Virginia Raggi dovrà affrontare il processo perché accusata di aver mentito sulle nomine fatte poco dopo la sua elezione a sindaco di Roma. Si tratta di un caso destinato a sovrapporsi con la campagna elettorale. Il M5S, scrive però Ilario Lombardo, ha pronta una “tutela speciale”: anche se Raggi fosse condannata, non si dimetterà dal Campidoglio.
Il cavillo del codice etico M5S: anche in caso di condanna la sindaca Raggi non si dimetterà
La scorciatoia dell’autosospensione per poi essere riammessa
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OMA – Anche in caso di condanna in primo grado Virginia Raggi non si dimetterà, e se si autosospenderà dal M5S lo farà per poter venir riammessa con gloria. Anzi, facendo leva sul codice di comportamento, sarà proprio l’autosospensione a salvarla. Fa nulla che, a maggio, ai deputati palermitani accusati di aver raccolto firme false nel 2012 il collegio dei probiviri abbia confermato la sospensione perché colpiti da rinvio a giudizio. Per Raggi, il rinvio a giudizio non è abbastanza e su di lei il M5S prevede una soluzione diversa e una tutela speciale pensata dai legali del Movimento.
Gli automatismi di difesa del M5S sono semplificabili nelle innumerevoli dichiarazioni captate dai parlamentari grillini: è stato solo fango dei giornalisti, sono cadute le accuse più gravi e abbiamo massima fiducia nei magistrati sulla richiesta di rinvio a giudizio per falso. Tutto come sempre nella migliore tradizione di Beppe Grillo: il gruppo si chiude, escono le veline ufficiali e pochi si avventurano in coraggiosi distinguo. Come l’ex membro del direttorio Carlo Sibilia, per cui sì c’è da guardare «il bicchiere mezzo pieno», ma «certo non stapperei la bottiglia di champagne per un rinvio di giudizio in casa». Tra i duri del Movimento, Roberto Fico e Carla Ruocco, si adeguano. Non lo fa Luigi Gallo per cui è impensabile cambiare ancora una volta le regole: se Raggi sarà condannata in primo grado per falso si dovrà sospendere dal M5S. Lo dice chiaro anche Riccardo Fraccaro, deputato probiviro con il piccolo conflitto di interessi di essere anche, con Alfonso Bonafede, il commissario di Raggi in Campidoglio per conto di Grillo: secondo il nuovo codice etico, ritagliato su misura della sindaca, la sospensione dal M5S «è d’obbligo» in caso di dolo. E il dolo è implicito nel reato di falso.
Ma non sarà così lineare il percorso e ai vertici si comincia già a pensare alle contromosse. Grillo esulta per la doppia archiviazione sull’abuso d’ufficio, definendolo «un reato ben più grave» del falso. Ma se questo ha un senso alla luce della legge Severino che avrebbe fatto scattare la possibile decadenza della sindaca, non lo è secondo il codice penale che prevede pene più pesanti per il falso. Eppure, dice il comico a chi lo ha sentito per raccogliere la sua soddisfazione: «Resta solo una firma su un foglio dell’Anticorruzione». Non solo. Il dolo, dicono i vertici, va inteso «più in senso politico che giudiziario». I magistrati non hanno riconosciuto l’aggravante al falso, vuol dire che credono che la sindaca non abbia detto il falso per coprire un altro reato, in questo caso l’abuso d’ufficio del suo braccio destro Raffaele Marra interessato alla nomina a dirigente del fratello. Per i 5 Stelle è un’attenuante e sono pronti a sostenerne altre. Per esempio, che la sindaca «ha peccato di inesperienza», «non aveva un capo di gabinetto che la tutelasse da questi errori» e, secondo quella che è la teoria del complotto evocata ormai apertamente da Grillo, «è rimasta vittima delle trappole del Campidoglio». Ecco spiegate anche le premure di due deputati che maneggiano la materia giudiziaria come Andrea Colletti, «il falso – dice – non ha recato danno alla pubblica amministrazione», e Giulia Sarti, «anche nel falso – sostiene – va valutata quale sia stata la condotta».
Insomma, si stanno aprendo spiragli di interpretabilità nel codice pentastellato. I 5 Stelle e Raggi sono già d’accordo che in caso di condanna l’autosospensione sarà conseguente. Ma c’è un passaggio nel codice che tornerà utile ai legali che consigliano Grillo, Di Maio e Davide Casaleggio, al punto 3, dove c’è scritto che «l’autosospensione può essere valutata quale comportamento suscettibile di attenuare la responsabilità disciplinare». In poche parole, il garante (Grillo) e il collegio dei probiviri terrebbero conto di una sorta di buona condotta, e la scelta della sindaca di autosospendersi come gesto compiuto a «tutela dell’immagine del M5S» le permetterebbe di ricevere la grazia.
Alla fine, in tutta questa faccenda di fratelli, nomine, omissioni e condizionamenti, nell’epopea breve di un gruppo di «quattro amici al bar» che ha gestito incarichi in Campidoglio, procurato indagini e infortuni politici, la colpa sembra essere «dei giornalisti». Il nuovo capo politico Luigi Di Maio non ha troppa voglia di commentare e ai cronisti che tentano di incalzarlo risponde «Cambiate repertorio». Più tardi, sarà più esplicito: «Archiviate le accuse per cui la stampa ci ha infangato». Concetti simili a quelli espressi da Raggi: «Dopo mesi di fango mediatico su di me e sul M5S, in cui mi hanno fatta passare per una criminale, i media ora devono chiedere scusa a me e ai cittadini romani». Ma sotto la crosta di fango, l’accusa di falso è ancora in piedi.
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