Sicindustria Antonello Montante, condannandolo a 14 anni di reclusione.

Dopo due ore di Camera di consiglio, la Gup (Giudice dell’Udienza Preliminare) di Caltanissetta, Graziella Luparello, ha condannato l’ex responsabile legalità di Confindustria che si proclamava paladino dell’antimafia a 14 anni di reclusione.

Secondo l’accusa Montante avrebbe costruito, con la complicità di esponenti delle Forze dell’Ordine che beneficiavano dei suoi favori, una sorta di spionaggio per avere informazioni sull’indagine per concorso in associazione mafiosa aperta a suo carico dai Pm di Caltanissetta e spiare quelli che riteneva i suoi avversari con dossier su di loro.

Era accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo a sistema informatico. Aveva creato il cosiddetto “Sistema Montante” una rete spionistica utilizzata per salvaguardare se stesso e colpire gli avversari per essere la testa di un “governo parallelo” in Sicilia.

La condanna è andata anche oltre le richieste del Procuratore Amedeo Bertone e dei Sostituti Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso, che avevano chiesto 10 anni e 6 mesi. Ed è già una condanna scontata di un terzo, poiché Montante aveva scelto di essere giudicato con il rito abbreviato, dunque a porte chiuse senza mai presentarsi neanche una volta in aula davanti al Giudice.

Condannati anche i componenti del “cerchio magico” di Montante: 6 anni e 4 mesi per Diego Di Simone, l’ex ispettore della squadra mobile di Palermo diventato il capo della security dell’associazione degli Industriali e che era il più fedele scudiero di Montante per gli affari cosiddetti sporchi, dagli accessi abusivi nella banca dati delle Forze dell’Ordine (per costruire dossier), ai contatti con alcune misteriose talpe istituzionali che provavano a spiare i Pubblici Ministeri e la dirigente della Mobile, Marzia Giustolisi.  Condannato pure Marco De Angelis, funzionario della Questura di Palermo, a 4 anni e che era il braccio operativo di Diego Di Simone. Tre anni a Gianfranco Ardizzone, l’ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta. Infine, assoluzione per Alessandro Ferrara, funzionario Regione siciliana.

Ci si era occupati più volte del caso in questione ed in ultimo con l’articolo “I Pm di Caltanissetta chiedono 10 anni per l’ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante”.

Il dispositivo della sentenza dà largamente conto della fondatezza dell’accusa e dello straordinario lavoro che l’ufficio della Procura di Caltanissetta ha svolto in questi anni e fa giustizia di alcune affermazioni che ho sentito durante il processo“. È quanto ha detto il Procuratore capo di Caltanissetta Amedeo BertoneNon so di cosa parli la difesa di Montante quando parla di pressioni che ci sono state sul processo Montante, certamente l’ufficio di procura si è mosso in condizione di assoluta libertà senza alcun condizionamento. Abbiamo cercato le prove per ricostruire questo sistema che ha trovato riconoscimento nel dispositivo della sentenza”. “La decisione della Commissione antimafia di indagare sul processo Montante non riguarda noi, certamente il sistema che è stato delineato dalle indagini può consentire sul piano della ricerca amministrativa e dei rapporti tra uomini che svolgono attività pubblica e altri soggetti, la necessità di un ulteriore verifica, quindi la Commissione vorrà acquisire ulteriore elementi“.

Un “cerchio magico” costruito attorno ad Antonello Montante, con la partecipazione di alti rappresentanti delle Forze dell’Ordine e un rapporto stretto con alcuni organi di informazione. Così, la Commissione regionale antimafia dell’Assemblea regionale siciliana, presieduta da Claudio Fava, aveva definito il ‘sistema Montante’. Un lavoro intenso, durato dieci mesi, con 49 audizioni. Una relazione, lunga 121 pagine, approvata all’unanimità dai commissari, frutto di centinaia di ore di audizione e decine di migliaia di pagine acquisite sia dall’autorità giudiziaria che dall’amministrazione regionale.

Claudio Fava incontrando i giornalisti aveva definito il sistema come un vero e proprio “governo parallelo” che “per anni ha occupato militarmente le istituzioni regionali e ha spostato fuori dalla politica i luoghi decisionali sulla spesa”. “Abbiamo assistito per anni a una privatizzazione della funzione politica che ha trovato un salvacondotto in una presunta lotta alla mafia. Parlo di sistema non a caso – aveva aggiunto Fava – perché si è andati avanti grazie alla benevolenza, alla complicità e alla solidarietà di personaggi appartenenti ai settori più diversi: da quelli istituzionali, a quelli delle professioni. Un sistema con una sua coesione che si è auto protetto”.

L’obiettivo che si è data la relazione della Commissione regionale Antimafia è stato quello di comprendere “i meccanismi che hanno reso possibile una lunga stagione di anarchia istituzionale“.

“La forzatura delle procedure, la sistematica violazione delle prassi istituzionali, l’asservimento della funzione pubblica al privilegio privato, l’umiliazione della buona fede di tanti amministratori, l’occupazione fisica dei luoghi di governo, la persecuzione degli avversari politici, fino al vezzo di una certa ‘antimafia’ agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per se stessi attraverso un sillogismo furbo e falso: chi era contro di loro, era per ciò stesso complice di Cosa nostra. Un repertorio di ribalderie spesso esibito come un trofeo: era il segno di un potere che non accettava critiche e non ammetteva limiti”, diceva Claudio Fava.

La Commissione antimafia aveva anche raccontato dell’esistenza di accordi per le nomine dei vertici istituzionali regionali: “Abbiamo accertato che alcuni dirigenti regionali sono stati selezionati attraverso dei veri e propri ‘provini’ fatti a casa di Montante che era un privato cittadino. In un caso un dirigente è stato indotto a mettere per iscritto che avrebbe mantenuto fede a certi impegni. Una sorta di scrittura privata usata come garanzia che i ‘desiderata’ di Montante sarebbero stati osservati”.

“I dirigenti erano di due tipi – aveva spiegato Fava – quelli fedeli da premiare, sottoposti a forme di quasi vassallaggio, e quelli da cacciare”.

“Dopo l’iscrizione di Montante nel registro degli indagati per concorso in associazione mafiosa e la diffusione della notizia sui giornali – aveva proseguito il presidente dell’Antimafia Claudio Fava – le tutele di cui Montante godeva, invece di venir meno si sono addirittura rafforzate”.

La Commissione antimafia ha ascoltato “tutti i dirigenti che si sono succeduti. Ci sono state due categorie di comportamenti nei loro confronti: quelli da premiare perché disponibili alla benevolenza e alle direttive e quelli che andavano cacciati via. Con liste di proscrizione elaborate a tavolino in cui si decideva quelli che dovevano uscire dagli assessorati”.

Fava aveva anche parlato dei “provini che questi dirigenti fossero chiamati a tenere prima di entrare all’assessorato. Provini da fare a casa di Montante. In un caso arrivando anche alla impudenza di fare mettere per iscritto al dirigente che doveva essere indicato dall’assessore, ciò che Montante voleva che facesse. Una scrittura privata totalmente illegittima in triplice copia: una da dare all’Assessore, una a Montante e una al futuro dirigente”.

Una letteratura di spionaggio dai contorni ancora tutti da definire. Che arriva fino al Quirinale con l’ombra delle intercettazioni distrutte tra l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano e l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino. E l’intervento di alti funzionari delle Forze dell’Ordine con l’aiutino di qualche amico giornalista. C’è tutto questo nel ‘Sistema Montante’, così come lo hanno ricostruito gli inquirenti, una storia ingarbugliata che vede come protagonista Antonello Montante, fino a poco tempo fa considerato un ‘paladino dell’antimafia’, fatta di spie ed ex amici, diventati nemici.

Ancora non sono noti molti fatti e atti. Ciò in quanto quando vi fu l’arresto di Montante, i poliziotti rimasero fuori dalla porta per quasi un’ora in attesa che si aprisse. Solo dopo si è capito il perché. L’ex paladino dell’antimafia, amico di politici, prefetti e giornalisti, dopo l’arrivo delle Forze dell’Ordine, avrebbe gettato dal balcone sei sacchetti contenenti diverse pen drive non prima di averle distrutte. O meglio, dopo avere tentato di distruggerle. Fino ad oggi, ufficialmente, non si è mai saputo il contenuto delle pen drive. Anche se la Procura ha fatto fare una perizia. Però il risultato non è mai stato depositato al processo perché Montante, con altri imputati, ha scelto l’abbreviato, quindi allo stato degli atti. Nel frattempo il processo continua per gli imputati che non hanno scelto il rito abbreviato.

Ad accusare Montante e i funzionari ‘infedeli’ sono stati anche alcuni collaboratori di giustizia, sette in tutto, che sono stati inseriti nella lista testi della Procura nissena nell’ambito del processo che si celebra con il rito ordinario. La Procura li ha citati per riferire sulla conoscenza dei rapporti intercorsi tra gli imprenditori Antonello Montante e Massimo Romano con appartenenti a Cosa nostra. Un capitolo a parte merita il ‘giallo’ delle telefonate intercettate tra l’ex Capo dello Stato Napolitano e l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino. Colloqui telefonici che sono stati distrutti dopo la decisione della Corte costituzionale nell’ambito del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.

C’è il sospetto che una riproduzione delle intercettazioni possa essere finita nelle mani di Montante. Forse custodita nelle pen drive frantumate da lui stesso il giorno del suo arresto nell’appartamento di Milano il 14 maggio 2018. O forse nascosta ancora in un luogo sicuro. Qualcuno potrebbe avere duplicato quelle telefonate per aver qualcosa in cambio? Agli atti dell’inchiesta ci sono oltre cento pagine dedicate alla ”forte preoccupazione” che prova Giuseppe ”Pino” D’Agata, colonnello dell’Arma in forza al servizio segreto civile, quando il ministero della Giustizia chiede ”spiegazioni” sulle telefonate del capo dello Stato. C’è anche una testimonianza, quella di Marco Venturi, ex amico di Montante, che parla ai Pm di una cena avvenuta “nella primavera del 2014” a Palermo. In quell’occasione Venturi avrebbe assistito a uno scambio di una pen drive tra D’Agata e Montante.

A

dduso Sebastiano

La sentenza:

TRIBUNALE DI CALTANISSETTA SEZIONE DEI GIUDICI PER LE INDAGINI PRELIMINARI

DISPOSITIVO DI SENTENZA

(artt. 544 e segg., 549 c.p.p.)

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice per l’udienza preliminare, dott.ssa Graziella Luparello, all’udienza del 10 maggio 2019, ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA

Visti gli artt. 438 e ss, 530 c.p.p., 376 c.p.

ASSOLVE

Alessandro FERRARA dalla imputazione ascrittagli al capo V) della rubrica perché l’imputato non è punibile;

visti gli artt. 438 e ss, 530, comma 1, c.p.p.,

ASSOLVE

Andrea GRASSI dalle imputazioni di cui al capo B) e al capo T), limitatamente alla condotta commessa in epoca successiva e prossima al 9 febbraio 2015, per non avere commesso il fatto;

visti gli artt. 438 e ss., 533, 535 c.p.p.,

DICHIARA

Antonio Calogero MONTANTE, Gianfranco ARDIZZONE, Marco DE ANGELIS, Diego DI SIMONE PERRICONE colpevoli di tutti i reati loro rispettivamente ascritti, nonché Andrea GRASSI colpevole del reato ascrittogli al capo T), relativamente ai fatti commessi nel dicembre 2015, e, esclusa per tutti gli imputati la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 2 c.p., riconosciute le circostanze attenuanti generiche a DE ANGELIS, riuniti tutti i reati sotto il vincolo della continuazione e applicata la diminuente prevista per il rito,

CONDANNA

Antonio Calogero MONTANTE alla pena di anni quattordici di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare;

Gianfranco ARDIZZONE alla pena di anni tre di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali;

Marco DE ANGELIS alla pena di anni quattro di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali;

Diego DI SIMONE PERRICONE alla pena di anni sei, mesi quattro di reclusione,

oltre che al pagamento delle spese processuali;

Andrea GRASSI alla pena di anno uno, mesi quattro di reclusione;

visti gli artt. 163 e ss c.p.

ORDINA

La sospensione della esecuzione della pena inflitta ad Andrea GRASSI alle condizioni e nei termini di legge;

visti gli artt. 29, 32, 32-quater e 317-ò/s c.p.,

DICHIARA

Antonio Calogero MONTANTE e Diego DI SIMONE PERRICONE legalmente interdetti per la durata della pena inflitta;

Antonio Calogero MONTANTE e Gianfranco ARDIZZONE incapaci di contrattare con la pubblica amministrazione per la durata della pena inflitta; Antonio Calogero MONTANTE, Gianfranco ARDIZZONE, Diego DI SIMONE PERRICONE e Marco DE ANGELIS interdetti in perpetuo dai pubblici uffici;

visto l’art. 322-quater c.p.

ORDINA

a Marco DE ANGELIS il pagamento di una somma pari ad € 10.000,00 In favore dell’Amministrazione della Polizia di Stato a titolo di riparazione pecuniaria;

visti gli artt. 538 e ss., c.p.p.,

CONDANNA

Antonio Calogero MONTANTE, Marco DE ANGELIS e Diego DI SIMONE PERRICONE al risarcimento del danno in favore delle parti civili Graziella LOMBARDO, Attilio BOLZONI, Gioacchino GENCHI, Salvatore PETROTTO, Antonino GRIPPALDI, Gaetano RABBITO, Vladimiro CRISAFULLI, Pasquale Carlo TORNATORE, Marco BENANTI, Monica MARINO, Fabio MARINO, Gildo MATERA, Umberto CORTESE e Vincenzo BASSO, che liquida in € 5.000 per ciascuna di loro, nonché in favore delle parti civili Gianpiero Antonello Maria CASAGNI, Nicolò MARINO e Pietro DI VINCENZO, per un importo pari ad € 15.000 ciascuna, oltre che alla rifusione delle rispettive spese processuali, che liquida, per ciascuna di loro, in € 3.764,53, con distrazione in favore dell’Erario relativamente alle spese processuali sostenute da Pietro DI VINCENZO, e tranne che per Gioacchino GENCHI, al quale liquida le spese processuali nella misura di € 2.500,00, oltre IVA e CPA;

CONDANNA

Antonio Calogero MONTANTE, Gianfranco ARDIZZONE, Marco DE ANGELIS e Diego DI SIMONE PERRICONE al risarcimento del danno in favore della parte civile Salvatore IACUZZO, che liquida in € 5.000,00, e in favore della parte civile REGIONE Siciliana, per un importo pari ad € 70.000, oltre che alla rifusione delle spese processuali dalle stesse sostenute, che liquida in € 3.764,53 per ciascuna di loro;

CONDANNA

Antonio Calogero MONTANTE al risarcimento del danno in favore della parte civile Alfonso Maria CICERO per un importo pari ad € 10.000, nonché in favore del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia per un importo pari ad € 30.000, oltre che alla rifusione delle rispettive spese processuali, che liquida, per ciascuna di loro, in € 3.764,53;

CONDANNA

tutti gli imputati al risarcimento del danno in favore delle parti civili Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Caltanissetta, per un importo pari ad € 30.000, e Comune di Caltanissetta, per un importo pari ad € 70.000, oltre che alla rifusione delle rispettive spese processuali, che liquida, per ciascuna di loro, in € 3.764,53;

visto l’art. 331 c.p.p.

ORDINA

la trasmissione degli atti, alla Procura della Repubblica presso questo tribunale, per le valutazioni di competenza nei confronti di Lucia BASSO, Pietro CUZZOLA, Valerio BLENGINI e Mario PARENTE;

visti gli artt. 304, comma 1, lett. c), c.p.p. e 544, comma 3, c.p.p.

DICHIARA

Sospesi i termini cautelari durante il tempo necessario per la stesura della sentenza;

INDICA

in giorni novanta il termine per il deposito della sentenza. Caltanissetta

Il Gup

Graziella Luparello

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