In sella a moto o scooter, quasi sempre in due: così le nuove leve dei clan sparano all’impazzata terrorizzando gli abitanti. Queste scorribande si chiamano “stese” proprio perché i passanti sono costretti a stendersi a terra per sfuggire ai proiettili
A Napoli i figli di Gomorra sparano per noia: i proiettili partono all’impazzata, non per punire o intimorire i rivali ma per il gusto di leggere il terrore negli occhi di chi rischia di diventarne il bersaglio, come ci racconta Grazia Longo.
Spari contro la noia: l’ultima follia dei figli di Gomorra
Napoli, allarme per le “stese” che terrorizzano i rioni. I passanti costretti a buttarsi a terra per non essere colpiti. Gli ultimi due denunciati: “Incutiamo paura, è un passatempo”
L’ultima svolta dei baby camorristi è quella del puro sadismo per combattere la noia. Sparando all’impazzata, nella cosiddetta «stesa», non per punire o intimorire gli esponenti di un clan rivale, ma per il gusto di leggere il terrore negli occhi di chi rischia di diventare bersaglio. Con un’indifferenza agghiacciante quasi più della violenza stessa, i due giovani, di 18 e 20 anni, denunciati dai carabinieri per la stesa di sabato notte a Marigliano, provincia napoletana terra del clan Filippini-Lucenti, hanno ammesso di aver sparato, per fortuna con una pistola a salve, «perché ci piace vedere la paura in faccia alle persone».
La noia come motore principale di due scorribande, a bordo di uno scooter. «Non sapevamo cosa fare, e allora abbiamo pensato di divertirci così, spaventando la gente» è la terrificante giustificazione. Dalla febbre del sabato sera, alla «paranza» del sabato sera. Se un tempo ci divertiva andando in discoteca, ora si preferisce terrorizzare il prossimo e imporre la propria autorità emulando i divi della fiction Gomorra. Entrambi i denunciati sono di San Vitaliano e appartengono famiglia camorriste.
Il maggiore, Remo Filippini, è il figlio di un esponente di spicco del clan Filippini-Lucenti, mentre il diciottenne, Luigi Palermo, è il nipote di un altro affiliato dello stesso clan. Remo Filippini era già noto alle forze dell’ordine per reati contro il patrimonio, mentre il diciottenne era in permesso dalla comunità, dove si trova per una rapina commessa da minorenne.
Almeno quattro i colpi esplosi, prima tra i clienti di alcuni bar e poi vicino le case popolari nei pressi del complesso del rione Pontecitra. Sul posto i carabinieri, agli ordini del comandante provinciale di Napoli Ubaldo Del Monaco, hanno trovato e sequestrato alcuni bossoli di una semiautomatica a salve. L’arma è stata sequestrata: si tratta di una pistola modificata con alcune cartucce nel caricatore. È stata recuperata in un nascondiglio nel retro di un’abitazione. La stesa di Marigliano segue di pochi giorni quella nel centro storico del capoluogo campano, ai quartieri spagnoli. Ma in quel caso un proiettile si è conficcato nel soffitto dell’abitazione del figlio di Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere di Poggioreale ucciso dalla camorra cutoliana negli Anni 80 all’imbocco della Tangenziale.
L’episodio di sabato notte, invece, più che un’intimidazione per vendetta o per imporre il proprio potere, racconta che la pistola è diventata uno strumento per combattere la noia. Più in generale, tuttavia, la stesa avviene sempre all’ombra della fascinazione criminale per la vita dei boss. Lo rivelano anche i social media. Su Facebook decine di gruppi raccontano la quotidianità violenta dei baby-gangster. Si chiamano «O’sistema», «Pane e malavita», «Detenuti noi siamo qua». E non pensiate si tratti di un fenomeno marginale: la pagina «Noi carcerati» conta oltre 70 mila fan. Spopolano le citazioni delle serie tv «Gomorra», «Narcos» e «Romanzo Criminale».
La sudditanza psicologica adolescenziale per la vita dei boss viaggia in rete. I ragazzini dal grilletto facile condividono i video delle «stese» nei gruppi di WhatsApp. Postano selfie su Instagram dove appaiono con facce seriose e pistole in mano. Tatuaggi, barbe lunghe e canzoni neomelodiche. Gli ex bambini delle paranze nelle foto non ridono mai. Gli slogan sono un elogio alla malavita, non c’è traccia d’ironia: «Meglio un amico camorrista che carabiniere», «la camorra è rispetto e onore», «chi galera non prova, libertà non apprezza», «nessuna pietà per gli infami», «noi pregiudicati viviamo da leoni e moriremo da leoni», «meglio schedati che servi dello Stato».
Molti giovani camorristi portano lunghe barbe «alla talebana»: sono i cosiddetti «barbudos», e il gup del Tribunale di Napoli Nicola Quatrano li paragona ai «militanti del jihad perché entrambi sono ossessionati dalla morte, forse la amano, probabilmente la cercano, quasi fosse l’unica chance per dare un senso alla propria vita e per vivere in eterno». Ma il sindaco Luigi De Magistris cerca di essere ottimista: «È in atto un tentativo di riposizionamento di pezzi di criminalità che vogliono cercare di occupare pezzi di territorio, ma non ci riusciranno perché la risposta dello Stato, della stragrande maggioranza dei napoletani e delle istituzioni sarà forte. È un momento difficile che supereremo, perché sono convinto che la Napoli migliore vincerà». Anche il cardinale Crescenzio Sepe ribadisce che «Napoli non è solo Gomorra, ci sono tanti giovani con sani ideali».
vivicentro.it/sud/cronaca
vivicentro/Gomorra 2.0: sparare per noia
lastampa/Spari contro la noia: l’ultima follia dei figli di Gomorra GRAZIA LONGO

Caos cattedre a Siena nel giorno della firma per l’immissione in ruolo nella scuola primaria: maestri e professori impugnano l’attribuzione dei punteggi, minacciano denunce ed esposti in Procura al punto che si è reso necessario l’intervento dei Carabinieri nella sede del provveditorato agli studi.


(…) Ezio Zingarelli procede in un percorso individuale di grande interesse, dove trova nella tecnica mista il suo stile e la modalità d’espressione pur tenendo come base la pittura, in composizioni dense di forza creativa nella ricerca sull’oggetto trovato trasformato in opera d’arte. Non solo tele, dunque, ma altri supporti e materiali come stoffe, manifesti, giornali, juta, che combina e pennella in mescolanze autonome. In questo senso è chiaro il suo intento culturale, oltre che artistico, e ne sono palesi le ragioni al fine di proiettare condizioni che prescindono da prospettive visive ma che nel vestire collage di colore cercano contrasti tra superfici sfuggenti. Inizialmente vicino agli espressionisti-astratti di matrice americana, attiva la manipolazione del senso percepito nell’estensione dell’utopia sociale dei nouveaux realiste, che supera nel divenire stesso dell’opera d’arte e nella distinzione tra artista e cut-up interpretativi, in una varietà letteraria stilistica allorquando frammenta i giornali e li ricompone mischiati in un senso logico per la sua rappresentazione. E continua la ricerca lontano dalle esperienze ludiche di certa arte contemporanea, non foss’altro per la maturità dell’iniziarsi creativo a sessant’anni, e trovarsi oggi a settanta in un percorso in cui ha bruciato tappe intermedie di riflessioni e di evoluzioni stilistiche. (…).




