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Castellammare di Stabia
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Vigilia di Foggia-JuveStabia: le parole di Nunzio Zavettieri (VIDEO)

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Nel corso della consueta conferenza stampa della vigilia, si è presentato in sala stampa al comunale di Casola il tecnico della Juve Stabia Nunzio Zavettieri.

Ecco le parole del tecnico in vista di Foggia- Juve Stabia, raccolte in quel di Casola dalla nostra redazione:

“Innanzitutto auguro buon anno a tutti i nostri tifosi e alla città di Castellammare. Iniziamo l’anno con una partita veramente difficile, forse la più difficile dell’anno, contro una squadra fortissima che è reduce da 9 vittorie nelle ultime 11 partite, in uno stadio difficile con una tifoseria importante. Spero sia tanto difficile tanto stimolante per i ragazzi, mi aspetto una gara importante dai miei, vogliamo iniziare bene la stagione. Purtroppo Ripa e Maiorano non sono al 100% e spero di recuperarli perché possono dare tanto alla squadra, Del Sante si è allenato bene e domani valuterò se e quanto impiegarlo, ma è felice e motivato di essere alla Juve Stabia. Il bulgaro in prova ha convinto, purtroppo ha avuto un problema e dobbiamo valutarlo, se sta bene credo che lo tessereremo, ha qualità importanti e si è integrato subito bene, ha tanta voglia di fare bene alla Juve Stabia e questo mi piace. Il mercato? La società sa che vorrei un esterno offensivo e stiamo lavorando per questo, se Migliorini andrà via prenderemo un altro difensore oltre ad Atanasov, se non dovessimo trovare nessun esterno all’altezza della Juve Stabia, resteremo così.”

 

 

https://www.youtube.com/watch?v=Ibh-8Ez1d-4

 

Morabito: “Al Napoli servono due giocatori. In estate intreccio tra Higuain, PSG e la clausola da 94 mln”

Vincenzo Morabito, intermediario di mercato, ha rilasciato alcune dichiarazioni al Corriere dello Sport: “I movimenti più importanti me li aspetto dal Napoli, Sarri ha bisogno di un difensore centrale perché Henrique è andato in Brasile e ci sono solo 3 centrali. Penso che l’uomo giusto sia Maksimovic, un pallino del tecnico. In più servirebbe un centrocampista in grado di dare più di Lopez e Jorginho: André Gomes del Valencia o Soriano della Samp sono l’ideale. Se non ci fosse stato il caso Benzema, lo avrebbe preso a giugno per sostituire Ibrahimovic. Adesso valuta Giroud, che piace anche a Zidane per il Real, Lukaku, offerto da Raiola, e Higuain pagando la clausola da 94 milioni”.

Milano, più lavoro ma precario: il 40% degli assunti ha il part-time con reddito ridotto. MATTEO PUCCIARELLI*

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Cala il numero dei disoccupati, ma il tasso dei senza lavoro (6,7%) è ancora il doppio rispetto a quello del 2008

Forse il grande freddo della depressione economica cominciata nel 2008 è finito, ma l’estate è ancora lontana. Per il lavoro a Milano e in Lombardia il 2015 è stato l’anno della ripresa; sicuramente lenta e con delle ombre eppure, dopo anni di segnali negativi, lo spiraglio si comincia a intravedere. Qualche dato? A livello regionale il numero di occupati dipendenti è tornato ai livelli pre-crisi, ovvero pari a quello dell’estate 2008 (oltre 3,3 milioni di occupati dipendenti). Il tasso di disoccupazione comincia a scendere sensibilmente. Sono 307mila, quasi 100mila in meno rispetto ad un anno fa, i disoccupati in Lombardia.

Allo stesso tempo si registrano 90mila occupati in meno in modo ormai costante e senza variazioni tra gli occupati indipendenti, ovvero tra gli autonomi (commercianti e artigiani) che hanno molto pagato gli effetti della crisi; il tasso di disoccupazione rimane quasi doppio rispetto al pre-crisi: ora è al 6,7 per cento e in calo, ma nel 2008 si trovava al 3,8 per cento, “quindi – spiega Roberto Benaglia della Cisl regionale – la disoccupazione da gestire e riassorbire continua ad essere un elemento importante del mercato del lavoro lombardo per la quale servono maggiori risposte”. Inoltre la creazione di posti di lavoro conta su un numero rilevante di contratti a part-time involontario (sono circa il 40 per cento del totale delle assunzioni), ovvero ad orari settimanali ridotti che non consentono redditi alti e adatti al sostentamento dei consumi familiari.

Il punto insomma è che il lavoro forse riprende, ma non sempre questa mini-ripartenza corrisponde a un miglioramento in termini qualitativi degli impieghi stessi. Ad esempio sono esplose nuove forme contrattuali atipiche a partire dall’uso inflazionato dei voucher, il cui utilizzo in Lombardia è triplicato in due anni andando probabilmente al di là del loro vero scopo, cioè remunerare piccoli lavoretti. “Negli ultimi due anni i lavoratori lombardi interessati ai voucher sono triplicati – continua Benaglia – passando da 49.203 a 144.100, per un totale di oltre dieci milioni di buoni lavoro riscossi”.

Luci e ombre, ma per la Cgil soprattutto le seconde: “La crisi ha avuto effetti strutturali – ragiona il segretario della Camera del Lavoro di Milano, Massimo Bonini – introducendo un mutamento profondo nei comportamenti delle persone chiamate a preferire modelli di condivisione e scambio, anziché soddisfare necessità di acquisto e possesso degli strumenti di uso quotidiano. E poi c’è stata una contrazione dell’orientamento all’innovazione che, al contrario, in tempi non lontani aveva caratterizzato il tessuto economico di Milano, consentendo di reagire alle crisi del passato”.

I numeri parzialmente positivi, poi, in parte potrebbero essere drogati dagli incentivi governativi alle assunzioni a tempo indeterminato (sono state 284mila in Lombardia, +74mila rispetto allo stesso periodo del 2014). “La significativa crescita degli avviamenti a tempo indeterminato, che a novembre 2015 segna un incremento pari al 38 per cento rispetto allo stesso mese del 2014, non ha modificato, nella stessa misura, la dinamica complessiva degli avviamenti e soprattutto degli avviati”, continua Bonini. Si tratta molto spesso, insomma, di vecchi rapporti di lavoro passati al nuovo indeterminato.

Anche l’Expo, che secondo alcune previsioni doveva fungere da miracoloso toccasana per l’economia, alla fine chissà se e quanto ha portato a casa: su Milano la disoccupazione nel 2015 è scesa di un misero 0,3 per cento. E questo nel mentre storiche grandi aziende continuano a dismettere rami d’azienda e a licenziare: dalla Ibm che a Milano ha “ceduto” 300 lavoratori alla Adecco, e il loro destino appare appeso a un filo, con l’impresa che rifiuta di sedersi ai tavoli di trattativa; fino alle vertenze aperte con Eni-Versalis e con la Candy a Brugherio, anche lì con centinaia di lavoratori coinvolti. Altre voci parlano di problemi alla General Electric di Sesto San Giovanni.

Come andrà, insomma, il 2016? “La strada per uscire dal tunnel è ancora lunga – sottolinea il segretario della Uil Danilo Margaritella – sulla ricollocazione degli over 50 e dei giovani si può e si deve fare ancora molto, investendo sulle politiche attive ad esempio”. Mentre secondo il segretario regionale della Fiom Mirco Rota, “nei prossimi mesi assisteremo a delle pesanti riorganizzazioni, se non a delle chiusure aziendali vere e proprie. È necessario che anche la Regione definisca delle linee per salvaguardare l’apparato industriale lombardo”.

*larepubblica

Henrique: “Sono felice di tornare in Brasile, spero possa andare tutto per il meglio”

Il difensore del Napoli Henrique è appena arrivato a Rio De Janeiro dopo il lungo viaggio iniziato ieri mattina da Capodichino. I colleghi brasiliani di GloboEsporte riportano le sue prime dichiarazioni: “E’ una nuova esperienza per me, sono molto felice di tornare in Brasile in un club come il Fluminense: spero che tutto possa andare per il meglio, ho scelto il Fluminense anche per ragioni familiari ma credo sia la scelta migliore per la mia carriera. Cercherò di ritagliarmi i miei spazi, farò il possibile per aiutare la squadra a raggiungere i propri obiettivi e rendere felici i tifosi: dipendesse da me, darei il 100% per renderli contenti. Non soltanto il Fluminense era interessato, ma anche altre squadre: ho parlato con alcuni compagni di squadra, mi sento in forma anche perchè a Napoli ero a metà stagione”.

Zapata, il DS dell’Udinese: “Con il Napoli potremmo parlare di un riscatto”

Cristiano Giaretta, ds dell’Udinese, ha rilasciato alcune dichiarazioni a calciomercato.com su Duvan Zapata, attaccante del Napoli in prestito alla squadra friulana: “Abbiamo deciso di prenderlo in prestito secco per 24 mesi perché non c’erano molti attaccanti in giro che potessero fare al caso nostro. Di solito non facciamo operazioni di questo tipo, ma con il Napoli ci si può anche incontrare e affrontare altri tipi di discorsi. In futuro potremmo anche sederci e parlare della possibilità di un eventuale riscatto in nostro favore”.

ISCHIA, CONTRO IL COSENZA CONFERMATO IL 4-3-2-1. SPEZZANI SUBITO IN CAMPO

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Ischia. Oggi alle ore 14:00 scende in campo l’Ischia Isolaverde contro il Cosenza allo stadio “Mazzella”. Un match difficile per i gialloblu di mister Bitetto,contro i Lupi allenati da mister Roselli che puntano a raggiungere l’obiettivo play-off. Prima partita dell’anno nuovo per gli isolani,ma anche l’ultima del girone di andata di Lega Pro girone C. Ci si aspetta un inversione di marcia, anche perché il 2015 si è concluso nel peggiore dei modi con una sconfitta in quel di Catanzaro per 3-0. La vittoria al “Mazzella” manca ormai da più di un mese.

In campo dal primo minuto c’è il neo acquisto Spezzani. In avanti è sempre emergenza dove mancheranno Orlando e Fall fermi a box. Bitetto conferma il 4-3-2-1. Difesa composta da Florio, Filosa che rientra dal primo minuto, Patti e Bruno davanti alla porta difesa da Iuliano. A centrocampo come già annunciato giocherà dal primo minuto Spezzani con Armeno e Calamai a lati. In avanti con il solo Kanoute che sarà il falso nueve agiranno alle spalle del senegalese Mancino e Izzillo. Tra i convocati anche il giovane De Clemente classe ’97 che proprio nelle giornata di ieri è arrivata l’ufficialità.

Le probabili formazioni

ISCHIA 4-3-2-1.

Iuliano;

Florio, Filosa, Patti, Bruno;

Calamai, Spezzani, Armeno;

Izzillo, Mancino;

Kanoute.

A disp. D’Errico, Guarino, Moracci, Porcino, Savi, De  Clemente, Meduri, Palma, Manna.

All.Bitetto

COSENZA CALCIO 4-4-2

Perina;

Corsi, Tedeschi, Blondett, Ciancio;

Criaco, Arrigoni, Fiordilino, Statella;

Raimondi, Arrighini.

A disp. Sarraco, Pinna, Di Somma, Guerriera, Minardi, Vutov, Cavallaro.

All.Roselli.

De Laurentiis non cede Gabbiadini e Strinic: no alla Samp!

La Repubblica scrive: “Non partirà Strinic che ha ribadito il suo futuro con grande chiarezza. «Venire a Napoli è stata una delle migliori decisioni della mia carriera. Sarri mi fa sentire importante anche in allenamento. Il Napoli ha due squadre per essere competitivo su tutti i fronti e io voglio farmi trovare pronto e sono sempre a disposizione. Le voci su un mio trasferimento sono soltanto speculazioni, penso soltanto a fare bene e a guadagnare spazio ». Lo avrebbe voluto volentieri la Sampdoria, ma il ds Giuntoli ha detto no. Stesso discorso anche per Gabbiadini: nessuno scambio con i blucerchiati”.

Pedullà: “Il Torino ha trovato il sostituto di Maksimovic”

Il Torino sembra aver trovato l’erede di Nikola Maksimovic: a svelarlo è l’esperto di mercato di Sportitalia, Alfredo Pedullà sul suo sito: “Un posto di primissimo piano è occupato da Luan Garcia Teixeira, semplicemente Luan, pilastro del Vasco da Gama, 23 anni da compiere il prossimo maggio. Luan agisce sul centro-destra, è molto bravo in fase di impostazione, è un pilastro dell’Under 23 brasiliana, paragonato a Mauro Galvao (idolo dei tifosi di casa). I contatti sono concreti, la trattativa è in una fase avanzata, il Toro giustamente ritiene di avere scelto il profilo giusto per sostituire Maksimovic. Giustamente perché stiamo davvero parlando di un eccellente interprete del ruolo, con ulteriori margini di manovra. Particolare importante: ha un contratto in scadenza nel 2017 e una clausola da 5 milioni. Insomma, basterebbe investire una parte dei soldi dell’operazione Maksimovic. Il Toro vuole pescare in Brasile, riflettori su Luan”.

Dopo Henrique, anche De Guzman e Zuniga vicini alla cessione

Tre cessioni entro fine mese, questo è l’obiettivo di Cristiano Giuntoli, direttore sportivo del Napoli: ha già provveduto alla cessione di Henrique al Fluminense, con il brasiliano partito nella tarda mattinata di ieri da Capodichino, e potrebbero presto seguirlo altri due azzurri. Come riporta il Corriere dello Sport, infatti, lascerà presto Napoli anche Camilo Zuniga, pronto ad andare al Bologna da Donadoni e che ieri “è sparito presto dal campo, segnale chiaro di una trattativa in via di definizione”. Potrebbe raggiungerlo in Emilia anche il centrocampista olandese Jonathan De Guzman: “se entro la fine del mercato non arriverà un’altra soluzione, l’olandese andrà in prestito al Carpi”.

Bonus, cifre e formula di trasferimento: era tutto fatto per Maksimovic al Napoli, ma Cairo…

Come riferisce la Gazzetta dello Sport, il Torino ha deciso di trattenere Nikola Maksimovic gelando di fatto le aspettative di De Laurentiis: Cairo non cederà a gennaio il serbo nemmeno per 25 milioni. In casa Napoli nelle ultime ore c’era un certo ottimismo, a Castel Volturno trapelava la sensazione che l’accordo (18 milioni più 2 di bonus) fosse stato raggiunto e che bisognava solo definire le modalità di pagamento. La formula era quella di un prestito con obbligo di riscatto tra sei mesi. Tutto questo però è sfumato ed ora Giuntoli è costretto a virare su altri obiettivi per la retroguardia. Il nome di Barba dell’Empoli resta valido, ma l’affare non è facile adesso visto che i toscani hanno Tonelli ai box. L’altro nome è quello del colombiano Eder Balanta del River Plate che ha un contratto in scadenza tra 6 mesi con la squadra argentina.

l’innocenza perduta dei 5 stelle. FRANCESCO MERLO*

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Si sporca in società il Movimento 5 stelle, entra definitivamente nella Storia d’Italia, che è storia di briganti politici e di politici briganti, con un ballo delle debuttanti dove c’è, nientemeno, il grillino camorrista, Giovanni De Robbio, il più votato in città, uguale uguale a Nick Cosentino, o’mericano. E balla anche il grillino garantista (peloso) Roberto Fico, parlando, pensate!, come un Cicchitto imbarazzato: “Aspetteremo la fine dell’inchiesta”. Balla la grillina sindaca contigua, Rosa Capuozzo, che era sì ricattata, ma “a sua insaputa” come Scajola al Colosseo. E Beppe Grillo balla come Martelli, quando fu eletto in Sicilia, e conta i voti che non contano: “Sono voti camorristi, ma non determinanti”. A questa sceneggiata alla Zalone manca solo il luogo, il “quo vado?”.

Ebbene il “quo vado” è Quarto, che somiglia alla Palermo di Ciancimino, un cancro edilizio inarrestabile, da 10 mila a 40 mila abitanti negli ultimi anni, due volte commissariata per mafia, un feudo del clan Polverino, al quale era affiliato anche il boss di riferimento del grillino De Robbio, il malacarne Alfonso Cesarano, che gestisce pure i prezzi e le tangenti di quel triste affare sporco che si chiama il caro estinto, la malavita organizzata nella versione della malavita eterna. Sceneggiò infatti anche il famoso funerale Casamonica.

Insomma questa Quarto non è la scogliera di Garibaldi, ma una specie di Corleone tra Napoli e Caserta, dove tutti conoscono il male di tutti (asinus asinum fricat) , tranne la sindaca grillina, che non fricat perché è “a sua insaputa”. Quarto è uno di quei terribili Comuni dove il vecchio Pci, come ha raccontato Isaia Sales sul Mattino di ieri, mandava solo i campioni di ferro e di purga, il senatore Eugenio Donise, il partigiano Mario Palermo, la testa d’uovo Pietro Valenza, e nei capoluoghi Giorgio Napolitano a Caserta, Bassolino ad Avellino, Chiaromonte a Napoli.

Con una classe dirigente più vessata ma meno controllata di quella comunista, il Movimento 5 stelle, grazie anche alla partecipazione straordinaria in campagna elettorale di Fico e Di Maio, vinse le elezioni con il 70,7 per cento dei voti e con lo slogan “liberiamo Quarto dalla camorra” appoggiato, ovviamente, dalla camorra. Lo provano le intercettazioni appunto di Cesarano che promette di portare a votare per la candidata sindaca “chiunque, anche le vecchie di 80 anni. Si devono portare là sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle”. Ma la novità qui non è la camorra-anticamorra che fu inaugurata dal mafioso Totò Cuffaro nel lontano 2005 con lo slogan “la mafia fa schifo”. La novità è il grillino camorrista, che Grillo rivendica di avere cacciato un po’ prima che l’inchiesta della magistratura diventasse stringente, ma che a Quarto, ovviamente, tutti conoscevano già, e proprio per questo aveva preso 972 preferenze: il più votato. Il consenso infatti è controllo del territorio e ai grillini non è stata messa a disposizione solo la camorra ma anche le parrocchie perché si sa che le preghiere, i ceri, i te deum e le devozioni sono lautamente finanziate dai peccatori sanguinari e dagli estortori che hanno fatto della Chiesa meridionale il loro covo, la banca dei loro sentimenti.

E anche qui non stupisce che i vecchi codici mafiosi siano tornati ad affermarsi sotto nuove vesti, ma amaramente diverte l’impaccio di Grillo e Fico, che pure hanno usato il web, il post e la rete, per epurare i dissidenti, premiare la delazione e eccitarsi nelle accuse agli avversari che sono tutti ladri, tutti maiali, tutti venduti, tutti mafiosi, tutti camorristi, tutti complici… E ora stanno invece difendendo, come farebbe l’Ncd di Alfano, la loro sindaca Rosa Capuozzo che non sapeva, non aveva capito, non si era accorta. Eppure era stata minacciata, addirittura con un dossier, dal suo compagno grillino camorrista che pretendeva il solito appalto di comodo. Ma Rosa Capuozzo non lo denunziò. Anzi, interrogata dal pm, prima negò e dopo, dinanzi all’evidenza, ammise solo un alterco ma non il tentativo di estorsione.

E mentre arriva il superpoliziotto Raffaele Cantone perché quel Comune grillino i mafiosi li ha pure aiutati davvero, chi conosce il Sud, che da sempre si definisce in rapporto al crimine, può capire facilmente lo spavento di Rosa Capuozzo che ha pianto in aula e anziché dimettersi si è rifugiata nel politichese e ha annunziato il rimpasto: “Dobbiamo creare un fronte unito contro la malavita organizzata che vuole infiltrare le istituzioni”. Il coraggio se l’è dato solo adesso: tiene famiglia anche se è grillina. Anche lei aveva quella voglia di vivere in pace che, prima che di Don Abbondio, è un impossibile pensiero meridiano tipicamente mediterraneo che si perde nella notte dei tempi, come spiegava il grande Braudel. Altre intercettazioni sono in arrivo. Altri consiglieri sono sospetti. Il Comune antimafia potrebbe essere sciolto per mafia.

A noi rimane l’amaro compito di registrare il debutto di quest’altra purezza politica nell’impurità della storia, perché come scriveva Turati già nel 1882: “È nel delitto, è in questa sciagurata materia che l’Italia ha un Primato che non è quello del Gioberti”. Ognuno ha avuto il suo ballo delle debuttanti. Senza correre troppo indietro, per il Pci il debutto avvenne con Greganti e i miglioristi di Milano, per i socialisti il ballo si aprì al Pio Trivulzio di Mario Chiesa, per la Lega di Bossi ballò il cerchio magico e fu crapula di famiglia: soldi pubblici finiti in comodato, diamanti, appartamenti, finte lauree… Ovviamente più pura è la purezza sbandierata e più sgargiante è la piccola macchia che sporca la bandiera.

Dispiace che la neoimpurità grillina diventi ora l’alibi degli impresentabili e dei peggiori, ecciti le vendette eccessive e un po’ sguaiate del Pd, legittimi tutti i mammasantissima del voto, come Vincenzo De Luca. I grillini non sono certo diventati delinquenti, anche se perdono qui la loro famosa alterità rispetto al sistema. Entra infatti a Quarto nel gioco italiano di guardie e ladri quella classe dirigente reclutata da Grillo e Casaleggio con i metodi bizzarri e sempliciotti che abbiamo imparato a conoscere: i video di autopromozione, il cartellino penale, mail, post, graticole, finte votazioni, un mondo virtuale inconoscibile e incontrollabile. Ci è parso che ogni tanto vi si fosse infilato – senza offesa – pure qualche minchione. Ora sappiamo che ci sono anche i diavoli. Torna a risuonare a Quarto l’eterno dilemma dell’Italia politica: meglio i diavoli o i minchioni?

*larepubblica

L’effetto Colonia condiziona Palazzo Chigi FEDERICO GEREMICCA*

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Un singolare destino, quasi un filo invisibile, sembra ciclicamente legare le sorti di Angela Merkel e di Matteo Renzi. Dichiaratamente duellanti sul proscenio europeo, tra le mura di casa vivono ormai da settimane acutissime e crescenti difficoltà dettate dall’identica emergenza: quella determinata da flussi migratori incessanti e ormai incontrollabili. 

Le difficoltà, certo, non sono nuove: ma nelle ultime 48 ore i fatti di Colonia, da una parte, e l’idea di depenalizzare il reato di immigrazione clandestina, dall’altra, le stanno amplificando a dismisura. 

Angela Merkel paga oggi la decisione (giacobina?) assunta quest’estate di accogliere in Germania tutti i profughi provenienti dalla Siria: e sta diventando, agli occhi dell’opinione pubblica, la responsabile numero uno del clima di paura e insicurezza che si sta diffondendo nel Paese. Matteo Renzi, d’altro canto – nonostante i sondaggi segnalino da tempo un malessere assai diffuso nel Paese – non deflette dalla linea che si è dato sin da subito in materia di immigrazione: se salvare vite umane in mare vorrà dire perdere qualche voto, ebbene sono pronto a perderli. Si tratta di una linea dichiaratamente apprezzata dall’Europa e dalle gerarchie vaticane: ma con i tempi che corrono, aggiungerci la depenalizzazione dell’immigrazione clandestina rappresenterebbe una sfida (una scommessa) dagli esiti incertissimi. 

E così, il provvedimento per ora resta congelato, perché le reazioni che ha determinato (nell’opinione pubblica, nel Parlamento e nella stessa maggioranza di governo) hanno convinto il presidente del Consiglio a prender tempo per meglio valutare le mosse da fare. A consigliare prudenza non è il merito del decreto legislativo immaginato – da tempo, anzi, caldeggiato da più parti – quanto l’«opportunità politica» di procedere al suo varo in un momento in cui i fatti di Colonia e lo stillicidio di attentati piccoli e grandi stanno ulteriormente amplificando una già diffusa sensazione di paura e insicurezza.  

A Matteo Renzi non sarebbe dispiaciuto andare controcorrente anche in questa occasione, così da rimettere alla prova – come per il Jobs Act e la riforma costituzionale, per citare solo due casi – la sua leadership sia nella «cittadella politica» che presso l’opinione pubblica. Non solo: non gli sarebbe dispiaciuto (e non gli dispiacerebbe…) varare tutti assieme – e a inizio anno – provvedimenti come la legge sulle unioni civili, quella sul diritto di cittadinanza e appunto il decreto in materia di immigrazione, capaci di ridare un profilo più definito – e più «di sinistra» – al suo Pd. Molti, però – anche dall’interno dello stesso Partito democratico – gli hanno consigliato un colpo di freno, almeno sul reato di clandestinità: invocando, appunto, motivi di «opportunità politica». 

E’ possibile che fermarsi a riflettere sia la scelta migliore; è certo, però, che un buon provvedimento non vedrà per il momento la luce – e non è la prima volta che accade – per l’impossibilità di spiegarne il senso e l’utilità. Una impossibilità – sia chiaro – determinata dal clima che si respira nel Paese dopo mesi (ma sarebbe più onesto dire anni) di uso demagogico, incivile e propagandistico di tutta la tragedia-immigrazione.  

Infatti, a meno che non si voglia considerare un successo l’arrivo in Italia nel 2015 di «solo» 170 mila migranti, l’aver introdotto il reato di clandestinità non ha sortito alcun effetto. Anzi: secondo magistrati e operatori di prima linea, quella scelta ha complicato e ostacolato la guerra a «trafficanti» e scafisti, oltre ad intasare i già sommersi tribunali italiani. Per altro, non è che la legge in vigore preveda – come qualcuno strumentalmente fa intendere – l’arresto per chi venga sorpreso sul nostro territorio privo di permesso di soggiorno (solo multe salate che nessun migrante, naturalmente, è in grado di pagare). In più, trasformando automaticamente tutti gli immigrati in imputati, ha reso più difficile la loro collaborazione (potendo, per legge, avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande degli inquirenti). 

Intervenire, dunque, sarebbe giusto: ma oggi non si può. E’ questa l’aria che tira. Non è un gran segnale per la nostra democrazia, ma bisogna prenderne atto. E magari ricordarsene quando si ripete che immigrazione e minacce terroristiche non devono cambiare le nostre abitudini e il nostro stile di vita. E’ giusto: come sarebbe anche giusto, però, tutelare il diritto-dovere di uno Stato sovrano di legiferare come e quando ritiene opportuno… 

*lastampa

Uomini di polso. MASSIMO GRAMELLINI*

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La storia di discriminazione rivelata da Carlo Tecce sul «Fatto» di ieri mette seriamente a repentaglio le nostre relazioni con l’illuminata monarchia saudita, tanto più che i protagonisti italiani sono alti funzionari ministeriali e megadirigenti di aziende pubbliche e private. Persone di indubbia autorevolezza e di ancora meno dubbia cultura, che sanno dire «è mio» in tutte le lingue del mondo.

I fatti. Era la notte dell’8 novembre e i nostri bighellonavano nel palazzo reale di Ryad al seguito di Renzi in missione per conto di Io, quando i dignitari sauditi hanno offerto a ciascun ospite un pacchetto infiocchettato. I lupetti alfa dell’economia italica lo hanno scartato con la ritrosia golosa di un bimbo alle prese con la slitta di Babbo Natale, salvo scoprire che qualcuno aveva ricevuto un micragnoso cronografo da poche migliaia di euro, mentre altri – non si sa in base a quali meriti – si ritrovavano gratificati di un Rolex del valore di un monolocale in centro. I cronografati vivevano la disparità di trattamento come un insulto al loro prestigio. I muri del palazzo rimbombavano delle urla di questi nullatenenti da un milione l’anno di stipendio che si contendevano gli orologissimi polso a polso. Per rimediare, sia pure tardivamente, al sopruso commesso, i sauditi hanno rovesciato sui rivoltosi una pioggia di Rolex di tutte le taglie che in un soprassalto di dignità nazionale gli uomini della scorta di Renzi si sono premurati di requisire. Pare che adesso giacciano in un forziere segreto di Palazzo Chigi, pronti a essere riconvertiti in reddito di cittadinanza per manager disoccupati.

Anne Sexton, grande astro della poesia americana – la Vita, un delirio da bere a piccoli sorsi

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Anne Sexton

(di Virginia Murru)

Nonostante sia trascorso quasi mezzo secolo dalla sua scomparsa, Anne Sexton è un punto fermo della letteratura in tutto il mondo, ha avuto un ruolo importantissimo nell’Arte di scrivere in versi, e ci ha lasciato un patrimonio di scritti che rappresentano una sorta di ‘transfert’ dell’animo inquieto della poetessa americana. E’ conosciuta come Anne Sexton, ma il suo vero nome era Anne Gray Harvey, era nata a Newton, nel Massachiusetts, in una famiglia dell’alta borghesia, che la viziò con tutti gli agi possibili, ma non seppe offrirle forse le attenzioni e l’affetto di cui aveva bisogno.

Se, come sostengono gli psicoanalisti, l’infanzia e l’adolescenza costituiscono le fondamenta della personalità di un soggetto, e decidono anche il suo futuro equilibrio, certamente ad Anne Sexton qualcosa d’importante  deve essere mancato in quegli anni. Nonostante, dopo la sua scomparsa, tanti dettagli della tormentata esistenza siano poi confluiti nelle pagine della biografia, gli anni della sua formazione in famiglia restano nell’ombra, e forse lei stessa stese un velo di silenzio sulle esperienze vissute in quel periodo.

Secondo i biografi, in particolare Diane Middlebrook, quella che forse di più si è avvicinata alle profonde fratture della sua vita, alle vicissitudini e all’instabilità di Anne, non vi era intesa con i genitori, era piuttosto un rapporto conflittuale, ma basato sulle convenzioni del ceto sociale al quale apparteneva.

La Sexton non aveva dimostrato grande attrazione o inclinazione agli studi nel corso della sua formazione scolastica, aveva frequentato regolarmente l’iter previsto, fino all’iscrizione ad una scuola professionale, non certo stimolante per l’animo istintivo ed esuberante che aveva. Non concluse infatti gli studi, perché nel ’47, a soli 19 anni, sposò Alfred Muller Sexton. Un’unione irresponsabile, un modo come un altro per tentare di aprire una porta nuova nella sua esistenza, e soprattutto per raggiungere quell’indipendenza di cui il suo carattere autonomo aveva bisogno. E fu uno dei tanti errori che non si risparmiò.

Il marito era impegnato con l’esercito all’epoca, trovandosi spesso sola, decise di misurarsi in qualcosa che la scuotesse dalla staticità che non si conformava alla sua indole, così, intraprendente qual era, si dedicò ad un periodo di esperienze nuove,  ad una segreta passione, il lavoro di modella. La bellezza del resto non le mancava. Ma si trattò di una semplice parentesi. Poco dopo la sua mente fragile, nonostante l’apparenza impetuosa ed energica, le prospettò la prima sfida con il male divorante che sarebbe diventato l’ombra insidiosa del suo equilibrio e della sua esistenza: la tendenza agli stati depressivi, quel senso di non essere che le velava gli occhi e allontanava sogni e progetti dal suo avvenire.

L’instabilità emotiva, le oscillazioni dell’umore, erano la sintomatologia di questo male oscuro, emerso in seguito ad una depressione post partum, dopo la nascita del primo figlio. Inutile ribellarsi, minacciare di accartocciare il mondo, impartire ordini al soqquadro della  mente, inutile: avrebbe dovuto, suo malgrado, convivere tutta la vita con i pensieri e uno stato emozionale che deragliavano continuamente, nonostante la terapia farmacologica, nonostante l’assistenza di un terapeuta. Anne era intelligentissima, e affrontava il mostro osservandolo negli occhi, sfidandolo, anche, con la sua tendenza alla trasgressione; prendeva a morsi la vita ovunque vi fosse un vicolo aperto, una porta socchiusa.. E non le importava gran che di peggiorare il suo equilibrio ricorrendo all’alcool, se questo si rivelava un mezzo sia pure illusorio e fittizio, che sapeva portarla verso un oltre, purché non fosse la dura realtà del quotidiano.

Non aveva neppure preclusioni o argini di carattere morale, quando si trattava di concedersi qualche occasione con un partner al di fuori della sua relazione coniugale. Queste esperienze, poi fluivano dietro le correnti di quel fiume in piena che era il suo estro poetico.  Le congestioni del  vissuto destabilizzavano le giornate, e lei osservava quella dissolvenza negli angoli liberi della coscienza, non aveva nemmeno pietà di un profilo psicologico che rischiava di deturpare la sua identità, quella che gli altri potevano ‘intuire’,  oltre la compiacenza di una maschera quasi ineccepibile.  L’anomalo metabolismo mentale lo riversava nei suoi i versi, come fosse una catarsi che le consentiva di liberarsi della parte più sovversiva del  sé, o almeno, quella era la sensazione del momento. Ma erano solo fughe.

Lottò, Anne, lottò strenuamente e implacabilmente contro questa ombra subdola, che per lei era simile ad una dannazione, ma sembrava che stesse lottando contro un destino ineluttabile, che aveva già deciso per lei. Frequentò dei laboratori di poesia, e vi si dedicò con tutta la passione di cui era capace, ossia con grande slancio. Le parve in quel periodo di avere trovato la strada, quella che invano aveva sempre cercato. Ecco, la poesia era la seconda anima, e aveva le misure del suo pensiero inquieto, a tratti irrazionale. Teneva i corsi del laboratorio, Robert Lowell, che lei stimava molto. Qui, per una strana e inspiegabile circostanza della sorte, incontrò un’altra poetessa, Sylvia Plath, anche lei di Boston, innamorata pazza della poesia, come Anne. Più tardi, anticipandola di una decina d’anni, si sarebbe suicidata, e dopo la sua morte le sarebbe stato assegnato il tanto agognato ‘Premio Pulitzer’, esattamente come Anne, solo che lei almeno ebbe la fortuna di riceverlo quando ancora era in vita.. Sconcertante l’incontro di due destini così simili tra loro, ci fu anche una bella amicizia, fatta di confronti sulla produzione poetica, sulle sottigliezze del loro stile a livello espressivo. Poi le loro strade si divisero, chiamate dalla stessa voce, in direzioni diverse.

I loro caratteri non erano tuttavia simili; Anne era spregiudicata e irruente, disinibita, non c’erano paure che si frapponessero tra il suo desiderio d’essere e apparire, mentre Sylvia, soprattutto dopo l’incontro con l’uomo della sua vita, era più portata per la tranquillità degli affetti, pur amando allo stesso modo la Poesia e la narrativa. Entrambe aderirono allo stesso stile (non propriamente d’avanguardia), ‘lo stile confessionale’, ossia prettamente autobiografico.

Anne, nella sua poetica, aveva percorso sentieri fino ad allora interdetti alla società americana degli anni cinquanta, nei suoi versi troviamo temi come il divorzio, l’aborto, o puramente femminili, argomenti che avevano ancora aloni di un’eresia che rimandava ad epoche puritane nei luoghi in cui la poetessa era nata.

Scrisse tanto, le opere più rappresentative restano “To Bedlam and Part way back” – raccolta di testi pubblicati nel 1960 – “All my pretty ones” – del ’62 e “Live or die” del 1966, silloge che le valse l’assegnazione del Premio Pulitzer. Ma Anne era già notissima prima che le fosse assegnato questo importante riconoscimento, famosa anche in Europa. I suoi versi erano disarmanti, veri e acuti, precisi tecnicamente come frecce scagliate in un bersaglio, bellissimi. E ottenne molti altri prestigiosi riconoscimenti, che neppure ricordava se qualcuno gliene chiedeva conto..

Aveva tutto, aveva bruciato ancora giovane ogni traguardo, era ammirata e coccolata, ma il successo non divenne mai una droga nella quale affogare quel male sottile che l’assediava giorno e notte, avvelenando ogni conquista, ogni sorso d’aria pura. Si fidava più dei sedativi e degli psicofarmaci che della gente che aveva intorno, i farmaci erano i veri medium tra l’essere e il non essere, i soli veri amici del suo tempo.

Spalancare gli occhi come finestre in un cielo libero non serviva, sentiva d’avere tenaci catene ai piedi, nonostante tutto, che la condizionavano, le creavano impedimenti di ogni genere: la sua mente, il motore del suo sussistere, era schiava di qualcosa che non aveva né volto né anima, era una maschera oscura che divorava il suo tempo senza scampo. Non si arrese, continuò a scrivere, e nel ’69 pubblicò “Love poems” , altro riconosciuto ‘masterpiece’. Una carriera ormai solida, le sue opere erano credenziali che non avevano necessità di referenze, cosa mai poteva desiderare di più? Quello che non aveva, che non aveva mai avuto: la serenità e la pace interiore. Un miraggio. Nelle ultime opere, nei testi contenuti in esse e perfino nei titoli, era possibile già intuire la deriva e quel buco nero che l’attraeva inesorabilmente, e furono “The book of Folly” e “The Death Notebooks”, piuttosto eloquenti, un drammatico presentire, il suo..

Era iniziato ormai da anni il periodo più turbolento e instabile della sua esistenza, un conto alla rovescia inesorabile. Affetti e amici ne furono molto provati, era difficilissimo starle vicino, per via dei suoi sbalzi d’umore, e le reazioni spesso esacerbate dall’uso di farmaci e alcool. E tante furono le degenze in cliniche specializzate, diversi anche i tentativi di suicidio.

Nel 1974 arriva al capolinea della sua esistenza tormentata, dove l’angoscia in fin dei conti era stato l’elemento caratterizzante, un fumo nero che l’aveva circondata e  ostacolata,  insidiata e  irrisa.

A ottobre, dentro il garage della sua abitazione, dopo una giornata in apparenza normale, non peggiore di tante altre, lei aveva  già deciso che sarebbe stato l’ultimo ponte verso la vita. Accese la sua auto e si lasciò travolgere dal monossido di carbonio. Una scelta tragica, cosciente, le cui redini però erano in mano del tiranno che la governava: la sottile follia, unica e sola padrona di quel drammatico vissuto.

Postume furono pubblicate altre raccolte, tra le quali “Words for doctor Y” – “ Mercy Street”-

La letteratura ha perso quel giorno un Astro, che aveva brillato come pochi nell’Universo dell’Arte.

L’avversario, pres.Frosinone: “Il Napoli fa venire mal di testa…”

Ai microfoni di Radio Punto Zero, il presidente del Frosinone, Maurizio Stirpe, ha presentato il match di domenica tra il suoi ragazzi e il Napoli: “Non ho ancora affrontato gli azzurri, ma ho guardato il primo tempo contro il Torino: ho cambiato canale dopo quindici minuti perché mi faceva male la testa. Il Napoli andrà affrontato con le dovute cautele, non possiamo pensare di giocare provando a ribattere colpo su colpo. Sicuramente non snatureremo le nostre caratteristiche perché rischiamo di fare un pasticcio. Lo stadio è già esaurito, i biglietti destinati ai tifosi azzurri sono finiti in 36 ore. Escluso Higuain, Insigne mi sta colpendo molto. Domenica ha fatto un grandissimo gol. Mercato? Sento spesso De Laurentiis ma sarà difficile fare affari col Napoli per i parametri economici differenti. Con il presidente azzurro ho un ottimo rapporto”.

Felicità Reina, De Magistris rivela: “Vogliamo conferire la cittadinanza onoraria a Pepe”

Sempre più Reina. Ai microfoni di radio Kiss Kiss, infatti, il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, elogia il portierone azzurro e rivela: “Il comune sta pensando di conferire la cittadinanza onoraria a Pepe Reina.” Un rapporto che si stringe e diventa sempre più solido, dunque: giorno dopo giorno, partita dopo partita, parata dopo parata. 

Risolto il contratto con il calciatore Nicola Modesti

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S.S. Juve Stabia rende noto che è stato risolto consensualmente il contratto, in scadenza il 30 giugno 2016, con l’estremo difensore, classe ’90, Nicola Modesti. Al portiere va l’augurio di un futuro ricco di soddisfazioni personali e professionali.

Nome nuovo in difesa: il Napoli punta Barba

Il Napoli fa spese in casa Empoli. Secondo quanto riporta Tuttomercatoweb, infatti, gli azzurri sarebbero vicini all’acquisto del giovane Federico Barba, difensore classe 93, che tanto ha fatto bene in questi mesi in toscana. Il ragazzo piacerebbe tantissimo a mister Sarri che ricontrerebbe proprio al Napoli. 

Napoli, Strinic: “Sarri mi fa sentire importante, qui sto bene”

Ai microfoni di alcuni colleghi croati di SlobodnadalmacijcIvan Strinic, difensore del Napoli, ha parlato anche degli azzurri e del suo rapporto con mister Sarri: “Resto dell’idea che il mio trasferimento al Napoli sia stata la mossa migliore per la mia carriera. Anche perchè in Ucraina c’è questa guerra che dura da molto e non ho pensato solo al calcio. A Napoli ho una vita tranquilla, un livello migliore ed è importante per la mia famiglia. Trasferimento alla Samp? Solo speculazioni, il Napoli ha bisogno di due squadre ed il mio compito è aumentare la loro qualità. Quando sono arrivato ero infortunato, tuttavia Benitez mi ha rassicurato e devo dire che questo è accaduto anche col nuovo allenatore. In allenamento Sarri mi fa sentire importante. Ora arriva una serie di partite importanti in pochi giorni, dovrei giocare, molto probabilmente in Europa League contro il Villarreal. Abbiamo una squadra forte, il miglior giocatore è Higuain, una macchina da gol con una grande fame di gol.” 

Permesso premio per le feste a Giovanni Brusca

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Palermo – L’ex boss Giovanni Brusca ha trascorso le festivita’ di fine anno in permesso premio, fuori dal carcere romano di Rebibbia, per farvi rientro oggi allo scopo di partecipare in videoconferenza all’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, in cui e’ imputato, ma anche testimone e principale caposaldo dell’accusa. Il collaboratore di giustizia, reo confesso di centinaia di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, avvenuto venti anni fa, aveva goduto di permessi regolari fino al settembre 2010, ma un’inchiesta della Procura di Palermo aveva portato alla sospensione del “trattamento premiale” in suo favore. Secondo quanto scoperto dai carabinieri, infatti, l’ex capo del mandamento di San Giuseppe Jato (Palermo), gia’ fedelissimo di Toto’ Riina, avrebbe approfittato dei periodi trascorsi fuori dal carcere per curare affari personali, per gestire alcuni beni attraverso una rete di prestanome e per cercare di farsi restituire un appartamento di sua proprieta’, ma la cui titolarita’ formale era di terze persone. Il processo scaturito da questa vicenda si e’ pero’ concluso con l’assoluzione – oggi definitiva – di Brusca dall’accusa, derubricata da estorsione in tentativo di violenza privata. La fittizia intestazione di beni era stata invece dichiarata prescritta in fase di indagini per tutti gli indagati e ancora prima erano stati restituiti al capomafia i circa 200 mila euro che gli erano stati sequestrati e la cui provenienza era risultata lecita.

Da qui la nuova concessione di permessi premio, prima goduti regolarmente dal pentito, con una media di cinque giorni al mese trascorsi fuori dal carcere. Per le festivita’ di fine anno, come di consueto, Brusca ha goduto del permesso in formale stato di liberta’, ma sotto la scorta del Gom, il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria: e’ stato cioe’ comunque sorvegliato. Tutto questo avviene a pochi giorni dal ventesimo anniversario dell’orribile omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero per 26 mesi, allo scopo di indurre il padre, il pentito Santino Di Matteo, a ritrattare e poi fatto strangolare dal capomafia l’11 gennaio del 1996, in coincidenza con la sentenza che condanno’ lo stesso Brusca al suo primo ergastolo, per l’omicidio dell’esattore mafioso Ignazio Salvo. Secondo una notizia che si era sparsa in un primo momento ieri sera, il pentito avrebbe ottenuto la detenzione domiciliare, dopo essere rimasto in cella dal 20 maggio 1996, ma in realta’, secondo quanto si e’ appreso da fonti dell’amministrazione penitenziaria, si tratterebbe solo di uno dei permessi temporanei, gia’ concessi a Brusca sin dal 2004. Anche dodici anni fa, comunque, la notizia aveva scatenato polemiche pesantissime. Brusca, dopo quasi 20 anni di carcere, ha da tempo i requisiti per essere ammesso alla detenzione fuori dal carcere, come il fratello Enzo Salvatore, che la ha avuta gia’ nel 2003, e in ogni caso, poiche’ e’ stato condannato a una pena complessiva di 30 anni, potra’ ottenere la liberazione definitiva al piu’ entro il 2020.