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Lettera aperta di Don Giovanni De Robertis: SI ACCOSTÒ E CAMMINAVA CON LORO…

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“Molti non vi conoscono e hanno paura. Questa li fa sentire in diritto di giudicare e di poterlo fare con durezza e freddezza, credendo anche di vedere bene. Ma non è così. Si vede bene solo con la vicinanza che dà la misericordia… Da lontano possiamo dire e pensare qualsiasi cosa, come facilmente accade quando si scrivono frasi terribili e insulti via internet”.

Don Giovanni De Robertis – Queste parole, rivolte da papa Francesco alle comunità di migranti durante la sua visita a Bologna dell’ottobre 2017, sono certamente vere per quello che riguarda i Rom e Sinti presenti nel nostro Paese. Per questo vi invitiamo giovedì 9 maggio dalle 15.30 alle 18.00 presso l’Auditorium del Divino Amore ad avvicinarvi per conoscere questo popolo, condividendo con loro un momento di festa, di arte e di musica.

Sono passati più di cinquant’anni da quando Paolo VI, sotto il cielo piovoso di Pomezia (26 settembre 1965), comunicò alle comunità rom convenute da ogni angolo d’Italia: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore”. Guardiamo con nostalgia a quell’annuncio dirompente e, per certi versi, incomprensibile.

Negli anni successivi a quelle parole abbiamo assistito, nella città di Roma, all’arrivo delle famiglie rom che fuggivano dall’ex Jugoslavia del dopo -Tito e poi, in maniera più massiccia, dall’implosione della regione balcanica, sconvolta da una sanguinosa guerra civile. La città reagì con una “politica del disprezzo”, declinata nella costruzione di ghetti etnici denominati “campi nomadi”, che parlavano il linguaggio del rifiuto e dell’espulsione dal tessuto cittadino.

Poi, a cavallo del nuovo millennio, le periferie romane videro la presenza di comunità rom che dalla Romania post-comunista cercavano rifugio da una persecuzione che le colpiva nei loro villaggi rurali. Ad attenderli sgomberi forzati, allontanamenti, espulsioni collettive.

Non fu così per tutti.  Associazioni, parrocchie, comunità religiose, famiglie, piccole realtà del mondo politico e sindacale, singoli individui mantennero viva negli anni la fiammella dell’accoglienza, ricordando all’intera città che la comunità civile si costruisce e si arricchisce nella solidarietà e nell’inclusione.

Oggi, quando si pronuncia la parola “rom”, la mente rincorre il fantasma urbano del povero, dell’accattone, di colui che fruga nei cassonetti o che, con un figlio in braccio, chiede l’elemosina nei vagoni della metropolitana. La si pronuncia con sdegno, la si scrive sui quotidiani con indignazione, la si ritrova nei documenti istituzionali come problema da risolvere. È una parola che genera timore, che richiama paure ataviche, che rafforza pregiudizi e stereotipi. Dietro quelle tre lettere, invece, ci sono volti di donne, di uomini e di bambini e soprattutto ci sono persone che nella maggior parte dei casi vivono in abitazioni come le nostre, studiano, lavorano, pagano le tasse. Come per ogni comunità, anche in quella dei rom ci sono persone che vivono nella povertà e nell’emarginazione, ed altre, la stragrande maggioranza, che abita la città in una piena cittadinanza e che spesso trova nel mimetismo urbano la sola forma di difesa dall’odio generato dalla non conoscenza e dal mancato incontro.

Questa comunità, variegata e ricca nella sua diversità, composta da cittadini italiani e stranieri, cattolici e non, incontrerà in un momento di preghiera papa Francesco la mattina di giovedì 9 maggio in Vaticano. Lo farà con dignità e coraggio, ricordando, con la presenza e con le parole, il valore della speranza e della solidarietà. Due termini offuscati negli ultimi anni, ma che oggi solo i soli che ci consentono di guardare al futuro con spirito positivo. Nel pomeriggio del 9 maggio la stessa comunità si recherà al Santuario del Divino Amore per incontrare in un unico abbraccio cittadini romani, associazioni e parrocchie che vorranno sperimentare l’incontro, in un momento di festa, attraverso il linguaggio dell’arte e della bellezza salvifica. Perché essere “nel cuore della Chiesa” significa necessariamente essere anche “nel cuore della città”.

“Avvicinati, dice lo straniero. A due passi da me sei ancora troppo lontano. Mi vedi per quello che tu sei e non per quello che io sono. Avvicinati, dice lo straniero” (da “Lo straniero” di Edmond Jabès).

Vi aspettiamo,

                                                                                                 Don Giovanni De Robertis

                                                                                               Direttore generale Fondazione Migrantes

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