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I nostri vestiti e il clima

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La frase “non ci sono più le mezze stagioni” trova senso compiuto osservando i nostri vestiti. Scrive Alberto Mattioli: “I giovani sembrano impermeabili al freddo e più in generale ai mutamenti climatici. Sono diventati atermici”. Le cause sarebbero tre: la moda, la globalizzazione, e l’effettivo superamento delle care vecchie stagioni.

Perché i ragazzi sono in maglietta anche con il freddo

È cambiata la percezione del tempo. Non il Tempo nel senso di fluire delle ore, ma come tempo meteorologico, temperatura, sole-pioggia, caldo-freddo e, in questo periodo, oddìo non si sa come vestirsi. I vestiti, appunto: sono loro a certificare che si è verificata una mutazione antropologica, o forse fisica, per cui oggi i «gggiovani» sembrano impermeabili al freddo e più in generale ai mutamenti climatici. Sono diventati atermici.

Fateci caso in questi giorni di termometro incerto, quando al sole non ci vuole il golfino, all’ombra sì, e di sera in ogni caso meglio mettere il soprabito. Macché: qualsiasi under 30, e magari anche qualche over (a questi però poi viene la febbre) va in giro dall’inizio di marzo in maniche corte, senza calze e, nei casi più estremi, in bermuda e infradito. Per lui, pare, fa sempre caldo. Sicché in questi giorni, per la strada, nella metro, sui tram, si vedono la madama con il cappottino e la ragazzotta in microgonna, il signore con ancora il cardigan sotto la giacca e il barbuto senza calze. Sotto il risvoltino, niente.

Le ragioni sono almeno tre. Intanto, quella modaiola e la moda, come insegnava Leopardi, è più forte anche della morte, quindi del Tempo con la maiuscola. L’hipsterismo è ormai un isterismo che si accanisce sulle calze, capo di vestiario contro il quale una parte sempre più consistente della popolazione sembra nutrire un’inspiegabile avversione. Qui c’è una curiosa contraddizione, almeno d’inverno quando, anche con dieci gradi sottozero, l’hipsterino de’ noantri sfoggerà in alto barbone e sciarpone egualmente lussureggianti e in basso pantaloni strappati e niente calze. Figuriamoci con venti gradi sopra. In questi giorni a spasso per Montenapo si aggirano giovin signori con completi impeccabili e scarpe griffatissime intervallati da quei raccapriccianti cinque centimetri di pelle nuda. I ragazzi a scuola, intanto, sono già in infradito. Ci vuole certamente un fisico bestiale. Ma, in effetti, le generazioni più giovani, che vivono in palestra trascurando colpevolmente il calcetto (ecco perché non trovano lavoro, direbbe il ministro Poletti), il fisico ce l’hanno e, giustamente, lo mettono in mostra nel più naturale dei modi: spogliandosi.

Poi, anche in questo caso il merito, o la colpa, di quel che succede è della globalizzazione. Se a Torino fa ancora effetto vedere qualcuno che vive in maniche corte da marzo a ottobre compresi, a New York è del tutto normale. Lì il nonno gira in cappotto, il figlio in giacca, il figlio del figlio in t-shirt. A Londra in dicembre nei locali si vedono fanciulle con i piedi nudi che poi, o per l’uso dei tacchi a spillo o per l’abuso di alcol, assumono quella colorazione rossastra che ricorda il roastbeef sul carrello degli arrosti del ristorante Simpson’s, sullo Strand. Insomma, se cambia lo stile di vita, è inevitabile che cambi anche lo stile dell’abbigliamento.

Infine, c’è una ragione climatica. Com’è noto, la madre di tutti i luoghi comuni, «non ci sono più le mezze stagioni», è stata confermata dalla scienza. Di conseguenza, sono spartiti anche i famigerati abiti, appunto, «da mezza stagione» dei diversamente giovani, quando si abbandonava lo spigato siberiano alla Fantozzi per qualcosa di meno pesante ma in ogni caso più del «fresco di lana» estivo (per i signori – intesi come categoria antropologica, non di genere – consisteva quasi sempre, chissà perché, in completi principe di Galles). Con la tropicalizzazione della Pianura padana, il passaggio dalle nebbie invernali (benché, com’è ri-noto, non ci siano più i nebbioni di una volta) a un’estate torrida con complicazioni monsoniche è diventato rapidissimo e repentino. Con grande gioia dei diversamente anziani, ancora capaci di illudersi che l’estate duri tutto l’anno.

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lastampa/Perché i ragazzi sono in maglietta anche con il freddo ALBERTO MATTIOLI

Juve Stabia vs Casertana, inizia la prevendita dei biglietti

Juve Stabia vs Casertana è il secondo match casalingo consecutivo per le vespe che devono tornare alla vittoria tra le mura amiche per competere con il Matera per la terza posizione e per mantenere a debita distanza le inseguitrici, con Virtus Francavilla e Siracusa a pochi punti di distanza. Sarà un’occasione da non fallire dopo il pareggio, di tre giorni fa al Menti, con il Catanzaro.

Per questo derby dell’amicizia la società stabiese ha comunicato i prezzi e le modalità per l’acquisto del tagliando d’ingresso allo stadio Romeo Menti.

Di seguito pubblichiamo il comunicato ufficiale della Juve Stabia:

S.S. Juve Stabia rende noto che sono disponibili in prevendita, fino alle ore 14,30 del 2 aprile, i tagliandi di ingresso per assistere alla gara Juve Stabia-Casertana, che si disputerà domenica 2 aprile alle ore 14,30 presso lo Stadio “Romeo Menti” di Castellammare di Stabia, valevole per la 32a giornata del Girone C della Lega Pro Divisione Unica 2016/2017. In occasione di questa gara, resterà chiusa la Tribuna Varano (distinti).

Inoltre, S.S. Juve Stabia rende noto che per la gara Juve Stabia-Casertana NON saranno rilasciati accrediti.

Di seguito i prezzi dei tagliandi:

Curva San Marco € 14 compresi diritti di prevendita

Tribuna Quisisana (scoperta) € 20 compresi diritti di prevendita

Tribuna Monte Faito (coperta) € 25 compresi diritti di prevendita

Tribuna Panoramica VIP € 100 compresi diritti di prevendita

I tagliandi potranno essere acquistati esclusivamente presso i punti vendita abilitati  che qui di seguito riepiloghiamo:

Bar Dolci Momenti – Via Cosenza

Bar Gialloblù – Viale Europa

Light Break – Corso Vittorio Emanuele

Centro Ricreativo Juve Stabia – Via Bonito

Agenzia B2875 Via Tavernola 113

Asa Gaetano Musella Via G.Cosenza 293

Per la gara Juve Stabia-Casertana, saranno messi in vendita, in numero limitato, tagliandi RIDOTTI per bambini di età compresa da 0-12 anni al costo simbolico di 5€ comprensivi di diritti di prevendita.

Patrizia Esposito

Finita l’epoca d’oro delle tonnare: ora è in gioco la sopravvivenza

“È finita l’epoca d’oro delle tonnare – scrive Francesco La Licata – ora è uomo contro ‘fera’, uomo contro animale, e in gioco c’è la sopravvivenza”. Le barche dei pescatori a Lipari si fermano: i lavoratori sono in sciopero contro i delfini, accusati di provocare un calo del 70% del pescato.

Uomo contro “fera”, la guerra del cibo nel mare che diventa sempre più avaro

Finita l’epoca d’oro delle tonnare: ora è in gioco la sopravvivenza

I turisti che, nei pomeriggi caldi, girano in barca per le Eolie o tra Marettimo e Favignana, oppure al largo di Lampedusa, stanno con gli occhi fissi sulle onde di cobalto in attesa della visione che possa farli emozionare.

Quando arrivano le grida gioiose vuol dire che hanno visto i delfini. Ed è uno spostarsi continuo, da un lato all’altro dell’imbarcazione, per non perdere nessun movimento di quella danza aggraziata. Un po’ meno emozione provocano, i delfini, negli equipaggi dei pescatori di qualunque latitudine. Il mare non è mai stato generoso coi pescatori, almeno con quelli che si spaccano la schiena a calare e tirare le reti. Maggior fortuna è stata riservata ai grossisti, cioè a chi mette il capitale, compra a poco e batte l’asta a prezzi decuplicati. Il marinaio ha mani piagate dal sale e tasche vuote. Sulla povertà dei lavoratori del mare c’è vasta letteratura tramandata in prevalenza oralmente.

Tra gli Anni Ottanta e Novanta chi andava in vacanza nelle «isole piccole» della Sicilia (Eolie, Egadi, Lampedusa, Pantelleria e Linosa) per comprare a buon prezzo le aragoste andava incontro ai pescatori nella speranza di incrociarli al largo, prima che fossero costretti a depositare il pescato nelle mani del mediatore-ras. E in questo breve incontro clandestino era possibile ascoltare molti racconti di tribolazioni causate dal mare. Molto spesso dai delfini che, come oggi, rompono le reti e mangiano gran parte del loro contenuto.

È una strana guerra, quella dei pescatori contro i delfini. Non apertamente cruenta perché non si ricordano episodi di violenze su una specie molto amata, rispettata e – soprattutto – protetta. Anche se più d’una volta la sabbia mossa dalla burrasca ha restituito molte carcasse di cetacei, come nell’«Orcinus Orca» di Stefano D’Arrigo, dove i delfini, a dispregio della loro mite apparenza, vengono chiamati col nome di «fera». I pescatori hanno sempre subìto quasi rassegnati. Ma adesso dicono di non poter resistere oltre e chiedono non repressione sui delfini, ma almeno un qualche indennizzo. Come avviene quando entra in vigore il fermo biologico che tiene le barche a secco, in attesa della ripopolazione.

Non vive nel lusso chi vive di pesca. Ed è per questo che talvolta si scivola nell’illegalità: la ricerca dei frutti di mare «proibiti» ma desiderati e ben pagati o la «neonata», proibitissima perché la sua cattura allunga di molto i tempi della ripopolazione. Non è trascorso neppure mezzo secolo da quando il pescatore riusciva a malapena a barattare (accadeva a San Vito Lo Capo o a Scopello) sarde e sgombri con ortaggi e frutta. E i prodotti della terra valevano di più.

Più fortuna avevano quelli che riuscivano a lavorare nelle tonnare: si pescavano i tonni e si lavoravano negli stabilimenti fino all’inscatolamento. Ma il mare di quel tempo era davvero generoso. Negli uffici della tonnara Florio, a Favignana, una lapide certifica che in una sola stagione furono catturati 6828 tonni. Oggi è festa se nella «camera della morte», durante la mattanza, ne entrano duecento e non di grandi dimensioni. Il resto, il più appetibile, rimane molto più a Nord, ingabbiato coi sonar delle grandi navi che restituiscono il tonno direttamente nelle scatolette.

Fu quello (fine Ottocento metà Novecento) il periodo d’oro delle tonnare: Bonagia, San Vito, Marzamemi, Scopello, gli stabilimenti dei Bordonaro a Palermo, la bottarga di Siracusa. L’imperatore della mattanza era il «rais». I più bravi, come documenta Ninni Ravazza che sul tema ha portato avanti numerose ricerche, venivano addirittura assunti anche fuori, per esempio in Libia. Si racconta di mattanze di 8000 esemplari negli stabilimenti di Zanzur.

Oggi il mare sembra essersi asciugato, dà poco e non ci si può permettere il lusso di dividere il pescato con le «fere». E non è il caso di tentare sconfinamenti nelle acque dei cugini africani, come accadeva più spesso qualche tempo fa: ogni sequestro delle nostre imbarcazioni ha un costo che rende il rimedio molto peggiore del male.

Alcuni diritti riservati

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lastampa/Uomo contro “fera”, la guerra del cibo nel mare che diventa sempre più avaro FRANCESCO LA LICATA

Lo sciopero contro i delfini dei pescatori siciliani

Le barche dei pescatori a Lipari si fermano: i lavoratori sono in sciopero contro i delfini, accusati di provocare un calo del 70% del pescato. “È finita l’epoca d’oro delle tonnare – scrive Francesco La Licata – ora è uomo contro ‘fera, uomo contro animale, e in gioco c’è la sopravvivenza”.

“I delfini ci mangiano il lavoro”. I pescatori siciliani in sciopero

A Lipari barche ferme a oltranza: così non riusciamo più a lavorare

LIPARI (ISOLE EOLIE) – Da domani i pescatori delle isole Eolie sono in sciopero. Barche ferme nei porti, a tempo indeterminato, contro la voracità dei delfini che mangiano il pescato: la fame degli uomini contro la fame degli animali. «Ma non dite che gli eoliani sono contro i delfini, perchè per noi sono una risorsa al pari della pesca», avverte Marco Giorgianni, il sindaco di Lipari che è come dire il sindaco di sei delle sette isole dell’arcipelago. «Non ce l’abbiamo con i delfini – puntualizza Salvatore Rijtano, presidente del Co.ge.pa., il consorzio che riunisce buona parte dei pescatori delle Eolie – ma così non si può andare avanti e occorrono soluzioni definitive».

Accade che da un paio di mesi a questa parte, i pescatori eoliani rientrino in porto con le reti vuote o quasi. I delfini, che dell’arcipelago fanno parte da sempre come lo scoglio di Strombolicchio e la spiaggia nera di Vulcano, si avvicinano alle reti e, prima ancora che possano essere tirate su, le strappano e mangiano pesci e molluschi: «Abbiamo un calo di pescato che oscilla tra il 60 e il 70 per cento – spiega Rijtano – invece di tornare a casa con 10-15 chili di pesce, ormai i pescatori rientrano con 2-3 chili e non c’è modo di difendere pescato e nemmeno le reti, che vengono distrutte in maniera irreparabile». Alle Eolie ci sono due tipi di pesca, entrambe insidiate dai delfini. La più caratteristica è quella al totano che si fa in due fasi, con le «totanare» che richiamano i molluschi dalle profondità del mare, e quindi con l’«ontrato», una specie di gancio che a una cinquantina di metri di profondità recupera i totani e li porta in superficie: «I delfini attaccano l’ontrato – spiega Rijtano – e mangiano i totani prima ancora che vengano portati su».

L’altra pesca è quella tradizionale con le reti a tramaglio: «Appena si riempiono, i delfini le rompono e mangiano i pesci, facendo pure selezione e lasciando quelli meno pregiati come murene e scorfani», spiega il rappresentante del consorzio. I pescatori sono convinti che negli ultimi tempi le popolazioni delle due specie di delfini presenti nel mare dell’arcipelago siano aumentate. «In realtà – spiega la biologa Monica Blasi, a capo del Filicudi Wildlife Conservation che da 13 anni segue delfini e tartarughe delle Eolie – sono sempre gli stessi e anzi la specie Tursiope è in via di estinzione». Si tratterebbe di non più di un centinaio di esemplari, che però riuscirebbero ugualmente a mettere in difficoltà le 119 barche di pescatori delle Eolie: «Il problema è che i delfini hanno fame e siccome il mare delle Eolie è molto sfruttato – dice Blasi – prendono il pesce dove lo trovano. Alle Eolie non esiste un’area marina protetta e manca un piano di gestione della pesca. Questo ha un peso». «Occorre trovare un modo per rendere compatibile la presenza dei delfini – dice il sindaco Giorgianni – con le attività di pesca che qui coinvolgono duecento operatori su una popolazione di diecimila abitanti». «La soluzione – dice la biologa Blasi – sarebbe la riconversione dell’economia locale, più turismo sostenibile e più agricoltura, meno pesca».

Da maggio a luglio, lo stesso Filicudi Wildlife installerà su alcune barche di pescatori dei «Pingers», dispositivi che dovrebbero tenere i delfini lontani dalle reti. Ma è solo un esperimento, non è detto che sia davvero efficace. Per ora, dunque, i pescatori scioperano; sperando che ministero e assessorato regionale si accorgano di loro ed intervengano.

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vivicentro/Lo sciopero contro i delfini dei pescatori siciliani
lastampa/“I delfini ci mangiano il lavoro”. I pescatori siciliani in sciopero FABIO ALBANESE – LIPARI (ISOLE EOLIE)

La protesta degli ulivi e del TAP: scontri e feriti tra gli ulivi

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Il giorno dopo la decisione che autorizza la costruzione del gasdotto Tap (ndr: Gasdotto Trans-Adriatico) tra Italia, Grecia e Turchia, la protesta prende di mira le opere di espianto degli ulivi. La polizia carica i manifestanti, e l’opera andrà avanti.

Scontri e feriti tra gli ulivi: “Non vogliamo il gasdotto”

Rivolta nelle campagne leccesi dopo il via libera al cantiere del Tap. Il sindaco di Melendugno in testa al sit-in: «Anziani e bambini respinti dalle forze dell’ordine»

MELENDUGNO (LECCE) – Con il calare della sera gli ulivi della discordia incappucciati per il trasloco sembrano vivi come in un quadro di Van Gogh. Si è combattuto a più riprese in questo lembo di Salento tra San Foca e Torre Specchia Ruggeri.

Da una parte trecento cittadini decisi a difendere il territorio, dall’altra, oltre la polizia e le transenne del cantiere San Basilio, le ruspe della Trans Adriatic Pipeline in arte Tap autorizzate dal Consiglio di Stato a riprendere i lavori per la parte finale del corridoio europeo meridionale del gas, 3500 km in totale che dall’Azerbajan arrivano in Puglia.

«È una giornata nera per noi, gli agenti hanno caricato sindaci, donne, perfino un non vedente, questo gasdotto qui non lo vuole nessuno», spiega Tobia Lamare, 41 anni, «cittadino». Alle sue spalle c’è il presidio degli attivisti che dal 20 marzo scorso, data dell’espianto dei primi 33 ulivi, hanno piazzato una decina di tende sul terreno messo a disposizione della causa dalla «mamma di Sabina». Ieri, dopo due tornate di scontri terminate con otto feriti in maniera lieve da ambo le parti, gli operai hanno espiantato altri 28 ulivi ma i “no Tap” giurano che non permettaranno loro di arrivare a quota 211, il totale degli alberi da rimuovere con tanto di radici e zolla per essere poi ripiantati nello stesso posto a scavi per il microtunnel ultimati. Un lenzuolo appeso ai rami di una pianta a metà strada tra i due fronti traccia la linea del centrocampo, «L’Europa e il governo non dettano legge in Salento».

La storia del gasdotto inizia intorno al 2007 e, a detta degli insider, viene ignorata a lungo. È solo quando un paio di anni fa gli abitanti si accorgono del movimento dei camion che, complice la distanza ormai abissale tra territorio e istituzioni, inizia il braccio di ferro. Come nel caso della Tav buona parte dei sindaci della zona è contraria e contrari sono non solo i duri e puri dei centri sociali ma anche le madri e i padri di famiglia, i salentini semplici che, come dice il ristoratore Fabio, «non hanno magari la laurea ma distinguono il bene dal male». Ma mentre sul versante gasdotto si marcia compatti e forti del parere finora sempre positivo dei giudici interpellati, i no Tap sono tanti ed eterogenei, c’e l’anarchico Adriano irriducibile a prescindere, l’ambientalista Marianna che capisce «le ragioni geopolitiche» e si accontenterebbe di uno spostamento dell’opera in una zona già industrializzata come Brindisi, c’è il veemente governatore Emiliano che pur attaccando Palazzo Chigi si prende le strigliate dei 5Stelle locali prima e poi di Beppe Grillo per essersi svegliato tardi.

«Si tratta di un gasdotto non necessario perché secondo uno studio dell’Associazione Italiana degli Economisti i consumi di gas caleranno entro il 2030 a fronte di un incremento delle energie rinnovabili», dice il sindaco di Melendugno Marco Potì, ancora accaldato per aver guidato il sit-in di ieri composto «anche da anziani e contadini» ma respinto da «uno spiegamento delle forze dell’ordine senza precedenti». I giudici amministrativi hanno bocciato la valutazione ambientale fatta dai suoi e dai colleghi di almeno altri 11 Comuni ma la questione va ben oltre i cavilli giuridici e s’inserisce in un quadro più ampio in cui, sebbene per un tempo limitato, avremo ancora bisogno a lungo del gas che oggi prendiamo dalla Russia, dalla Libia, dall’Algeria e domani, in attesa di averne dal Kazakistan da Cipro e da Israele, prenderemo dall’Egitto di al Sisi.

Siamo contrari comunque «a un progetto dal grave impianto ambientale e culturale sul Salento», insiste Sonia Pellizzari di Sinistra Italiana. E poco conta che gli ulivi saranno rimessi al loro posto, che il micro-tunnel passerà a una quindicina di metri sotto la spiaggia, che per quanto strano sembri Brindisi è ancora meno adatta dal punto di vista ecologico perchè ha un fondale marino intoccabile. La paura mangia l’anima e quella dei salentini galoppa con le statistiche che li dicono a rischio crescente di tumori per cause ambientali.

«Abbiamo cercato il dialogo con la Regione che non ha neppure preso in considerazione il nostro piano alternativo a San Foca», nota il portavoce della Tap Luigi Quaranta. La più importante delle obiezioni dei cittadini riguarda quel gas che, dicono, non rifornirà l’Italia ma il centro Europa. Risponde, giura, per la centesima volta: «Il consorzio fornitore, quello che sfrutta il giacimento di Baku, ha già venduto 10 miliardi di gas per 25 anni a 9 aziende europee di cui due italiane, tra cui l’Enel». Gli scavi in Grecia e in Albania sono già iniziati da mesi.

Che piaccia o meno del gas oggi non si può fare a meno, conferma Gianfranco Viesti, esperto di industrializzazione dell’università di Bari: «Col gas si riduce la componente di petrolio. Farne a meno non mi sembra possibile dal momento che le energie alternative sono in grado di soddisfare soltanto una parte del nostro fabbisogno». Poi certo, ammette, la Tap non ha agito cercando il consenso, «le grandi opere servono ma vanno realizzate consultando la popolazione locale».

Mentre col buio la popolazione locale ferita ma non doma torna a casa, la difesa degli ulivi del Salento, già martoriati dalla xylella, sembra oggi l’estrema roccaforte della generazione G8, gli idealisti abbeveratisi anche all’ambientalista Julia Butterfly Hill che quasi sedici anni fa a Genova videro le proprie argomentazioni imporsi al tavolo dei potenti (la povertà entrò allora nell’agenda della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale) ma perse l’anima nel sangue. È passata una vita, il sogno di un mondo migliore possibile è diventato sfida al sistema. La battaglia si annuncia lunga ma il tempo stringe, gli ulivi possono essere espiantati fino a fine aprile, da maggio a ottobre sono in stato vegetativo e spostarli ne comprometterebbe la sopravvivenza.

(Ha collaborato Fabio Di Todaro)

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lastampa/Scontri e feriti tra gli ulivi: “Non vogliamo il gasdotto” FRANCESCA PACI – INVIATA A MELENDUGNO (LECCE)

La linea dura della Commissione europea sulla manovra

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La Commissione europea non è intenzionata a cambiare le richieste nei confronti dell’Italia: pretende la correzione della manovra pari allo 0,2% del Pil. Le istanze italiane frutto delle fibrillazioni tra Matteo Renzi e il premier Paolo Gentiloni vengono considerate “premature, ipotetiche e speculative” secondo una fonte della Commissione sentita da Marco Bresolin.

Nessuno sconto dall’Europa: “La correzione resta dello 0,2%”

Bruxelles a Roma: “Pensate alla fiducia, i problemi sono debito e banche. È ancora prematuro parlare di una flessibilità sulla Finanziaria del 2018”

BRUXELLES – «Prematuro, ipotetico e speculativo». Per una fonte della Commissione europea sono questi i tre aggettivi che meglio rispondono al progetto del governo italiano di puntare a nuovi margini di flessibilità anche per il 2018. L’esecutivo spera di portare a casa uno sconto fino a circa dieci miliardi di euro, ma da questo orecchio – per ora – a Bruxelles non ci sentono. «Non c’è alcuna discussione in corso sui conti del prossimo anno – assicura un funzionario -. Né a livello tecnico, né a livello politico».

Prematuro  

Parlare della manovra autunnale ora, dice, è «prematuro» perché la Commissione europea è ancora in attesa di una risposta sui conti del 2017. «Facciamo un passo alla volta» ripetono tre diverse fonti, una delle quali ha segnato sulla sua agendina nera due date. La prima è quella del 30 aprile: entro la fine del prossimo mese, l’Italia dovrà consegnare nero su bianco le misure utili a ridurre dello 0,2% del Pil il deficit strutturale. Uno sforzo che tutti a Bruxelles ricordano essere «il minimo indispensabile» per rientrare nei parametri, dal quale sono già stati scontati i costi per il terrorismo e per la gestione dei migranti. Per questo l’entità dell’aggiustamento «non cambia di una virgola».

Ipotetico  

L’altra data segnata sull’agendina nera è quella dell’11 maggio. Non è stato ancora deciso ufficialmente, ma al momento è quello il giorno in cui è previsto che Bruxelles pubblichi le previsioni economiche primaverili. Si tratta di un momento decisivo per l’Italia per due motivi: dalle cifre inserite nella tabella si capirà se le misure proposte nella manovra correttiva saranno ritenute «credibili» e dunque in grado di portare all’aggiustamento richiesto (in caso contrario l’Italia rischierebbe una procedura per la violazione della regola del debito, più eventualmente un’altra legata alla flessibilità ottenuta lo scorso anno). Dunque fare calcoli ora sulle cifre del 2018 è un esercizio «assolutamente ipotetico» spiegano dal Palazzo Berlaymont. «Ci sono molti fattori che potrebbero intervenire» si fa notare: fattori economici a cui si aggiungeranno poi quelli politici. L’11 maggio cadrà quattro giorni dopo le elezioni francesi: un atteggiamento di maggiore o minore disponibilità da parte di Bruxelles nei mesi successivi dipenderà anche dall’esito delle urne.

Da un punto di vista meramente contabile, lo sforzo strutturale che potrebbe essere richiesto all’Italia in autunno per non uscire dalla traiettoria è dello 0,6% del Pil (poco più di 10 miliardi). A questo, però, andrà aggiunto il valore del «deterioramento strutturale» che emergerà dalle previsioni di primavera. In base ai dati attualmente a disposizione dei tecnici, il deficit strutturale italiano dovrebbe salire dello 0,4% del Pil. La manovra correttiva, però, servirebbe a ridurre l’incremento dello 0,2%. Dunque, potenzialmente, in autunno i conti italiani sforerebbero dello 0,8% (0,6%+0,2%), circa 13,5 miliardi di euro.

Speculativo  

Al di là dei calcoli prematuri e ipotetici, in questa fase Bruxelles vuole evitare di farsi «trascinata nella campagna elettorale» italiana. Per questo gli annunci delle ultime ore sono considerati «speculativi». Con Pier Carlo Padoan, si sottolinea, c’è un ottimo rapporto. Il feeling con Paolo Gentiloni è «molto buono». Ma c’è il timore che si facciano «spingere nella direzione sbagliata». Anche perché – si fa notare – prima ancora che alla Commissione, l’Italia deve mandare un segnale ai mercati. «I vostri problemi sono le banche e il debito – dice una fonte -, dovete recuperare la fiducia degli investitori per tenere a bada i tassi di interesse ed evitare la fuga degli investimenti». Altrimenti altro che «zerovirgoladue».

vivicentro.it/economia
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lastampa/Nessuno sconto dall’Europa: “La correzione resta dello 0,2%” MARCO BRESOLIN – INVIATO A BRUXELLES

È il giorno del B-Day, un salto nel buio pesto senza rete

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Il Big Bang di Brexit sarà un divorzio, “un salto nel buio pesto senza rete”, scrive Francesco Guerrera, ma è ancora tutto da inventare.

Un viaggio ancora senza mappe

Oggi, verso mezzogiorno, fermatevi un istante e «appizzate» le orecchie: dovreste sentire un boato che partirà da Londra, passerà per Bruxelles e riecheggerà rapidamente in tutta Europa.

Quando sir Tim Barrow, il barbuto rappresentante del Regno Unito all’Unione Europea consegnerà una piccola lettera a Donald Tusk, il capo del Consiglio europeo, il Vecchio Continente entrerà ufficialmente nella più grave crisi del dopoguerra.

La dichiarazione di divorzio del Regno Unito è un evento storico. Nei prossimi due anni di negoziati scopriremo i dettagli di una relazione tutta da inventare tra un Paese che è stato parte integrante dell’Ue suo malgrado e 27 nazioni che della Gran Bretagna hanno bisogno ma non lo vogliono ammettere.

Una realtà è già chiara. Da oggi, in Europa cambia tutto: geopolitica, economia, e società non saranno mai più le stesse sui due lati della Manica.

Incominciamo dalla Gran Bretagna, visto che il suo elettorato è l’«autore» di questo nuovo capitolo della storia europea.

Per il Regno Unito, lasciare l’Europa è un salto nel buio pesto senza rete.

L’Ue è partner commerciale di primissimo piano della Gran Bretagna, fonte pressoché infinita di lavoratori e cervelli, e sponda fondamentale nel gioco di fumo e specchi della politica estera internazionale.

Senza l’Europa, Theresa May e i suoi possono o sperare nell’appoggio degli Stati Uniti di Donald Trump, che però odia la Nato e non ama offrire aiuti gratuiti. O pregare che i molti nemici dell’Occidente – dai terroristi medio-orientali a Putin alla Corea del Nord – non pensino che una Gran Bretagna isolata non sia più tanto Grande e possa essere vulnerabile ad attacchi, pressioni ed intimidazioni.

La percezione internazionale del Regno Unito – e il potere di May nei negoziati-Ue – dipenderanno dalla salute dell’economia nei prossimi anni. Anche qui le domande sono molte. Finora sta andando tutto bene, con crescita positiva, consumatori in grande spolvero e mercati abbastanza tranquilli.

Ma finora non è successo quasi nulla di concreto sul fronte-Brexit. Una volta fuori dall’Ue, la Gran Bretagna perderà un’enorme vantaggio: la capacità di esportare beni e servizi senza tariffe ad un mercato «interno» di 743 milioni di persone.

La May ha promesso una politica industriale che ovvierà alla mancanza del mercato unico, ma non ha spiegato come replicarne i vantaggi, soprattutto perché ci vorranno anni per concludere nuovi trattati commerciali con l’Ue e altri grandi economie.

Dal punto di vista sociale, che succede alla Gran Bretagna se noi ce ne andiamo? «Noi», in questo caso, siamo i circa tre milioni di idraulici, baristi, banchieri e giornalisti nati in Europa ma trapiantati nel Regno Unito.

Il buon senso detta che la «nostra» situazione (e quella del milione e mezzo di britannici che vivono nell’Ue) si risolva presto. Ma ogni giorno che passa erode la nostra voglia di rimanere, il senso di essere i benvenuti in terra straniera. Non è un caso che il numero di crimini razziali e religiosi sia aumentato del 40 per cento dopo il referendum su Brexit.

L’Ue non esce certo vincitrice da questa saga. Il fallimento delle riforme politiche, lo spettacolo d’indecenza economica di Paesi come la Grecia, e lo spettro agghiacciante dell’immigrazione sono stati cruciali nello spingere i britannici a dire «No» all’Europa.

Senza il Regno Unito, sarà ancora più difficile creare un blocco politico-economico capace di tenere testa agli Usa e alla Cina. E la stanca risposta provenuta dal summit di Roma questo weekend – un’Europa «a più velocità» – è demoralizzante, deprimente e disfattista.

Il Big Bang di Brexit è l’inizio di una nuova era. Speriamo che il tuono di oggi non sia presagio di tempesta futura.

Francesco Guerrera è condirettore e caporedattore finanziario di Politico Europe a Londra. fguerrera@politico.eu e su Twitter: @guerreraf72  

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lastampa/Un viaggio ancora senza mappe (Francesco Guerrera)

Il giorno della Brexit vissuto dagli inglesi, dai scozzesi e dagli italiani a Londra

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È il giorno del B-Day: Londra attiva l’articolo 50, la Brexit prende forma e il Regno Unito abbandona l’Unione europea. A poche ore dall’annuncio ufficiale, la Scozia prova a smarcarsi chiedendo un nuovo referendum per separarsi da Londra e rimanere in Europa, ma il primo ministro Theresa May si oppone. Il capo del Desk Esteri de La Stampa, Alberto Simoni, è a Londra per raccontare questa giornata storica e parte dai volti degli italiani del Regno Unito.

Tra gli italiani emigrati a Londra: “Adesso ci sentiamo ospiti sgraditi”

Ma c’è anche chi scommette sul futuro nel Regno Unito: «Qui sei artefice del tuo destino»

LONDRA – Antonio Polledri è il proprietario del Bar Italia, avamposto italiano a Londra. Siamo a Soho, il quartiere che per primo ospitò gli immigrati italiani, come gli avi di Antonio, in cerca di fortuna oltre Manica. Il locale ricorda i bar di paese. Polledri sorride al paragone, gli piace l’idea. In fondo, spiega alternando l’inglese a un italiano che «ho imparato stando dietro al bancone», questo posto è come una comunità. Il pavimento che posò lo zio di Antonio l’hanno calpestato in tanti, non solo turisti italiani, viaggiatori in cerca di lavoro, ma anche vip e star, Francis Ford Coppola è un habituè, Kylie Minogue ci viene per assaporare il gusto dell’espresso. Quando tocchiamo il tema Brexit, Polledri sorride: «Nessuna paura – dice – certo l’economia soffrirà un po’, ma non ci sarà l’impatto sui turisti che possono godere di una sterlina più debole del 15-20 per cento rispetto a nove mesi fa». Polledri ha votato Remain, e come lui moltissimi di origini italiane che stanno a Londra. Sono tranquilli, partecipi però dei timori che albergano in molti connazionali che hanno portato armi e bagagli in Gran Bretagna negli ultimi anni.

 

Alberto Costa è invece un deputato conservatore, ha votato Remain, si sente europeo ma lavora per la Brexit «perché questa è la volontà popolare». Sulla terrazza di Westminster racconta di aver ricevuto tantissime chiamate di italiani disperati. «Bisogna stare calmi, non succederà nulla». Costa ha ottenuto da Theresa May un impegno perché i diritti delle migliaia di italiani (600 mila nel Regno Unito) siano salvaguardati.

 

La tranquillità di Costa non basta a placare quelle che più che paure sono delusioni. Barbara Fassoni, milanese 48 anni, architetto sposata con una figlia di 12 anni, ha scelto Londra due anni fa. Non è pentita ma «sento un clima di incertezza, non so cosa accadrà». «È come – si sfoga – sentirsi non più ospite gradito». Andrea Guerini rischia invece di essere un cervello doppiamente in fuga. Ha 21 anni e presiede il gruppo studentesco italiano alla London School of Economics. Originario di Crema, quando arrivò a Londra tre anni fa ebbe uno choc pazzesco. «Il Regno Unito dà chance ai giovani di essere artefici del proprio destino», dice. Lui però il futuro lo edificherà negli Stati Uniti. «Il prossimo anno sarò alla Columbia University», aggiunge. La scelta americana non è del tutto estranea alla vittoria del Leave: Andrea aveva offerte da Cambridge e Oxford e dalla stessa Lse. Ha preferito i grattacieli di New York al Tamigi. «Vedevo un vantaggio nello stare qui se Londra fosse rimasta in Europa, ma chi può dire cosa accadrà?».

Myriam Zandonini, anche lei lombarda trentenne, da 5 anni a Londra, lavora alla City dove spifferi sempre più forti narrano di banche e istituti sul piede di partenza. L’idea di tornare indietro, per Myriam, magari a Milano dove la sua società sta pensando di aprire una sede dall’anno scorso, ha messo radici. Ma c’è pure chi non ci pensa nemmeno a riporre tutto in un container e ripartire.

Devid, 27 anni, romano fa il cameriere in uno dei locali adiacenti a Covent Garden. È qui dal 2013, divide un appartamento con alcuni amici italiani. «Voglio una mia attività» dice mentre distribuisce caffè e hamburger. E la Brexit? «Qui c’è lavoro e ce ne sarà ancora, poi se qualcosa cambia me ne vado altrove, magari in Spagna o in Australia, il mio sogno». La fuga o il ritorno in patria lo toglie subito dal tavolo Alba Lamberti, 41 anni napoletana, lavora per un think tank. «Per me Londra è casa da 10 anni, i miei figli sono nati qui e sono inglesi. Io sono europea dalla testa ai piedi e non so immaginare un futuro diverso per loro». Theresa May stamane dirà ancora che il Regno Unito si sente parte dell’Europa. Non basterà a togliere l’incertezza agli italiani d’Oltremanica.

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vivicentro/Il giorno della Brexit vissuto dagli inglesi, dai scozzesi e dagli italiani a Londra
lastampa/Tra gli italiani emigrati a Londra: “Adesso ci sentiamo ospiti sgraditi” ALBERTO SIMONI – INVIATO A LONDRA

IL MIO NOME E’ NESSUNO L’ ULISSE (Recensione di Diana Marcopulopulos)

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Bello! Spettacolare!Unico!

Tre aggettivi che non bastano per definire la piece “ Il mio nome è Nessuno, l’Ulisse” andata in scena al Teatro Sociale di Brescia Martedi 28 in replica fino a Giovedi 30 Marzo.

Una trasposizione teatrale del grande poema di Omero che è stato degnamente rappresentato . L’Odysseo racconta se stesso e Sebastiano Lo Monaco lo interpreta .

Una recita accattivante, una narrazione passionale dove il talento di Lo Monaco è stato sciorinato attraverso parole , balli , gesta che hanno carpito l’attenzione dei giovani spettatori . Un Ulisse buono, sognatore,che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie create da Elena. La Disperazione, l’Orgoglio, il Tradimento, vengono messe in evidenza da una straordinaria interpretazione di : Maria Rosaria Carli, Turi Moricca, Carlo Calderone , nei panni di Elena, di Circe, della ninfa Calypso donna bellissima e immortale , della bella Nausicaa che si innamora di Odysseo. Rappresentati anche Athena, Achille , Patroclo , Penelope, Telemaco.

In scena un’eccellente orchestra di 14 sassofonisti del conservatorio Perosi di Campobasso dà un tocco piacevole e leggero al dramma di Odysseo.

Sebastiano Lo Monaco in, il mio nome è Ulisse (foto di Tommaso Le Pera)

NORD – TERZA PAGINA

CTB Brescia, ”Il mio nome è nessuno. L’ ULISSE”

TEATRO SOCIALE Via Felice Cavallotti, 20 – Brescia RASSEGNA ALTRI PERCORSI DA MARTEDI’ 28 a GIOVEDI’ 30 MARZO 2017 (ore 20.30) Sicilia Teatro presenta…

L’ex arbitro Bergonzi: “Napoli-Juve? Fiducia a Orsato e Rocchi”

L’ex arbitro Bergonzi: “Napoli-Juve? Fiducia a Orsato e Rocchi”b

Ai microfoni di Radio Crc, è intervenuto l’ex arbitro Bergonzi, dichiarando: “La Var è in via di sperimentazione. Il mezzo tecnologico serve a diminuire l’errore dell’arbitro e l’utilizzo della Var mi convince perché il calcio è sempre più veloce e i regolamenti vanno rivisti. Il fallo di mano è più veloce del battito delle ciglia e l’arbitro non può valutare in così poco tempo se il braccio è largo, se il movimento è volontario, se il movimento è congruo o meno o se il braccio va verso il pallone. Siamo arrivati ad un punto in cui l’arbitro interpreta quello che vede o riesce a vedere ed è una situazione complicatissima e di difficile risoluzione. Serve regolamentare i falli non eclatanti e con una chiarificazione delle regole e l’utilizzo della Var le cose possono migliorare.  Bisogna semplificare le regole e anche quella della chiara occasione da rete va migliorata, non complichiamo la vita agli arbitri. Napoli-Juve? Fossi nel designatore manderei i più forti e i più bravi e i miei due nomi sono Orsato e Rocchi”

Koulibaly: “L’albergo è stato pagato dalla federazione, non da me”

Koulibaly: “L’albergo è stato pagato dalla federazione, non da me”

Attraverso i social, Kalidou Koulibaly ha smentito le voci che vedevano il difensore pagare in prima persona l’albergo alla nazionale, scrivendo: “Voglio chiarire la situazione! L’albergo è stato pagato della federazione senegalese di calcio (FSF) e non da io! Ho solo offerto un modo di pagamento! La somma è stata rimborsata ! Grazie a tutti! Forza Senegal !”.

Ugolini: “Panchina d’oro a Sarri, silenzio inspiegabile di ADL”

Ugolini: “Panchina d’oro a Sarri, silenzio inspiegabile di ADL” 

Ai microfoni di Sky, il giornalista Massimo Ugolini ha dichiarato: “Eppure si sono sentiti, così pare almeno, subito dopo la premiazione per la Panchina d’oro, i complimenti del presidente a Sarri, in forma privata, e non sui social tanto cari a De Laurentiis. Un silenzio che aveva fatto rumore, considerando la propensione al tweet del numero uno azzurro. Un silenzio per certi aspetti inspiegabile pensando anche al valore del premio raggiunto da Sarri con la collaborazione decisiva di De Laurentiis che lo aveva scelto un un anno e mezzo fa per guidare il Napoli”.

DIECI E LODE è il brand italiano che nasce a Castellammare

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Serata importante quella trascorsa da tanti stabiesi che ieri sono accorsi al Soho Vintage Pub di Castellammare di Stabia per assistere alla cerimonia d’inaugurazione del nuovo marchio italiano della moda DIECI E LODE.

Questo innovativo brand italiano si sviluppa intorno al binomio “CALCIO – MODA”. Offre capi originali ed esclusivamente made in Italy, realizzati con tessuti ricercati e di prima qualità.

Il gestore del Soho Vintage Pub, Gabriele Di Somma, esprime ai nostri microfoni tutta la sua soddisfazione nel poter ospitare nel suo locale l’inaugurazione di una nuova attività stabiese ideata da due suoi amici. Il Pub che gestisce, ha visto la luce solo due anni fa e questo conferma che le nuove attività se ben gestite possono continuare ad esistere.

Il brand DIECI E LODE si interessa, oltre che della moda, anche dell’organizzazione di eventi calcistici e mondani, rivolgendosi ad un target sempre più attento ai dettagli e alla cura dei particolari.

Gli ideatori di questa iniziativa sono Giovanni e Simone Somma originari di Castellammare di Stabia, rispettivamente padre e figlio.

Simone ci spiega che il nome non è casuale ma deriva dalla votazione che ha ottenuto quando ha conseguito la licenza media nel 2013. Da quel momento i genitori hanno continuato a ripetergli: “sei da DIECI E LODE ”. Da lì è nata l’idea di trasformare questo tormentone familiare in un brand.

Simone ci conferma che per ora si è pensato solo a commercializzare magliette e felpe, ma che in un futuro non molto prossimo ci saranno altre idee che saranno messe in campo.

Chi volesse acquistare un capo firmato “ DIECI E LODE ” può farlo contattando la pagina facebook: https://www.facebook.com/diecielodeadmaiora/

Giovanni invece ci illustra come è nata l’idea di abbinare la moda al calcio. L’idea moda nasce dalla passione che ha Simone per l’abbigliamento, tant’è che il padre scherzosamente ci rivela le ingenti cifre che è costretto ad investire, su richiesta del figlio Simone, per l’acquisto di capi d’abbigliamento. Il calcio invece è inserito in questo progetto perché da sempre Giovanni è amante del gioco del calcio e in particolare del calcio giovanile.

Come ha affermato l’Avv. Pasquale Scognamiglio, l’aspetto molto bello di questa idea è sicuramente l’investimento in “coraggio” che Giovanni e Simone hanno realizzato. In un territorio difficile come quello di Castellammare, far nascere una nuova attività è sempre un aspetto importante. In più Simone sta inseguendo questo suo sogno di affermarsi nel campo della moda, non tralasciando però gli studi, che sono fondamentali per la crescita di un uomo di successo.

Noi di ViViCentro facciamo un grosso in bocca a lupo a questi due stabiesi, con la speranza che questo loro sogno sia solo all’inizio e che si trasformi ben presto in una bellissima realtà del territorio stabiese.

Che dire siete già da “Dieci e Lode” e allora… Ad maiora!

Il Pungiglione Stabiese – La Juve Stabia si dimostra ospitale!

Il Pungiglione Stabiese programma sportivo in onda su ViViradioWEB
AGGIORNAMENTO:

SI SEGNALA che purtroppo, per PROBLEMI TECNICI, la trasmissione di questa sera non potrà essere trasmessa.

Questa sera c’è il consueto appuntamento con ” Il Pungiglione Stabiese “, programma sportivo che parla di Juve Stabia a 360° gradi. Come sempre alla conduzione ci sarà Mario Vollono. Collegatevi oggi 20 marzo 2017 dalle ore 19:30 per avere notizie in esclusiva sul mondo gialloblè. Avrete due modi per seguire la puntata:

DIRETTA

DIFFERITA (dopo 2 ore dalla diretta)

In questa puntata in studio ci sarà in studio Andrea Alfano (ViViCentro).

Ci collegheremo telefonicamente con l’allenatore stabiese doc Giovanni Esposito. Con lui discuteremo di questo momento del campionato di Lega Pro e della Juve Stabia in generale.

Presenteremo il prossimo match con la Casertana degli ex Pezzella e Ciotola. La Casertana viene dal pareggio interno con il Cosenza che ha allungato a tre i risultati utili consecutivi (due pareggi ed una vittoria). La Juve Stabia viene anch’essa dal pareggio interno con il Catanzaro che ha rinviato la prima vittoria casalinga di questo 2017.

Avremo come ospite telefonico Serena Li Calzi di GoldWeb TV che ci presenterà la Casertana in vista della partita con le vespe.

Ci collegheremo telefonicamente con Alberico Turi Direttore responsabile del settore giovanile della Juve Stabia, per discutere sui risultati ottenuti in questa fine settimana.

Avvisiamo i radioascoltatori che è possibile intervenire in diretta telefonica chiamando il numero 081.010.29.29 oppure inviando un messaggio Whatsapp al 338.94.05.888.

Gli ascoltatori possono inoltre scrivere, nel corso del programma, sul profilo facebook “Pungiglione Stabiese” per lasciare i loro messaggi e le loro domande.

“Il pungiglione stabiese” è la vostra casa. Intervenite in tanti!

Vi ringraziamo per l’affetto e la stima che ci avete mostrato nel precedente campionato e speriamo di offrirvi una trasmissione sempre più bella e ricca di notizie.

Martusciello: “Sarri vuole vincere qualcosa al Napoli. Panchina d’Oro? Premio meritato”

Giovanni Martusciello, allenatore dell’ Empoli, ha rilasciato alcune dichiarazioni ai microfoni di Radio Crc nel corso della trasmissione ‘Si Gonfia la Rete’. Ecco quanto evidenziato:

 

“Sarri ha vinto la Panchina d’Oro perché è un grande professionista oltre che un grande uomo. Parliamo di un allenatore che mastica calcio 24 ore al giorno. Per lui il calcio è una passione e i risultati in campo lo dimostrano.
Con Saponara ha fatto un lavoro straordinario, con lui il ragazzo ha messo in mostra tutte le sue qualità. Quello che sta facendo con il Napoli lo ha sempre fatto anche in passato. Segnali che qualcosa stesse cambiando li ho avuti già il primo anno a Empoli
Domenica ho parlato con lui un’oretta a fine partita , poi l’ho incontrato anche ieri. Mi ha manifestato il suo grande desiderio di contraccambiare il grande affetto dei tifosi napoletani. Vincere a Napoli non è semplice, lui però vuole spazzar via la forza della Juventus. Ha grande rispetto per le altre squadre, ma crede di poter vincere qualcosa di concreto”.

Sky – Rodriguez pista complicata: clausola alta e ingaggio elevato

Gianluca Di Marzio, giornalista di Sky Sport ed esperto di calciomercato, ha rilasciato alcune dichiarazioni ai microfoni di Radio Marte. Ecco quanto evidenziato:

 

Rodriguez? Sul laterale l’ Inter sembrava avere una corsia preferenziale, i nerazzurri valutano anche altri nomi. Il ragazzo guadagna 7 milioni lordi al Wolfsburg. Bonus particolari gli permettono di arrivare a 4,5 netti di ingaggio, più del doppio di Mertens. Inoltre va sottolineato che ha una clausola rescissoria da 22 milioni”.

Osservatorio, Longhi: “Il settore ospiti resterà chiuso in occasione di Napoli-Juve, questione di ordine pubblico”

A Radio Crc, nel corso di ‘Si Gonfia la Rete’, è intervenuto Carlo Longhi, ex arbitro ed attuale ispettore dell’ Osservatorio. Ecco quanto evidenziato:

” Per quanto riguarda la doppia sfida tra Napoli e Juve è stato rinviato tutto al CASMS che ha deciso di non avere tifosi ospiti al San Paolo. Dunque per una questione di ordine pubblico il settore ospiti resterà chiuso. Potranno accedere allo stadio tutti coloro che hanno acquistato il biglietto a Napoli. Per tutte le altre città possono accedere allo stadio solo i tifosi in possesso della tessera del tifoso emessa dal Napoli.”

Sky – Mertens-Napoli, tre fattori potrebbero convincerlo a rinnovare

Continua a tenere banco in casa Napoli la questione legata al rinnovo di Dries Mertens. Gianluca Di Marzio, giornalista Sky esperto di calciomercato, ha fatto il punto della situazione ai microfoni di Radio Marte:

“In carriera il belga non aveva mai segnato così tanto. Considerando che non è più giovanissimo è comprensibile che stia aspettando per cercare di capire quali opportunità ci sono per il suo futuro. Spero per il Napoli che possa decidere in fretta. La società punta sul fatto che il calciatore possa essere indotto a restare da tre fattori. Dal modo di giocare di Sarri, dal rapporto con la città e da un ingaggio che sarà comunque importante. Moglie? Sono cose che appartengono alla vita privata, preferisco non esprimermi al riguardo”.

Juve Stabia, il programma gare del settore giovanile: segui le dirette radio su ViViRadioWeb!

Juve Stabia, il programma gare del settore giovanile: segui la diretta radio su ViViRadioWeb!

Si torna in campo, questo il programma gare del fine settimana del settore giovanile della Juve Stabia:

Berretti: Catanzaro – J. Stabia sabato 01/04 ore 15 Centro Tecnico Federale LND di Catanzaro

Under 17: J. Stabia – Monopoli domenica 02/04 ore 15 campo San Michele di Gragnano (diretta su ViViRadioWeb dalle ore 14:45)

Under 15: J. Stabia – Monopoli domenica 02/04 ore 11 comunale di Casola

Under 16: J. Stabia – Juve Domizia domenica 02/04 ore 12.45 comunale di Casola (diretta su ViViRadioWeb dalle ore 12:30)

2003: V. Riccio – Juve Stabia domenica 02/04 ore 12.30 comunale di Brusciano

2004: Club Napoli – Juve Stabia sabato 01/04 ore 18.30 campo Olimpia di S. Antonio Abate

a cura di Ciro Novellino

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Reja: “Il premio a Sarri è il giusto merito alla gavetta”

Reja: “Il premio a Sarri è il giusto merito alla gavetta”

Edy Reja ha commentato così su Il Mattino il premio “Panchina d’oro” dato ieri a Sarri: “Sono contento che abbia vinto Sarri perché è uno di quegli allenatori la cui mano si vede sulle squadre che guida, basti vedere Empoli e Napoli.E poi è un tecnico che fatto una lunga gavetta e per questo mi fa ancora più piacere che abbia ricevuto questo riconoscimento. Napoli-Juve? Due bellissime partite tra due squadre forti, due partite sicuramente da vedere e molto interessanti”