Obbligare i social media a cancellare contenuti illegali o perseguibili

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Michele Valensise, nel merito del “trasloco” dei neofascisti sui social russi “ scrive che, ”per contrastare l’odio sul web, bisogna seguire l’esempio tedesco dove, in base a una nuova legge, i social media sono tenuti a cancellare contenuti illegali o perseguibili”.

L’esempio tedesco nel contrasto all’odio sul web

Fa discutere la nuova legge tedesca sui social media (NetzDG) in vigore dal 1 gennaio. Voluta dal ministro della Giustizia Heiko Maas (Spd), prevede una responsabilità dei gestori per i messaggi di incitamento all’odio, o con simboli di organizzazioni incostituzionali o gravemente lesivi della dignità umana. Si applicherà a grandi provider con almeno due milioni di utenti, non a servizi e-mail, reti professionali, piattaforme di vendita o portali specializzati.

Facebook, Google,Twitter, YouTube sono tenuti a esercitare un controllo sui contenuti dei messaggi, a cancellare entro ventiquattro ore da eventuali segnalazioni quelli «evidentemente illegali o perseguibili» e, in caso di violazioni, a pagare multe fino a cinquanta milioni di euro. Per i casi più complessi, la decisione sulla possibile cancellazione del messaggio deve intervenire entro una settimana dalla denuncia; sono opponibili ragioni che ne giustifichino la diffusione. Le reti possono dotarsi di sistemi di autoregolamentazione. E’ previsto un punto di contatto, in Germania – non presso le remote case madri dei provider, per inoltrare reclami su contenuti ritenuti punibili; e si riconosce un diritto delle parti lese a ottenere, sulla base di una sollecita procedura giudiziaria, informazioni sugli autori di messaggi incriminati.

Ora, se già il concetto di «aizzare il popolo» (Volksverhetzung), contemplato dalla legge, è difficile da definire giuridicamente, la norma indica ben ventiquattro fattispecie alle quali potrebbe applicarsi. Soprattutto colpisce la delega ai provider a giudicare ciò che è lecito diffondere: una privatizzazione della giustizia, con la conseguenza, tra l’altro, che i social media tenderanno a essere restrittivi, anziché indulgenti, per evitare rischi di pesanti sanzioni.

Non sorprende che la nuova legislazione abbia sollevato dubbi e critiche dal primo momento. La rete non può essere un canale anarchico di messaggi criminali o eversivi, nel quale tutto è consentito a chi scrive mentre non c’è tutela per le vittime dell’odio da tastiera. Ma non convince un controllo sui contenuti che può degenerare in una limitazione della libertà di espressione, meccanismo pericoloso che evoca il 1984 di George Orwell. Si è rivoltata la maggioranza degli esperti informatici; i giuristi hanno criticato la legge e la sua incompatibilità con princìpi costituzionali e Convenzione europea dei diritti umani. Tre partiti politici, Liberali, Verdi e Linke, di destra, centro e sinistra, ne hanno chiesto l’abrogazione.

Scalpita anche l’estrema destra. A capodanno una deputata dell’AfD, in un tweet xenofobo, aveva polemizzato con la polizia di Colonia, rea di aver augurato buon anno anche in arabo («Cercano di calmare le orde di musulmani, barbari e violentatori?»). Il messaggio è stato rimosso e il partito ha parlato di metodi da Stasi. Sui social un altro parlamentare dell’AfD ha definito il figlio di colore di Boris Becker: «Piccolo mezzo negro». Tutto regolare?

Certo, occorre molta attenzione per i princìpi e le implicazioni di regole che forse risentono della tendenza tedesca a normare oltre il necessario. Il governo ha assicurato una nuova valutazione della materia. Ma intanto la diffusione in rete di messaggi di odio aumenta e in qualche modo, con le dovute garanzie, sarà bene riconoscere, possibilmente a livello europeo, che appelli omicidi, incitamenti all’odio etnico o religioso e minacce aggressive hanno poco a che vedere con la libertà di espressione che vogliamo difendere.

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