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Rog, l’intermediario: “Mi sento di dire che l’operazione andrà a buon fine”

Le sue parole

A Radio CRC è intervenuto Stefano Antonelli, ex direttore sportivo del Torino adesso intermediario di mercato vicino all’agente di Marko Rog Fali Ramadani, rilasciando alcune dichiarazioni: “L’affare Rog? Io credo che alla fine le volontà assolute siano quelle, bisogna colmare alcune situazioni in una trattativa dove ci sono tre-quattro parti che ruotano attorno: oggi mi sento di dire che è una operazione che andrà a buon fine.

Rog al San Paolo per Napoli-Milan? Ci può stare. Le qualità di Marko sono indiscusse, è un prospetto tecnico e patrimoniale: dubbi non ce ne sono, Rog è un profilo di altissimo livello che il Napoli acquista a condizioni economiche importanti.

Gli azzurri stanno facendo un ragionamento intelligente, tra due-tre anni vogliono trovarsi con calciatori di valore pronti per vincere: al momento Rog non sposta gli equilibri, ma è il percorso per ottenere risultati nel tempo. Gente come Milik in un paio d’anni sarà al top del suo ruolo, mi piace il modo d’agire del Napoli”.

I Borghi magici ora rischiano di restare vuoti : Spelonga? Arquata?

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«Notizie da Spelonga? Il centro di Arquata?» Le prime immagini che sono arrivate nella notte, una notte spezzata male da quella scossa fortissima e lunga, erano una foto di crolli ad Amatrice e una da Spelonga. E la notizia di Arquata messa male, malissimo, con i primi due morti accertati.

Spelonga. Uno dei paesi del cuore. Alla congiunzione di due parchi: quello dei monti Sibillini e quello dei monti della Laga (più selvaggio, più segreto). Paese piccolo, una frazione, quasi sconosciuto agli ascolani stessi nonostante sia stato il set del film di Pietro Germi «Serafino», la commedia del ’68 con Ottavia Piccolo e Adriano Celentano pastore pazzerello. Paese sospeso nel tempo, non solo per le case in pietra con scale esterne e logge e dettagli a bassorilievo agli angoli delle vie o sui portoni – angeli in volo, rosoni, animali, motivi geometrici – e non solo per il bar dove trovi le bustine di zucchero aromatizzato all’anice tante volte per il caffè non bastasse la correzione alla sambuca. Sospeso nel tempo anche per la chiesetta con una bella falce e martello dipinta su un muro laterale e guardata a vista da un cane pastore abruzzese accoccolato al sole, per una cucina esterna equipaggiata di tutto punto (casseruole in rame appese alla parete, un tavolo quadrato coperto da una cerata, la bombola di gas collegata ai fuochi) di una casa lungo la stradello che dal paese conduce ai pascoli. Sembra una cucina messa lì per invitarti a sedere come in certe fiabe: Riccioli d’oro, Biancaneve.

Paese della Festa Bella, ogni tre anni, in cui si sale sulla montagna per cercare un albero grande da portare a braccia in piazza per rievocare la battaglia di Lepanto perché anche qui, come in ogni borgo dell’Italia centrale, d’estate si rievoca qualcosa di antichissimo, possibilmente medievale, quasi sempre un evento storico o religioso, meglio se tutti e due: di quella battaglia in cui gli spelongani combatterono in massa contro i turchi, si conserva, nella chiesa principale, un ampio lembo di bandiera nemica.

Tutto attorno al paese, i boschi. Boschi di faggi e castagni, boschi di carbonaie. Sotto, prima di tornare sulla Salaria antica e a Trisungo con il suo bel ponte romano sul Tronto, la frazioncina di Faete con, in una radura, la chiesetta della Madonna della Neve, una delle neviere che un tempo costituiva il frigorifero della comunità.

E davanti, Arquata. Uno spettacolo con la rocca del mastio che sorge dai boschi verdissimi del monte Ceresa con il grande Vettore sullo sfondo. Arquata e la frazione di Pretare, paese di fate al seguito della Sibilla appenninica. Arquata e la sua posizione strategica nei secoli: luogo particolarmente munito sulla via Salaria, snodo verso Comunanza e Fermo da una parte, snodo per L’Aquila via Amatrice dall’altra, strada per Norcia. Ma soprattutto, per me, Arquata e la strada che sale a Forca di Presta, la strada che sale in vetta e scavalla nella straordinaria conca di Castelluccio, dove ogni anno a luglio si ripete la meraviglia della fioritura della piana e dove ogni anno, puntualmente, andiamo.

Ecco. I paesi marchigiani del terremoto sono questi.  

Paesini bellissimi che a molti di noi rievocano vecchi viaggi in corriera, prima dell’apertura della Roma-L’Aquila, con i biglietti della Start che riportavano tutte le fermate, alcune dai nomi strani: oltre a Trisungo, Favalanciata, Quintodecimo, la più famosa Acquasanta Terme.

Altra frazione di Arquata è Pescara del Tronto, che come dice il nome, è paese di acqua, pescaia, sorgente del nostro acquedotto e della centrale idroelettrica di Capodacqua che serve tutta la valle e arriva alla costa.

Intorno, fra i boschi, borghi abbandonati, piccoli gruppi di case sparse ormai diroccate, villaggi spopolati dall’emigrazione verso Roma degli anni cinquanta e sessanta, come spettri – affascinanti ma sfasciati, gli scuri delle case in piedi ormai marci, le scalette d’ingresso piene di muschi, i cumuli di pietre, le strade interrotte da una frana, da un tronco d’albero caduto. Tallacano con il suo unico abitante, Venamartello, Cocoscia, Agore… ruderi abitati da tassi, ghiri, picchi, civette, ricoperti di rovi e felci e rampicanti. Paesaggi bellissimi, intatti, non toccati dal turismo, anzi quasi irraggiungibili, ben nascosti, da cercare dopo aver chiesto mille indicazioni. Villaggi-monito: in un attimo i paesi di montagna si sono fatti deserti, gli abitanti anziani spenti poco a poco, i giovani tutti partiti. Ma quelli erano i paesi più inerpicati, più alti, mentre Arquata e le sue frazioni, seppure piccolette (il comprensorio tutto insieme arriva a 1178 abitanti), sono lungo la Salaria, una strada viva.

Così adesso, il timore è tutto per quel che sarà. 

«Notizie da Spelonga? Il centro di Arquata?». Al mio messaggio buttato in rete al mattino e diretto ai giornalisti locali, risponde solo a sera un giovane cronista, Mario Di Vito, che è partito subito: «Non c’è più niente».

E’ stato ad Arquata, nella notte, salendo a piedi per la strada bloccata: «La torre è in piedi ma le case attorno sono crollate. E’ tutta zona rossa», mi dice. I paesi sono evacuati, vuoti. Gli abitanti nelle tende. Di Spelonga, di Faete non sa.

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lastampa/I Borghi magici ora rischiano di restare vuoti SILVIA BALLESTRA

Il ruttodromo della Rete sul terremoto : Rutto d’oro a Salvini, Bertolaso …

Rutto d’oro a Bertolaso, don Cesare e Salvini

Il ruttodromo messo in moto nella rete nel dopo terremoto è capeggiato dai soliti italioti: Guido Bertolaso, noto esperto di prefabbricati abruzzesi scoperchiabili e di massaggi a pagamento altrui, un parroco ligure, tale don Cesare, che ha spacciato la sua ricetta di mettere gli sfollati al posto dei migranti per «cristianesimo», l’immancabile Salvini che subito plaude e troppi altri ancora. Che pena e che vomito dopo tanti rutti!

Capri e caproni MASSIMO GRAMELLINI

Ma cosa c’entrano i migranti con il terremoto? C’entrano, c’entrano. Per parecchi nostri connazionali, teste sismiche e raffinatissime, lo scandalo dei disastri naturali in Italia non è rappresentato dalla mancanza di prevenzione e dall’eternità della ricostruzione. La vera vergogna è che gli sfollati dormono sotto le tende mentre i migranti pasteggiano a champagne, stravaccati nelle suite dei loro hotel a cinque stelle.

Nella nobile arte della ricerca di un capro espiatorio ieri si sono esercitati in tanti: da Guido Bertolaso, noto esperto di prefabbricati abruzzesi scoperchiabili e di massaggi a pagamento altrui, fino a un parroco ligure, tale don Cesare, che ha spacciato la sua ricetta di mettere gli sfollati al posto dei migranti per «cristianesimo», contraddicendo il titolare del marchio ma ricevendo in compenso il plauso di Salvini. Il ruttodromo della Rete ha dilatato l’ideona ad argomento di dibattito, ostentando una fiera resistenza nei confronti della realtà: nessuno sfollato vorrebbe allontanarsi adesso dai luoghi del dramma, i migranti non stanno in alberghi di lusso ma nelle topaie, e dei 35 euro al giorno a loro destinati (soldi europei, peraltro) nelle tasche dei profughi ne entrano non più di due, per cui l’indignazione andrebbe semmai indirizzata agli italiani che ci lucrano sopra. Mi associo alla richiesta del signor Pierpaolo Ascari: issare fino al diploma di terza media certi pensatori del web (e pure certi parroci) è costato alla collettività 63.900 euro. Fanno circa 38 euro per ogni giorno di scuola. Si possono cortesemente riavere indietro? Questo sì sarebbe cristianesimo.

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UFFICIALE – Champions, dal 2018 si cambia: quattro squadre per l’Italia

Lo riporta il sito uefa.com

“I format della UEFA Champions League e della UEFA Europa League per le stagioni 2018/19, 2019/20 e 2020/21 sono stati confermati ufficialmente. Mentre non sono previste variazioni al sistema delle due competizioni, cambiano le procedure di accesso”. Così comincia la nota pubblicata dal sito ufficiale della Uefa che comunica le novità per la prossime edizioni delle coppe europee. Ecco il comunicato che spiega nel dettaglio le modifiche.

Dopo una lunga consultazione con tutti i portatori di interesse del calcio europeo, la UEFA ha proposto alcuni emendamenti, che sono stati successivamente approvati dal Comitato Esecutivo UEFA su raccomandazione del Comitato Competizioni per Club UEFA e del consiglio dell’Associazione dei Club (ECA).

Che cosa cambia

– La vincitrice della UEFA Europa League si qualificherà direttamente alla fase a gironi di UEFA Champions League (oggi può eventualmente partecipare agli spareggi).

– Le prime quattro squadre delle quattro nazioni con il ranking più alto andranno direttamente alla fase a gironi di UEFA Champions League.

– Tutti i dettagli della lista di accesso per entrambe le competizioni verranno finalizzati entro la fine dell’anno.

– Nuovo sistema di coefficienti per club: le squadre saranno giudicate individualmente (viene a cadere la quota di rappresentanza nazionale per il coeffiente dei singoli club, a meno che il coefficiente sia inferiore al 20% del coefficiente della federazione).

– Per calcolare il coefficiente verranno considerati anche i successi nella storia della competizione (assegnati punti per i precedenti titoli europei con un sistema ponderato per la UEFA Champions League e la UEFA Europa League)

– La distribuzione finanziaria ai club sarà aumentata significativamente per entrambe le competizioni.

– Il nuovo sistema di distribuzione finanziaria, composto da quattro pilastri (quota di partenza, risultati nella competizione, coefficienti per singoli club e market pool), vedrà premiate maggiormente le prestazioni sportive, mentre diminuirà la quota relativa al market pool.

Che cosa non cambia

– Mantenimento dei percorsi Campioni e Piazzate per la qualificazione alla UEFA Champions League. In questo modo, si garantisce che i club di tutte le federazioni possano accedere attraverso i campionati nazionali e qualificarsi per entrambe le competizioni.

– La UEFA Champions League continuerà ad avere una fase a gironi a 32 squadre e una fase a eliminazione diretta a 16 squadre. Allo stesso modo, la UEFA Europa League rimarrà a 48 squadre.

Per determinare il futuro e la gestione delle competizioni per club, nascerà una società controllata che avrà un ruolo strategico: UEFA Club Competitions SA, in cui metà dei direttori amministrativi verranno designati dalla UEFA e l’altra metà dalla ECA.

A proposito delle variazioni concordate per il nuovo ciclo, Theodore Theodoridis, segretario generale UEFA ad interim, ha dichiarato: “L’evoluzione delle competizioni UEFA per club nasce da vaste consultazioni con tutti gli interlocutori e tiene conto di un’ampia gamma di competenze e prospettive”.

“Le modifiche continueranno a garantire la qualificazione in base a meriti sportivi e il diritto di tutte le federazioni e i loro club di partecipare alle principali competizioni europee”.

“Siamo contenti che il calcio europeo rimanga legato ai concetti di solidarietà, competizione equa, distribuzione uniforme e buon governo”.

Juve Stabia, in viaggio verso Catania

La Juve Stabia viaggia verso Catania con tante certezze e qualche dubbio

È cominciato ieri il viaggio verso Catania della Juve Stabia. Le vespe, che saranno impegnate domani alle ore 16.30 al Massimino, sono partite ieri alla volta di Lamezia Terme, località in cui hanno alloggiato per la notte di ieri e in cui rimarranno ad allenarsi questa mattina prima della partenza nel pomeriggio verso il capoluogo siciliano.

Al gruppo, che ancora una volta ha “postato” sui social istantanee in cui viene dimostrata la propria unione, non si è ancora aggregato l’ultimo arrivato l’attaccante Adriano Montalto (CLICCA QUI). L’accordo con il giocatore e la società proprietaria del cartellino è stato trovato ed è stato anche ufficializzato, ma l’attaccante di Erice sarà a disposizione del Trapani per l’ultima volta nel match di domani contro il Novara. Da lunedì sarà a disposizione di Fontana.

Non sono partiti alla volta di Catania gli infortunati Agostino Camigliano, per lui un problema fisico avuto quando ancora era tesserato con il Brescia; Paolo Capodaglio per lui infortunio durante l’amichevole con la Frattese; Matteo Liviero infortunatosi nella gara d’esordio in TIM CUP con il Livorno, a questi calciatori bisogna aggiungere Mamadou Kanoute che è stato squalificato l’anno scorso quando giocava con l’Ischia.

FOTOGALLERY – Maradona incontra Diego jr: gli scatti

Pace fatta tra Diego Armando Maradona e suo figlio Diego jr

Un abbraccio a Santa Maria del Tigre, città dell’area metropolitana di Buenos Aires, ha sancito la pace tra Diego Armando Maradona e suo figlio Diego Junior, nato trent’anni fa dalla relazione extraconiugale con Cristiana Sinagra. L’abbraccio ha messo fine a una lunga telenovela che sembrava lontana dal lieto fine. E invece, a sorpresa, il Pibe mercoledì ha voluto incontrare il figlio, impegnato in queste settimane nella versione sudamericana di “Ballando con le stelle”, in un hotel della capitale argentina, mettendosi alle spalle in un solo pomeriggio una vita di tensioni e litigi.

Foto tratte da Teleshow su infobae.com

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Le tecniche antisismiche sono state inventate dagli italiani, eppure …..

Mentre i terremotati iniziano a pensare al domani, un ingegnere dell’ateneo di Pavia ci spiega che l’Italia ha inventato le tecniche antisismiche per mettere in sicurezza gli edifici, ma non le usa. Questo avviene perché nel nostro Paese ci sono “problemi di risorse e di volontà politica”.

Le misure antisismiche che l’Italia progetta ma esporta e non usa CLAUDIO BRESSANI

L’esperto: «Il costo? Solo il 10% di quello che pagheremmo per la ricostruzione»

PAVIA Si chiama «seismic retrofit», ovvero adeguamento sismico: un complesso di tecniche per intervenire sui vecchi edifici esistenti e renderli più sicuri contro i terremoti. Un campo in cui gli ingegneri italiani sono all’avanguardia a livello mondiale. Eppure poi solo in rarissimi casi queste misure sono applicate nel nostro Paese. «È certamente un problema di risorse – dice il professor Paolo Bazzurro, docente di tecnica delle costruzioni allo Iuss di Pavia, uno dei massimi esperti italiani – ma anche di volontà politica, ovvero di scelte su come spendere i soldi. Purtroppo scontiamo decenni di scarse azioni. Spesso anche le comunità locali fanno resistenza, temono effetti negativi sul turismo».

IL BUONGIORNO Capre e caproni (di Massimo Gramellini)

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Per l’adeguamento degli edifici privati non ci sono obblighi di legge, solo gli incentivi fiscali del 65% per i Comuni inseriti nelle zone 1 e 2. Per gli edifici definiti strategici gli obblighi invece ci sarebbero, «eppure – osserva il professor Bazzurro mentre nel pomeriggio torna dalla riunione della commissione Grandi rischi a Roma – in tutto l’epicentro non è rimasto più un edificio pubblico agibile. L’ospedale è andato giù, le scuole pure, la caserma dei carabinieri è lesionata. Ci sono programmi per intervenire, ma poi per attuarli di solito si aspetta la catastrofe. Dove è stato fatto, come a Norcia dopo il sisma del 1997, ha dimostrato la sua efficacia. La forza del terremoto che l’altra notte ha colpito la cittadina umbra è stata solo di poco inferiore a quella di Arquata del Tronto. Quest’ultima è distrutta, mentre a Norcia non c’è stato un solo morto e credo neanche un ferito».

Cosa possiamo fare dunque per proteggere i vecchi edifici di cui l’Italia è piena? «Se partiamo con l’idea di trasformare quelli in muratura raggiungendo livelli di sicurezza comparabili con gli edifici moderni costruiti con criteri antisismici, bisogna rassegnarci: non ci si arriverà mai. Ma sarebbe già un grande risultato renderli sicuri, fare cioè in modo che non collassino e che la gente non resti sotto». E quanto costa? «Si può fare con una spesa abbordabile, nell’ordine del 10 per cento di quello che costerebbe la ricostruzione».

REPORTAGE Nel “giardino dei senza nome”, dove i parenti riconoscono le salme  

«Gli antichi edifici in muratura – osserva ancora il professore pavese – stavano in piedi con catene, tiranti, morsature agli angoli, tetti in legno. Poi le catene sono state tolte, magari per ragioni estetiche, le finestre sono state ingrandite, sono state aggiunte porte, il tetto è stato rifatto in cemento armato che pesa di più. Risultato: l’edificio è diventato più vulnerabile».

Per migliorare la sicurezza può bastare poco, dalle semplici piastre per aggiungere vincoli, ad esempio tra pilastro e trave, alla posa di tendini d’acciaio all’aggiunta di elementi di rinforzo come archi o puntelli. Per gli edifici in cemento armato si va dal rendere le colonne più resistenti con un «jacket», un cappotto di calcestruzzo o materiali compositi, all’isolamento alla base, cui si ricorre di solito per edifici più importanti come ospedali e che si può adottare anche per quelli esistenti, dopo averli «sollevati». All’Aquila è stato impiegato diffusamente anche per i moduli abitativi del progetto Case. Soprattutto per gli edifici in acciaio si usano gli smorzatori o dissipatori sismici. Altre tecniche più complesse, come il cosiddetto «slosh tank», si utilizzano per edifici più alti come i grattacieli.

Gli strumenti a disposizione sono parecchi, per decidere quali adottare serve un’attenta analisi delle caratteristiche di ciascun edificio. Certo, il problema è che sono centinaia di migliaia: «Ci vogliono tanti soldi – conclude il professor Bazzurro – ma sono comunque meno di quelli che spendiamo per ricostruire».

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Ad Amatrice la vita si è spostata dal paese alla tendopoli

Nella tendopoli gli sfollati cercano faticosamente di tornare alla normalità. Il ritmo è scandito dai volontari che preparano le brande, offrono pasti e giocattoli ai bambini.

Giocattoli, chitarre e voglia di libri. Prove di vita normale in tendopoli MATTIA FELTRI*

I volontari restituiscono portafogli, telefonini e documenti ritrovati fra le macerie. I bambini aprono scatole di cartone: spuntano peluche, palloni, aeroplanini

Amatrice, anziani a passeggio nel campo di tende
Amatrice, anziani a passeggio nel campo di tende

«Sa di che cosa avrei bisogno? Di una sigaretta». La donna è nella tendopoli del campo sportivo. Ha 52 anni, si chiama Marisa. Siede nell’erba col figlio che mangia un piatto di pasta. «Dentro fa caldo, non si respira. Stanotte si gelava. Abbiamo dormito per terra».

Ora sono arrivate le brande, a poco a poco arrivano anche i materassi. Entro notte arriveranno i condizionatori per scaldare il sonno e rinfrescare la veglia. Un gruppo di ragazzi mostra come si sta dentro. «Neanche tanto male, vero?». Dicono che vorrebbero dei libri. Si annoiano un po’. Ci sono ventiquattro tende della Protezione civile, ognuna contiene fino a dodici brande. È l’ora del pranzo, quasi tutti si sono spostati nel campo di calcetto a fianco dove si servono pasti caldi, oggi farfalle al sugo, mozzarella, pomodori, pane a fette, pesche. «Ci stanno pure le sarciccie, bone bone, pure ’n gotto de vino», dice Sabatino, 83 anni, in ansia perché la cagnolina Lilly è terrorizzata.

Lungo il campo si vedono coperte, giacche di pile, maglioni impilati su sedie pieghevoli. I bambini hanno qualche giocattolo, cavallini a ruote, tricicli, casette per le bambole. Qualcuno di loro sta giocando su un piccolo scivolo. Altri sono al parco vicino, sulle altalene con le mamme a fianco, o a giocare a calcio e a gridare a mani al cielo per un gol. «Avrei bisogno che mia figlia capisse, ha cinque anni, mi chiede quando torniamo a casa e io non so dirle che una casa non l’abbiamo più», dice una donna sulla trentina che non vuole dire il nome: «Non ne posso più, nemmeno di voi».

Ognuno ha un bisogno diverso. «Vi prego, datemi qualcosa con cui lavarmi», dice una donna in fila alla palestra, dove ci sono spaghetti, succhi di frutta, legumi in scatola, tute, felpe, Scottex, caramelle, pelati, scarpe. È roba che arriva da tutta Italia. Lei avrà bagno schiuma e sapone liquido. «Dicono che oggi arrivano le docce da campo, intanto vado alla fontanella». Maricika, 30 anni, romena, non ha bisogno più di niente ora che sua sorella è morta. Martedì sera era andata coi Vigili del fuoco di Bergamo nella zona rossa, il centro storico, a indicare il punto esatto in cui scavare. Però s’era fatto tardi, e ha preteso di dormire per terra, fra le macerie. Stamattina hanno tirato fuori la sorella, 35 anni. Il riconoscimento è stato fatto lì.

Durante il giorno si riempie il tempo così. Aspettando il turno di accompagnare i pompieri, o in fila all’obitorio allestito nei giardini della casa di riposo. Lì ieri una palazzina ha ceduto ancora un pezzo di sé sotto una scossa violentissima e breve che ha finito di demolire la scuola elementare. Elisa ha nove anni e la madre che piange. Elisa no: guarda la scuola dove tra poche settimane avrebbe cominciato la quarta elementare. Non sei contenta che non devi più andare a scuola? «No». Perché? «Perché no».

A fianco della scuola ci sono gli uffici comunali con la stanza dell’assistenza alla popolazione. I volontari consegnano i passaporti, i portafogli, i telefonini che trovano nelle case diroccate e la gente va a ritirarli. Oppure a dare descrizione dei dispersi: il colore degli occhi, un tatuaggio, una catenina. Se le cose tornano, si mostrano le foto dei morti scattate dai carabinieri. Sembra, ma la vita quotidiana è piena di incombenze, anche oggi, anche ad Amatrice.

Una donna – quante donne indaffarate! – porta i pacchi di viveri con la figlia Alessia, vent’anni. Non ce la fanno. Qualcuno le aiuta. «Devo tornare alla mia frazione, San Benedetto, perché devo badare alle pecore». Anche Sabatino ha le pecore: «Le ho chiuse perché la modernità ci ha portato i lupi sull’uscio. Me ne hanno mangiate già tante…». Alla tendopoli è arrivato un camion di una cooperativa di Fondi che regala pomodori, melanzane, peperoni. Tutti aiutano a scaricare, poi vanno su all’obitorio dove il vescovo di Rieti, Domenico Pompili, dice messa con un tavolino di plastica per altare. Un prete legge la prima lettera di San Paolo ai Corinzi. Il vescovo dice che si può pregare anche da arrabbiati. Anzi, è meglio. Cita Lutero: «Ci sono lodi più sincere in tante bestemmie che salgono al cielo». Un carabiniere riaccompagna una vecchia signora con gli occhi rossi. «È lui», dice a una ragazza. Ancora una scossa. A questo assurdo frullatore che ha prodotto migliaia di scosse non bada più nessuno. Semmai ci si anima perché da un furgone scendono volontari coi palloni e i coniglietti di peluche. «Chi li vuole i giocattoli?». Non c’è timidezza. I bambini strappano le scatole di cartone. «L’aeroplanino!». «L’orso!». «La chitarra!». «Io ne voglio due perché ho una sorellina». «Io no perché la mia sorellina è in cielo. Capito? È in cielo. In cielo!». «E lo so, è morta». Christian ha dieci anni e mette il muso. «Io non voglio un giocattolo. Voglio una tenda. Ma quanto ce vo’ per una tenda?».

È di nuovo sera. Non arriva mai la sera e poi arriva di colpo e fa subito freddo. E poi sarà domattina, e ci sarà un’altra giornata piena, in cui ognuno andrà qua, là, farà questo, quello, perché Amatrice è anche la città dei vivi.

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*INVIATO AD AMATRICE (RI)

Juve Stabia Branding, ecco di cosa si tratta

Nel mondo del calcio si sente sempre più spesso parlare di marchi, brand, ricavi, sponsor ecc. Le società calcistiche non sono più ancorate esclusivamente al rettangolo di gioco ma anzi, gran parte del loro futuro si gioca su campi diversi da quello verde.
E’ in virtù di queste considerazioni che nei giorni scorsi in casa Juve Stabia è stato inaugurato ed annunciato il progetto “Juve Stabia Branding”, affidato al Dr. Enzo Logobardi ch entra a far parte della società gialloblù in qualità di responsabile del marketing.

L’idea che sta alla base di questo progetto è quella di ampliare la fama e l’appeal della Juve Stabia, rendendo la società stabile e forte non soltanto in campo ma anche nei rapporti con altre aziende, sponsor e società. Nel calcio moderno, infatti, solo il 40% dei ricavi proviene dalla vendita dei biglietti, mentre il restante 60% deriva proprio dalle partnership in tanti settori diversi da quello puramente di campo.

Il Dr. Longobardi avrà quindi il compito di espandere la conoscenza del marchio “Juve Stabia”, facendolo apprezzare non soltanto nell’ambito imprenditoriale locale, step questo imprescindibile, ma anche in ambito nazionale, con sponsorizzazioni ed iniziative commerciali che possano essere proficue sia per la Juve Stabia che per gli altri partner. Il tutto, ovviamente, favorendo i tifosi stabiesi con iniziative a loro dedicate.

Il programma che prenderà forma con “Juve Stabia Branding” si costituisce di vari punti sia nel rapporto con i tifosi, che in quello con altre società calcistiche e non. L’obiettivo è quello di far crescere la Juve Stabia sia in campo, cercando di riempire lo stadio Menti di tifosi, sia fuori dal campo, instaurando rapporti e relazioni positive con tante aziende.

L’importanza che avranno i tifosi stabiesi anche in questo aspetto è già sotto gli occhi di tutti. Prima iniziativa legata a “Juve Stabia Branding” è stata quella di mettere in vendita 250 scratch card di Lega Pro Channel, al prezzo speciale e scontato di euro 12,00 (anziché 19,00 euro) per vedere tutte le partite in trasferta delle Vespe sulla webtv Sportube. Chiaro quindi l’intento della società gialloblù: mettere a disposizione dei tifosi queste scratch card ad un prezzo inferiore alla norma, così da venire incontro alle loro esigenze ed avvicinarli alle Vespe alla vigilia di una stagione importante dentro e fuori dal campo (Per i dettagli CLICCA QUI).

Altro punto importante delle prossime iniziative sarà il settore distinti, non messo a disposizione della campagna abbonamenti dalla Juve Stabia. Il settore sarà teatro, settimana dopo settimana, di iniziative destinate agli ambienti scolastici e non solo del circondario. In tal modo tanti ragazzi delle scuole stabiesi si potranno avvicinare alla Juve Stabia a condizioni agevolate, legandosi ed appassionandosi ai colori gialloblù.

Non resta che attendere le prossime iniziative, con la conferma di un Patron Manniello che, sempre proiettato al futuro, vuole far crescere la sua Juve Stabia sia in campo che fuori.

Raffaele Izzo

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Incidente al Rione San Marco, investita una donna

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Questo il racconto dell’incidente del Rione San Marco

Una mattinata come le altre al Rione San Marco, lungo Via Giuseppe Cosenza, ma che poi è diventata movimentata e ha rischiato di essere segnata da un brutto episodio. Infatti, uno scooter, proveniente dal senso di marcia opposto, ha investito una donna intenta ad attraversare dal lato stadio Menti verso la Chiesa di San Marco Evangelista intorno alle 08:45. L’impatto è stato forte, tant’è che la donna è rimasta a terra dolorante. Subito soccorsa dai passanti e successivamente dall’ambulanza che l’ha trasportata al pronto soccorso dell’ospedale San Leonardo per ulteriori accertamenti del caso.

Il giardino delle vittime senza nome

Ad Amatrice c’è un posto che riassume il dramma: il “giardino dei senza nome”. Qui i parenti delle vittime vengono per tentare di riconoscere i propri cari. Un obitorio a cielo aperto dove decine di morti ancora non hanno un’identità. Il rischio è che non ci siano più neanche i loro parenti. Secondo i soccorritori in molti potrebbero restare senza un nome. Intanto ci sono state nuove scosse nelle zone colpite dal terremoto in Italia Centrale mentre si aggrava il conto delle vittime. L’ultimo bilancio parla di oltre 250 vite spezzate. Persone di tutte le età, spesso nonni e bambini accomunati da un tragico destino. Abbiamo ricostruito molte di queste vite sepolte dalle macerie perché descrivono il nostro Paese.

Nel “giardino dei senza nome”. Qui i parenti riconoscono le salme PAOLO FESTUCCIA*

Lo chiamano già il giardino dei senza nome. Un tempo ospitava gli anziani di Amatrice, oggi le vittime del terremoto. Alcune, la maggior parte di queste secondo i racconti, sono ancora senza identità. Senza un nome né un cognome. Allineate a pochi passi da quello che un tempo era il corso del passeggio centrale della cittadina montana da dove si scorgono poco più avanti le strutture attrezzate del primo campo di pronto intervento.

Le tende una accanto all’altra sono in tutto meno di venti. Al loro interno ci sono tra i dodici e i diciotto corpi. E lì che i sopravvissuti al sisma del 24 mattina si infilano. Anche per loro è l’ultima speranza: di vita o di morte che sia. La polizia scientifica ormai da giorni fa visionare foto e documenti (per chi li aveva, addosso, in verità pochissimi) al computer. È il primo dolorosissimo passaggio del riconoscimento dei corpi.

I cadaveri sono uno accanto all’altro. Sono decine che aspettano ancora un nome e cognome. Per quelle identificate c’è la restituzione delle salme, per gli altri il freddo delle celle frigorifere. L’ultimo atto è il certificato di avvenuto decesso. La procedura, del resto, è identica per tutti: un numero, una foto, i rilievi dattiloscopici e i prelievi del dna. Tutto registrato, archiviato, in attesa che «la ricognizione sul cadavere» fatta sulla vittima «possa dare esito positivo». Fuori e dentro le tende resiste solo la disperazione: sia per chi ritrova un figlio o un genitore morto sia per chi spera, a quarantotto ore dal terremoto, di trovarlo ancora in vita.

La fila è incessante, continua ma i corpi che reclamano un nome sono ancora molti. Tanti, troppi e forse non lo troveranno mai. «Almeno i due terzi di quelli che abbiamo qui…», si sbilanciano i soccorritori. Solo una cinquantina – ma il numero potrebbe essere destinato a cambiare col passare del tempo – in queste ultime ore avevano già un’identità certa. Ventinove quelli censiti la sera del 24 agosto dal consulente della procura Giovanna Scanzani. Gli altri aspettano ancora.

Tanti esempi, con storie diverse ma epiloghi analoghi. Ci sono volti ignoti che nessuno cerca perché nella tragedia della notte maledetta chi poteva o avrebbe potuto cercarli è morto insieme a loro. Oppure ci sono i cadaveri di uomini e donne senza parenti che nessuno conosce in città, e ancora corpi menomati che al primo riscontro fotografico nessuno ha saputo identificare. È il caso di un corpo decapitato o quello di altri straziati nel volto dal peso dei calcinacci. Ma tra tutti i casi, giovedì sera scorsa, allineato come gli altri, ce ne era uno che più degli altri però ha segnato profondamente i confini della tragedia di Amatrice. Quello di un bimbo, piccolissimo, di pochissimi mesi, come del resto è accaduto con Riccardo di Accumoli, anche lui di pochi mesi, che nessuno ha cercato o chiamato. Avvolto come le altre salme nel silenzio di una cerata argentata, in attesa di un nome e di una lapide da scolpire sul loculo.

Forse, raccontano le voci, anche i suoi genitori sono morti con lui. Insomma, ci vorrà del tempo non solo per ripartire ma anche per lenire il male delle ferite profonde lasciate dal terremoto. Un tempo che corre veloce e che non giova – come qualcuno ha lasciato intuire – al mantenimento in quelle strutture dei corpi martoriati. Di loro e del loro destino si è dibattuto a lungo. Si è discusso sia del luogo dove alloggiarli che del metodo per identificarli: se tenerli ad Amatrice o trasferirli altrove. In un primo momento si era pensato di identificare i cadaveri in loco per poi mettere in atto i trasferimenti, a cominciare dai non identificati. Tant’è che il Policlinico Umberto I di Roma aveva messo a disposizione 150 posti, mentre i restanti sarebbero stati ospitati tra gli obitori di Tor Vergata e quelli del Gemelli. Poi, il dietrofront di ieri mattina: tutti nelle tende climatizzate. E lì resteranno fin quando non saranno riconosciuti. Solo allora potranno ottenere il certificato necroscopico ed essere finalmente tumulati. Un’operazione lunga e difficile e necessaria perché, «senza identificazione – lasciano capire fonti della Procura – la restituzione della salma non arriva…».

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vivicentro/Il giardino delle vittime senza nome
lastampa/Nel “giardino dei senza nome”. Qui i parenti riconoscono le salme PAOLO FESTUCCIA*
*INVIATO AD AMATRICE

Volti e storie di alcune vittime del terremoto

Abbiamo ricostruito le storie di molte di queste vite sepolte dalle macerie perché descrivono il nostro Paese. Ad Amatrice c’è un posto che riassume il dramma: il “giardino dei senza nome”. Qui i parenti delle vittime vengono per tentare di riconoscere i propri cari. Un obitorio a cielo aperto dove decine di morti ancora non hanno un’identità. Il rischio è che non ci siano più neanche i loro parenti. Secondo i soccorritori in molti potrebbero restare senza un nome.  L’ultimo bilancio parla di oltre 250 vite spezzate. Persone di tutte le età, spesso nonni e bambini accomunati da un tragico destino.

Tiziana, Marisol, Ezio: i volti e le storie delle vittime del terremoto

Il bilancio delle vittime del terremoto che ha ferito l’Italia è ancora provvisorio. I soccorritori cercano di aprirsi una strada per individuare sopravvissuti. Ma la speranza si affievolisce con il passare del tempo. «Da diverse ore troviamo solo cadaveri», dice un ragazzo della protezione civile esausto a Pescara del Tronto. «Qui è peggio dell’Aquila», sussurra un altro volontario attonito. È un reduce del sisma che ha devastato il capoluogo abruzzese.

La Spoon River del sisma comprende intere famiglie, figli, genitori, fratelli. Tanti i bambini che non ce l’hanno fatta. Tra i morti c’è un marchigiano di 42 anni, Alessandro Neroni, che lavorava nella parruccheria di via Castelfidardo a Civitanova Marche: è morto ad Amatrice sotto le macerie dell’abitazione dei genitori, ai quali era andato a fare visita.

GRAMELLINI – Polvere e sangue, il volto della tragedia

ANSA

Anche Tiziana Lo Presti, 60 anni, funzionario romano del Dipartimento nazionale non ce l’ha fatta. Era esperta di terremoti, aveva speso una vita intera nella Protezione Civile a pianificare le strategie per risolvere le emergenze e ad aiutare gli altri, ma con Tiziana il destino è stato davvero beffardo. La morte l’ha sorpresa nella casa materna di Salette, una frazione di Amatrice dove si trovava per portare aiuto proprio all’anziana madre, in questi giorni ricoverata nell’ospedale del paese

Tra le vittime c’è anche l’assistente capo della Polizia Stradale, in servizio ad Aprilia, Ezio Tulli, di 42 anni. Tulli, spiega una nota della Polizia, ha perso la vita insieme ai suoi due figli, di 14 e 12 anni, nel terremoto ad Amatrice, dove erano in vacanza assieme alla moglie, rimasta illesa.

A rimanere sotto le macerie di un’abitazione familiare è stato il maresciallo dei carabinieri Giampaolo Pace, 43 anni, originario della frazione aquilana di Paolmbaia di Sassa. Il sottuficiale è deceduto in località San Giovanni di Accumuli (Rieti). Il suo corpo senza vita è stato trovato dai colleghi dell’Aquila dove viveva e lavorava da alcuni anni, dopo aver prestato servizio anche a Pescara, città nella quale si era fatto molto apprezzare per le sue doti professionali e umane. Nel momento della devastazione era solo in casa.

Straziante ed assurda la morte della piccola Marisol Piermarini, figlia di una giovane, sempre aquilana, scampata al sisma del 2009. È stata uccisa ad appena 18 mesi dal terremoto ad Arquata del Tronto. Dormiva nel suo lettino. La mamma, Martina Turco, aveva deciso di abbandonare L’Aquila dopo il sisma del 6 aprile 2009 trasferendosi nell’ascolano con il compagno Massimiliano.

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ANSA

Arianna Masciarelli, 15 anni, è morta nel crollo della casa dei nonni, colta nel sonno dalla scossa di terremoto che ha devastato alcune zone delle Marche e del Lazio. Era a Pescara del tronto a trascorrere un po’ di tempo con il papà e i nonni prima di riprendere la scuola. Frequentava il liceo artistico di Pomezia, in provincia di Roma, dove abitava.

Elisa Cafini aveva quattordici anni. Originaria di Pomezia, era in vacanza a Pescara del Tronto dalla nonna, insieme al cugino di otto anni. Entrambi sono morti sotto le macerie.

Era di Pomezia anche Andrea Cossu, 47 anni. Amante di cani (aveva due cocker), è morto morte a Pescara del Tronto nell’abitazione che gli avevano lasciato i genitori. La moglie si è salvata per miracolo.

La spagnola Ana Huete, rimasta uccisa nel terremoto, aveva 26 anni e si era da poco sposata con un italiano. La coppia, che gestiva una pizzeria a Granada, si trovava in vacanza ad Illica, uno dei centri più colpiti dal sisma. È stato il marito italiano di Ana, Christian, a dare la tragica notizia ai genitori che sono già arrivati in Italia.

Il terremoto ha diviso per sempre anche due giovani fidanzati, entrambi 21enni, il cui amore era sbocciato a L’Aquila grazie alla passione per la musica. Si trovavano in casa di lei, ad Amatrice, crollata in pochi attimi, e per Anna Grossi, flautista diplomata al Liceo musicale dell’Aquila nell’anno scolastico 2014-2015, non c’è stato nulla da fare. Il fidanzato, Claudio Leonetti, che studiava al conservatorio “Casella dell’Aquila”, è stato investito dal crollo ma i soccorritori lo hanno recuperato vivo anche se ferito in modo grave.

Dolore anche a Villa Lempa, frazione di Civitella del Tronto (Teramo) per lamorte del padre del parroco Don Stefano Iacono. Il genitore del religioso, che viveva a San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), per lo spavento della scossa ha avuto un infarto ed è morto.

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Aveva da poco festeggiato 44 anni. Nadia Magnanti era ad Amatrice, paese della famiglia della madre, insieme al marito e al figlio di 11 anni ad Amatrice, paese originario della famiglia della madre. È morta sotto le macerie insieme al figlio, si è invece salvato il marito.

Pierina, 52 anni, era arrivata a Pescara del Tronto da Milano, per trascorrere le vacanze di agosto nella casa di famiglia. Ma una volta arrivata si era accorta di non avere le chiavi per entrare: per questo aveva deciso di farsi aiutare a entrare comunque dalla finestra. Una decisione fatale, perché il terremoto l’ha colta, insieme alla figlia 16enne, proprio all’interno dell’abitazione: per entrambe, purtroppo, non c’è stato nulla da fare.

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Maradona, scoppia la pace con il figlio Diego jr: la ricostruzione dei fatti

Lo riferisce La Repubblica

Un abbraccio a Santa Maria del Tigre, città dell’area metropolitana di Buenos Aires, ha sancito la pace tra Diego Armando Maradona e suo figlio Diego Junior, nato trent’anni fa dalla relazione extraconiugale con Cristiana Sinagra. L’abbraccio ha messo fine a una lunga telenovela che sembrava lontana dal lieto fine. E invece, a sorpresa, il Pibe mercoledì ha voluto incontrare il figlio, impegnato in queste settimane nella versione sudamericana di “Ballando con le stelle”, in un hotel della capitale argentina, mettendosi alle spalle in un solo pomeriggio una vita di tensioni e litigi. L’incontro che è valso la riconciliazione padre-figlio ha trovato grossa risonanza sui media argentini: le maggiori testate hanno dato la notizia in apertura, ricostruendo nel dettaglio l’incontro. Sarebbe stato El Diez a contattare il figlio mercoledì: «Credo sia arrivato il momento di incontrarci, abbiamo molte cose da dirci e questa vicenda va avanti da troppi anni», le parole di Maradona. Immediata la replica affermativa del figlio: «Dimmi quando e dove, ci sarò». Il Pibe, che vive a Dubai ma vola spesso a Buenos Aires per incontrare le figlie, non ci ha pensato due volte e accompagnato dalla compagna Rocio Oliva e due avvocati s’è recato nell’albergo che ospita Diego junior. Sono stati proprio i legali ad annunciare al giovane Maradona che il padre aveva accettato l’incontro e lo stava aspettando nella hall. Indimenticabile, secondo i presenti, tra cui la moglie di Diego junior, Nunzia, la scena dell’incontro. Una “carrambata” in piena regola, culminata in un pianto a dirotto e un lungo abbraccio: «Ciao, è bello vederti, figlio mio», ha detto il Pibe riconoscendo ufficialmente, davanti ai legali di entrambe le parti, la paternità. La replica del figlio: «Ho aspettato così tanto questo momento». Determinante in questa vicenda la regia di Rocio Oliva, la compagna di Maradona, in contatto con Diego Junior edi suoi avvocati da inizio giugno, quando il trentenne napoletano era arrivato a Baires. Bisognava solo convincere l’ex numero 10 del Napoli e dell’Argentina, ma pare che siano bastati pochi giorni. L’incontro non s’è concluso con l’abbraccio in albergo: Maradona e Diego junior hanno parlato a lungo e sono rimasti insieme anche a cena in un ristorante poco distante. Il Pibe avrebbe evitato di toccare i delicati argomenti legati al passato più o meno recente. Come quando, nel 2003, su un campo da golf di Fiuggi aveva scambiato il figlio per un cacciatore di autografi mandandolo via, salvo fare retromarcia poco dopo. Anche quell’incontro s’era concluso con un abbraccio, ma le polemiche sono continuate fino allo scorso maggio, quando l’argentino aveva attaccando duramente il figlio: «Mi vuole vedere morto per godersi l’eredità, è sulla mia lista nera». Mercoledì l’ultimo cambio di strategia. La pace questa volta sembra più stabile, al punto che ieri sera i due avrebbero cenato a Devoto insieme a Rocio, Nunzia e alla figlia di Maradona, Jana. Un vertice di famiglia impensabile soltanto una settimana fa, un colpo di scena come quelli visti più volte in campo e nella vita. Diego Maradona junior, raggiunto telefonicamente, s’è detto felice di avere finalmente ottenuto l’incontro «per il quale lottavo da anni. Sono contento, ma quello che ci siamo detti resterà nella sfera privata. Spero che potremo avere finalmente un rapporto normale ». Felici anche la signora Sinagra e la moglie Nunzia, che ha scritto sul suo profilo Twitter: “Emozione senza fine”.

Della Valle: “Kalinic-Napoli? Non abbiamo ricevuto alcuna offerta”

Queste le sue parole sulla trattativa

Andrea Della Valle, presidente della Fiorentina, ha rilasciato alcune dichiarazioni riportate dall’edizione odierna di Tuttosport: “Jovetic? Sapete che ci sono calciatori che lasciano il segno e ai quali si resta affezionati. Stevan è uno di questi.

Kalinic lo vuole il Napoli? Ad ora non abbiamo ricevuto alcuna offerta né mi ha chiamato De Laurentiis. Comunque sono in tanti a volerlo. Ma lui è ancora qui”.

L’Italia sepolta dal terremoto

Nuove scosse nelle zone colpite dal terremoto in Italia Centrale mentre si aggrava il conto delle vittime. L’ultimo bilancio parla di oltre 250 vite spezzate. Persone di tutte le età, spesso nonni e bambini accomunati da un tragico destino. Abbiamo ricostruito molte di queste vite sepolte dalle macerie perché descrivono il nostro Paese. Ad Amatrice c’è un posto che riassume il dramma: il “giardino dei senza nome”. Qui i parenti delle vittime vengono per tentare di riconoscere i propri cari. Un obitorio a cielo aperto dove decine di morti ancora non hanno un’identità. Il rischio è che non ci siano più neanche i loro parenti. Secondo i soccorritori in molti potrebbero restare senza un nome.

Nonni e nipoti sotto le macerie. Le due generazioni cancellate NICCOLÒ ZANCAN*

La terra non smette di tremare, altri crolli. Almeno 250 morti. Oltre duecento estratti vivi Nei racconti il boato che anticipa la morte: “Eravamo a letto: una scossa e la casa è crollata”

Erano le ultime lunghissime giornate d’estate. Nonna Wilma cucinava il sugo con i pomodori e il guanciale. Nell’orto il pensionato Pietro Rendina si lamentava del fatto che non piovesse mai e le zucchine non crescevano bene. Nell’unico bar del paese, il circolo «Limungaturre», in onore di un avvallamento della montagna, giocavano un’altra partita a scopone.

Mentre Arianna Masciarelli, 15 anni, chiusa nelle sua cameretta, pubblicava un post su Facebook intitolato: «Motivi per preferire le ragazze basse. Le ragazze basse sono tenerissime quando baciano in punta di piedi».

I vecchi e i bambini. I nonni con i nipoti. I cugini insieme, ancora qualche giorno prima della fine delle vacanze. I genitori che salivano quando potevano, per dormire nel letto ricavato in soggiorno. Non è rimasto quasi niente a testimoniare la storia di questo paese. La vita lenta fatta di stagioni scandite. La neve, le stelle.

VITA E MORTE INSIEME  

Pietro Rendina e la moglie Clara Paradisi sono morti insieme dove si erano conosciuti ottant’anni fa. Sposati appena maggiorenni, hanno festeggiato le nozze d’argento e le nozze d’oro giù, sulla strada Salaria, al ristorante «La vecchia ruota». Lui lavorava nelle costruzioni. Faceva strade e casa con le sue braccia. Ma tornava sempre al paese, 135 residenti. Perché non c’era un altro posto migliore per vivere. Un paese senza nemmeno il nome delle strade. Tutti sapevano dove trovarsi. Dove di inverno ti scaldavi prima con la stufa a legna, e solo qualche volta ti concedevi di accendere quella a gas. Pietro Rendina e Clara Paradisi non se ne volevano andare. Anche se lui, ultimamente, camminava a fatica. E la figlia Ersilia, commessa ad Ascoli in un negozio di materassi, insisteva per farli stare in città più vicini all’ospedale.

L’EMIGRANTE TORNATO

A fare la spesa certe volte ci pensava Silvano Pala, una vita da emigrante in Canada e Germania, prima di tornare qui. «Passavo con un foglio a casa di Pietro e Clara. Prendevo le ordinazioni. Zucchero, farina, latte, il pane che resta buono anche quando diventa secco. Raccoglievo i soldi e facevo la spesa anche per loro e per tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, non potevano muoversi dal paese. Pietro aveva male alle orecchie, Clara era bravissima a cucinare. Li ho visti ancora la sera prima del terremoto. Stavano fuori seduti sulla panchina, uno vicino all’altra, davanti alla casa che avevano ristrutturato. Ricordo che si era messo anche lui a dare il bianco, controllava l’intonaco nuovo. Erano così orgogliosi di vivere lì».

LA VACANZA DELLE LICEALI  

Il circolo con il biliardino. La macellerie della famiglia Filotei. La rivendita di verdure sott’olio. Non c’era altro da fare, a parte parlare, camminare, stare in silenzio e guardare il cielo. E forse Arianna Masciarelli e Elisa Cafini, adolescenti, si annoiavano un po’ di quella noia che poi rimpiangi, se hai la fortuna di diventare grande. Erano entrambe di Pomezia, frequentavano il liceo Artistico. Elisa l’hanno trovata accanto al cugino di otto anni. Anche Arianna è morta dormendo a casa dei nonni. È stata un’assurda guerra in un luogo di pace. Il caos del terremoto ha avverato qualsiasi destino. I fratellini Leone e Samuele salvi, morto il nonno Vito Umbro, ricoverata la nonna Vitaliana. Giorgia di otto anni sopravvissuta, schiacciata dal corpo protettivo della sorella Giulia, che invece di anni ne aveva 10 anni. La nonna Wilma Piciacca tirata fuori assieme alla nipote Elisa, dalla stessa stanza irriconoscibile che condividevano per dormire. E adesso per Elisa c’è la pagina Facebook «in memoria di». Pierina Rendina a cui è toccato morire insieme alla figlia Lucrezia di 16 anni, anche se dicono che non avrebbero dovuto trovarsi lì. Erano arrivate da Milano la sera prima del terremoto, dimenticandosi le chiavi di casa. Ma non potevano mica tornare indietro a prenderle. E allora avevano preferito farsi prestare una scala dal vicino, spaccare un vetro, ed essere finalmente in pace. Villeggianti e residenti travolti insieme, scaraventati giù dal costone della montagna, una casa sopra l’altra. Anche ieri la terra non ha smesso di tremare provocando altri crolli. Il bilancio è di 250 morti e oltre duecento estratti vivi dalle macerie.

IL DESTINO SENZA SENSO  

Nei racconti il boato che anticipa la tragedia: «Abbiamo sentito la scossa, poi un tuono e la casa è crollata». C’era solo una coppia giovane che aveva scelto di vivere tutto l’anno a Pescara del Tronto, dove la terra veniva chiamato benevolmente «ballerina», perché aveva sempre tremato un po’ senza fare male. Era la coppia formata da Martina Turco e Massimiliano Piermarini. Lei era scappata qui dopo il terremoto dell’Aquila, in cerca di pace. Insieme avevano dato la vita a Marisol, che aveva diciotto mesi, ed è diventata la vittima più piccola di questo tragedia. Trovateci voi un senso, una geometria, un piano del destino se ci riuscite.

CON GLI OCCHI CHIUSI  

La figlia di Pietro Rendina e Clara Paradisi era salita per sincerarsi delle condizioni di salute degli anziani genitori. Adesso è ricoverata all’ospedale di Ascoli. Nella stanza a fianco c’è l’attrice Alexandra Filotei, 48 anni, che ha perso la madre Ada sotto le macerie resistendo per undici ore e tenendo sempre gli occhi chiusi in mezzo a quel disastro: «Avevo paura di quello che avrei visto. Sentivo odore di gas e lo respiravo. Pensavo che morire così fosse la cosa migliore».

L’ULTIMA BENEDIZIONE  

Il mondo perduto di Pescara del Tronto si ricompone ancora per un istante fra il pronto soccorso e la camera mortuaria. Sono tutti lì alle quattro di pomeriggio, nella luce accecante di una giornata di sole. Agosto. La luce dell’estate. L’ospedale è sulla collina, nella zona di Monticelli. La camera mortuaria era troppo piccola. Allora stanno allineando le bare nella palestra comunale. Sono sul campo da calcetto, circondate da poche file di spalti con i seggiolini gialle. Sotto ogni bara, c’è un lenzuolo che porta sul bordo lo stemma di riconoscimento dell’azienda sanitaria locale. Hanno appiccicato un foglio con il numero di riconoscimento della salma. La prima è quella di Irma Rendina, 29 maggio 1936. Un parente ha aggiunto un secondo foglio con lo scotch, con sopra scritto a biro: «Cremazione!».

Passa un prete con l’acqua santa delle benedizioni. Una donna è ricurva sulla bara numero 32, rannicchiata e immobile. Quella numero 18 è della badante Violeta Moldovan. Sono tutti qui, allora. I grandi e i bambini. Ci sono i nonni, le madri e i figli. Tutta quello che serve alla vita.

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Bagni: “Il Napoli deve già pensare agli ottavi di Champions!”

Queste le sue parole

L’ex azzurro Salvatore Bagni è stato raggiunto da Il Mattino per parlare del sorteggio Champions. Questi alcuni passaggi: “Difficile immaginare un sorteggio migliore di questo per il Napolì. Il Napoli deve pensare già agli ottavi di finale. Sono contento perché era andata sempre male agli azzurri e invece stavolta è andata alla grande. Forse solo al Leicester di Ranieri è andata meglio, ma neanche la Juventus si può lamentare. Vincere il girone, arrivare primo e sperare in un buon sorteggio anche agli ottavi. Il primo posto vuol dire prendere una seconda e la cosa potrebbe aiutare molto il Napoli nel suo cammino in questa competizione. Il Benfica è abituata alle competizioni internazionali, ma non per questo mi preoccupa più di tanto. Ha tradizione, buoni giocatori e un calcio che ti mette in difficoltà solo se non li metti sotto pressione. Per me è la candidata numero uno a qualificarsi al secondo posto del girone. L’ambiente non può dare fastidio perché non è più come una volta, quando entravi in quegli stadi e venivi lasciato al tuo destino. A Istanbul con il Besiktas l’ambiente sarà caldo ma non influirà più di tanto, mentre a Kiev non credo che ci sarà un pubblico particolarmente ostile. Uomini chiave? Vediamo innanzitutto come finirà il mercato, poi mi affido sempre a quelli più carismatici che poi sono quelli che ti trascinano: dico Reina e Hamisk su tutti”.

Diawara, a Bologna aspettano la documentazione firmata da De Laurentiis

Il calciatore non è ancora stato ufficializzato

L’affare che porterà il centrocampista della Guinea Amadou Diawara al Napoli al momento è in stand-by: il calciatore del Bologna ha già superato la prima tranche di visite mediche, ma non è ancora stato ufficializzato nonostante l’accordo chiuso attorno ai 14-15 milioni di euro. Tuttosport, riferisce che: da Bologna aspettano la documentazione firmata dal presidente Aurelio De Laurentiis”.

Gabbiadini-Everton, l’agente vola in Inghilterra

L’attaccante sempre più vicino all’addio

Ci sono novità di mercato per il Napoli, soprattutto in uscita: La Gazzetta dello Sport riferisce che l’agente dell’attaccante Manolo Gabbiadini, Silvio Pagliari, volerà in Inghilterra oggi per discutere con l’Everton: “perso Lucas Perez del Deportivo che è diretto all’Arsenal, sono disposti a mettere sul piatto 25 milioni per Gabbiadini: una offerta che farebbe felice il Napoli ed anche lo stesso calciatore, che comunque vede di buon occhio un’esperienza, ben remunerata, in Premier”. Partendo Gabbiadini, al Napoli servirebbe un’altra punta ed ecco Nikola Kalinic della Fiorentina.

Terremoto, il ‘sistema Viminale’ al lavoro

Il ministro Alfano in collegamento con le strutture per il terremoto presenti sul campo

Alfano ha preso parte ad una riunione nella sala operativa dei vigili del fuoco per un punto della situazione del terremoto anche con i prefetti di Rieti e Ascoli .

Briefing operativo in mattinata del ministro Alfano con i vertici dei vigili del fuoco. Dalla sala crisi del Centro operativo nazionale del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile al Viminale, infatti, Alfano, insieme al capo dipartimento Bruno Frattasi e al capo del Corpo Gioacchino Giomi, ha potuto contattare direttamente in collegamento video le sale operative dei comandi provinciali di Rieti e Ascoli Piceno e delle Direzioni regionali del Lazio, delle Marche e dell’Umbria, da cui vengono coordinate le azioni di soccorso.

Il ministro ha espresso il ringraziamento e la gratitudine del popolo italiano per l’impegno che in questa prima fase emergenziale stanno mettendo in campo gli oltre mille uomini dei vigili del fuoco, insieme ai circa cinquecento delle forze dell’ordine, coordinati dalle prefetture interessate dal sisma.

Sono, infatti, già 215 i salvataggi effettuati dai vigili e del fuoco mentre le forze dell’ordine stanno predisponendo i dovuti servizi per prevenire eventuali atti di sciacallaggio che comunque non sono stati registrati da nessuna questura.

Il ministro ha assicurato agli uomini sul campo il pieno appoggio del ‘sistema Viminale’ perchè in questo momento “la divisa dei vigili del fuoco è la divisa dell’Italia”.

Barano,Monti: ” Lavoriamo per essere pronti al primo impegno stagionale”

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mister-monti

La prossima stagione è alle porte. Ad attendere il Barano vi è la prima, storica, partecipazione al campionato di Eccellenza. Mister Monti mette in guardia i suoi ragazzi, ricordando come l’Eccellenza presenti dinamiche e valori diversi da quella Promozione salutata brillantemente ai play off: “ Posso dire – afferma il tecnico bianconero- che l’Eccellenza è un campionato molto difficile e diventerà con il passare degli anni sempre più complesso perchè, per via dell’eliminazione della categoria della Seconda Divisione e dell’esclusione di alcune squadre, calciatori di qualità sono stati costretti a “scendere” nei campionati minori. E poi a renderlo difficile ci sono piazze che hanno la possibilità di tesserare calciatori importanti e sostenute da tanti tifosi. Spesso capiterà che le partite non saranno giocate in un clima tranquillo, come noi desidereremmo, perciò dobbiamo sopperire ad alcune lacune, lavorando sul piano tattico, dell’intensità e ricorrendo alla nostra identità di gioco che ci ha contraddistinto nella passata stagione”. La maggiore intensità sul rettangolo verde non sarà l’unico valore a mutare nel passaggio all’Eccellenza. “L’intensità è necessaria in tutte le categorie, ma in Eccellenza è più facile essere puniti in caso di errore. Anche perché in tale categoria vi militano calciatori di grande qualità, che non perdonano gli sbagli degli avversari. Oggi (ieri per chi legge ndr) siamo riusciti finalmente ad allenarci tutti insieme, sebbene ad un orario diverso dal solito (alle 19). Abbiamo svolto un allenamento tattico con una partitina di una sessantina di minuti con la squadra quasi al completo e questo è un dato positivo”. Quella inaugurata lunedì pomeriggio è la terza settimana di lavoro. “Le sensazioni avvertite – afferma mister Monti – non sono diverse da quelle provate dalle altre squadre: vi sono problemi da risolvere, imprevisti che si verificano di volta in volta. Si lavora per risolvere tali aspetti e per presentarsi nel miglior modo possibile al primo appuntamento, la gara di Coppa Italia”. Nel mese di luglio il club aveva tesserato Carlo Siciliano, affidando le chiavi del centrocampo all’ex Casalnuovo. Il centrocampista, però, ha chiesto ed ottenuto la rescissione del vincolo.  “L’arrivo di un calciatore con determinate caratteristiche, come Siciliano, ci aveva portato ad impostare un certo tipo di discorso, poi, venuto meno lui, ci troviamo a dover cambiare. E non è sempre semplice. Cercheremo di gestire l’inconveniente nel miglior modo possibile, ed al momento siamo alla ricerca di un centrocampista e di qualche altra pedina per arricchire la rosa”. Almeno due colpi per rinforzare il mercato. In casa Barano la priorità è la difesa. Non a caso, da ieri si sta allenando con gli aquilotti il difensore Ciro Autiero, ex Procida e Mondragone.“Non saprei dire dopo una seduta se è un calciatore che fa al caso nostro.  Autiero è un calciatore che non conosciamo bene. Ha un buon curriculum e nei giorni di prova vedremo se le sue caratteristiche sono adatte alla nostra squadra”.