La scommessa di Trump sulle sue capacità nel riconoscere Gerusalemme scatena l’ira degli arabi.
La difficile scommessa di Trump si può riassumere in tre punti: “Il riconoscimento di Gerusalemme, la soluzione del conflitto israelo-palestinese con due Stati divisi da confini concordati, il ruolo prioritario dell’Arabia Saudita nel superamento delle crisi secolare
Una difficile scommessa in tre mosse
C
on il discorso della Casa Bianca il presidente Donald Trump ha illustrato per la prima volta il suo approccio al Medio Oriente, articolandolo in tre punti: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, la soluzione del conflitto israelo-palestinese con due Stati divisi da confini concordati, il ruolo prioritario dell’Arabia Saudita nel superamento della crisi secolare arabo-israeliana.
Si tratta di tre tasselli che hanno genesi diverse ma descrivono la scommessa dell’inquilino dello Studio Ovale. Il riconoscimento di Gerusalemme capitale è una scelta bilaterale, compiuta dagli Stati Uniti che in questa maniera assicurano a Israele quanto più considera vitale: la propria identità ebraica. Il legame fra gli ebrei e Gerusalemme risale a tremila anni fa e se Israele dal 1949 ne ha fatto la propria capitale è perché è il luogo che più rappresenta il ritorno alle radici dopo venti secoli di Diaspora. Così come Harry Truman 70 anni fa fu il presidente americano che riconobbe la nascita di Israele, oggi Trump ne riconosce l’identità ebraica, ovvero la legittimità storica.
Non si tratta solo del rispetto di un impegno preso da Trump con i propri elettori durante la campagna elettorale, e neanche solo della pragmatica presa d’atto della presenza delle istituzioni israeliane a Gerusalemme, c’è qualcosa in più: l’America fa sapere ad Israele, ed ai suoi cittadini, di comprendere e condividere il legame storico fra lo Stato ebraico, il popolo ebraico e la terra d’Israele. E’ una scelta che ha a che vedere con valori bipartisan, largamente condivisi nella società americana, ma ha anche un risvolto politico-negoziale assai evidente: nel momento in cui Trump assicura a Benjamin Netanyahu ciò che per lui più conta, pone le condizioni per avanzare delle richieste inerenti alla soluzione del conflitto.
Per questo nella seconda parte del discorso della «Diplomatic Reception Room», Trump afferma di condividere la soluzione dei due Stati e sottolinea che i confini fra loro dovranno essere decisi «consensualmente fra le parti», anche per quanto riguarda Gerusalemme. Ovvero, nulla preclude che i quartieri orientali della città sacra alle tre fedi monoteistiche potranno diventare la capitale del futuro Stato di Palestina. Per questo Trump ha scelto di non fare alcun cenno alla riunificazione della città, portata a termine da Israele dopo la guerra del 1967. Affermare che la capitale di Israele è a Gerusalemme non esclude che la stessa città potrà ospitare, a seguito di un accordo di pace, anche quella palestinese.
Trump auspica che ciò avvenga grazie ad un processo fra le parti, senza imposizioni dall’esterno, ed è per questo che, nelle ultime frasi fa riferimento all’Arabia Saudita ovvero al Paese arabo custode dei luoghi santi dell’Islam che ha visitato quest’anno e dove il vicepresidente Mike Pence farà tappa nei prossimi giorni – durante una visita nella regione – nella convinzione che re Salman e soprattutto il figlio, e principe ereditario, Mohammed Bin Salman, possano rivelarsi decisivi per creare una cornice regionale di riconciliazione arabo-israeliana capace di facilitare la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Le insistenti indiscrezioni sulla diplomazia segreta condotta dal regno saudita sono lo sfondo di tale scenario.
Se la formula dei due Stati è l’elemento di continuità fra Trump ed i suoi predecessori – da quando nel 1993 Bill Clinton ospitò alla Casa Bianca la firma degli accordi di Oslo – le novità riguardano l’approccio a Gerusalemme e il ruolo dei sauditi. Si tratta di una scommessa che tradisce la convinzione della Casa Bianca sulla possibilità di ottenere risultati imprevedibili in Medio Oriente grazie ai grandi sconvolgimenti in corso nella regione segnata dal duello strategico fra sunniti e sciiti, ovvero fra Arabia Saudita ed Iran. Se Teheran è l’avversario strategico comune di sauditi e israeliani, la Casa Bianca crede che ciò possa portare anche alla soluzione dei due Stati.
Saranno i prossimi mesi a dire quante possibilità ha la scommessa di Trump di farsi strada in una delle più instabili regioni del Pianeta ma la netta condanna da parte dell’Autorità palestinese, le minacce di guerra di Hamas, le parole di fuoco di Erdogan e Khamenei, l’irritazione di molte capitali arabe e il dichiarato dissenso di numerosi alleati europei suggeriscono l’entità delle difficoltà a cui va incontro.
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