C
on solo un terzo dei parlamentari scelti con il maggioritario, la legge elettorale approvata alla Camera non riesce a ristabilire un rapporto tra eletto e territorio. In più permette candidature multiple e sembra (ma è una finta) consentire ai cittadini di indicare il premier. Difficile garantire governabilità in un sistema tripolare. Ma qui ci si affida per forza a opachi accordi tra partiti dopo le elezioni.
Quante spine nel Rosatellum
Il sistema elettorale previsto nel Rosatellum non avvicina eletti ed elettori né valorizza i candidati locali. Anche le candidature plurime non sono una buona notizia. In più sembra davvero molto difficile che possa assicurare la governabilità.
Come funziona il Rosatellum
Il 12 ottobre 2017 la Camera dei deputati ha approvato il testo della nuova legge elettorale per Camera e Senato. Il testo passa ora al Senato per tentare la definitiva approvazione.
Il Parlamento accoglie così l’invito espresso più volte dal Presidente della Repubblica di superare un sistema elettorale diverso tra le due camere e, in entrambi i casi, frutto di sentenze della Corte costituzionale. Al di là di eventuali considerazioni politiche, quali la reale necessità del ricorso alla fiducia da parte del governo, del voto segreto o dell’opportunità di approvare una legge elettorale a fine legislatura, qui ci soffermiamo su alcuni dettagli tecnici, quelli che più allontanano il testo approvato da un impianto efficace per il nostro paese.
Il progetto di legge (già ribattezzato Rosatellum) prevede l’elezione di circa il 37 per cento dei membri di Camera e Senato in collegi uninominali con metodo maggioritario (è eletto il candidato che ottiene più voti) e il restante con metodo proporzionale, utilizzando collegi plurinominali relativamente piccoli (massimo otto candidati sia per Camera sia per Senato), senza possibilità di esprimere preferenze e nel rispetto delle quote di genere. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, per ogni lista, i candidati di un genere non possono essere più del 60 per cento nei collegi uninominali e nella posizione di capolista in quelli plurinominali; nelle liste proporzionali c’è l’obbligo di alternanza di genere.
Ogni candidato in collegio uninominale – così come tutti quelli nei collegi proporzionali – può presentarsi in altri cinque collegi proporzionali. Sono possibili coalizioni, che devono essere identiche su tutto il territorio nazionale. Non è invece possibile il voto disgiunto, vale a dire esprimersi per un candidato nella parte maggioritaria e per una lista che non lo sostiene nella parte proporzionale.
Ci sarà una sola scheda elettorale per la Camera e una sola per il Senato: sulla scheda sono riportati i nomi dei candidati nel collegio uninominale, nonché l’elenco dei partiti che lo sostengono e i nomi dei candidati per ogni partito alla parte proporzionale di quel collegio. Se il voto è espresso tracciando un segno sul nome del partito, va sia a quel partito sia al candidato uninominale collegato. Se invece il segno è tracciato sul nome del candidato uninominale, il voto è assegnato al partito che sostiene quel candidato o, nel caso di coalizione, ripartito tra le liste della coalizione in proporzione ai voti ottenuti in quel collegio uninominale. Il riparto dei seggi per la parte proporzionale è comunque svolto a livello nazionale per la Camera e a livello regionale per il Senato, mentre la verifica delle soglie di sbarramento avviene in entrambi i casi a livello nazionale: 3 per cento per ogni partito e 10 per cento per ogni coalizione (con eccezione al Senato per le liste che superino il 20 per cento a livello regionale). Infine, ogni partito deve depositare un contrassegno, un programma e l’indicazione del nome del capo della forza politica.
Aspetti critici
Se l’obiettivo è quello di avvicinare eletti, candidati ed elettori, nonché quello di valorizzare candidature locali e “dal basso”, la quota uninominale appare decisamente troppo esigua. Alla Camera i collegi uninominali saranno 232 (231 più il collegio Valle d’Aosta), al Senato 116 (109 più il collegio Valle d’Aosta e i sei collegi in Trentino e Alto Adige). Al di là degli aggiustamenti per la popolazione e al netto delle approssimazioni, significa che un senatore e due deputati rappresenteranno un’area vasta come una provincia. Impossibile che sia così valorizzato il legame territoriale. D’altro lato sarà anche difficilissimo che a competere siano candidati semplicemente espressione del territorio. In pochi saranno in grado di finanziarsi una campagna elettorale in collegi così ampi, perlomeno senza l’aiuto finanziario del partito, che quindi avrà potere massimo nella scelta dei candidati (le elezioni primarie non sono contemplate ma, ovviamente, nemmeno escluse). Peraltro, tecnicamente, il voto si esprime rispetto al partito e non al candidato, tanto che il voto dato solo al candidato è ripartito tra tutti i partiti che lo sostengono. Anche se in pochi se ne accorgeranno, comunque, questo dettaglio è riportato sulla parte esterna della scheda elettorale.
Non è una bella notizia nemmeno l’esistenza delle candidature multiple, leggermente addolcita dalla previsione di un criterio oggettivo per la scelta del collegio di elezione. Resta l’indicazione del capo della forza politica, reiterato e maldestro tentativo di illudere gli elettori che abbiano il potere di scegliere il presidente del Consiglio. Il che può anche essere casualmente vero: ma il costo dell’operazione è quello di creare solo confusione sulle specifiche prerogative e compiti di corpo elettorale e Parlamento.
Infine, anche se ha poco senso fare previsioni ora, sembra davvero molto difficile che questo sistema elettorale assicuri governabilità. Non che sia facile imporla attraverso un sistema elettorale, alla luce della nostra Costituzione: tuttavia, persiste il timore che anche nei prossimi cinque anni il paese sarà governato da ampie e timide coalizioni.
lavoce.info/Quante spine nel Rosatellum (Paolo Balduzzi)
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