La clonazione e la lotta per restare umani, nonostante tutto

Si chiamano Zhong Zhong e Hua Hua le prime scimmie clonate con la tecnica della...

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Si chiamano Zhong Zhong e Hua Hua le prime scimmie clonate con la tecnica della pecora Dolly: sono nate in Cina 19 anni dopo la prima clonazione di un primate, e aprono una sfida etica inedita per l’umanità, perché dopo la scimmia la clonazione dell’uomo appare più vicina. Il Vaticano e alcuni genetisti chiedono di vigilare sull’uso della scienza.

“Umanesimo significa – scrive Antonio Scurati nell’editoriale – mantenere viva ogni giorno la lotta incessante per far prevalere il lato benigno della incessante trasformazione tecnologica che l’uomo applica a se stesso La lotta per restare umani, nonostante tutto”.

Tener viva la lotta per restare umani

Un’arma inutilizzata è un’arma inutile. Lo affermava riguardo alle armi atomiche un generale spietato – una sorta di dottor Stranamore dei blockbuster Anni 80 – in un film sul rischio di apocalisse nucleare della nostra giovinezza.

Poi la fine del mondo veniva sventata da un volenteroso e pacifista nerd occhialuto, mago dei computer di allora, e tutti noi in platea potevamo ignorare il retrogusto amaro della nostra enorme confezione di pop corn immersi nel burro fuso.

Sono passati trent’anni ma la massima cinica del generale folle vale ancora e si applica al nuovo orizzonte apocalittico dischiuso, di questi tempi, dalle biotecnologie (oltre che dal surriscaldamento climatico). La massima applicata al nostro caso suona così: se qualcosa può esser realizzato tecnicamente, sarà realizzato. La notizia che una équipe di scienziati cinesi avrebbe clonato il genoma di una scimmia giunge a confermarlo. Senza ombra di dubbio.

Dopo l’epocale clonazione della pecora Dolly, per decenni si è discusso di regolamentazione etica delle inaudite possibilità scientifiche dischiuse dalla decifrazione del genoma e dalle conseguenti possibilità di una sua spregiudicata manipolazione. Ebbene, erano tutte pie illusioni. La tecnica per sua natura, come ci hanno insegnato i padri fondatori della metafisica occidentale – da Platone in giù – e come ci hanno confermato i pensatori novecenteschi della tecnica – da Martin Heidegger a Emanuele Severino, passando per Günther Anders – è indifferente a considerazioni di ordine etico o morale. La tecnica potrebbe anzi essere definita proprio come la capacità di operare, producendo modificazioni nella tessitura dell’essere, a prescindere da ogni considerazione di tipo etico. La tecnica è il proprium dell’uomo nella misura in cui non s’interroga sul bene e sul male.

Adesso i manipolatori della creazione che, clonando una scimmia, nostro progenitore o parente prossimo, si sono avvicinati di un lungo passo alla manipolazione dell’umano hanno un bel dire che lo hanno fatto per ragioni etiche. Sostengono, infatti, che la nuova frontiera, spostata in avanti dal loro esperimento, ridurrà la sofferenza delle cavie da laboratorio negli esperimenti a venire. Ma mentono. Mentono strutturalmente, al di là delle loro buone o cattive intenzioni. Mentono perché si appellano a un criterio «umanitario» – solo gli esseri umani si preoccupano, nei loro giorni migliori, delle condizioni di vita delle altre specie animali – di tipo etico quando, invece, vestendo i panni del tecnicismo prometeico si sono già posti fuori dalla domanda che subordina il nostro agire ai suoi effetti benefici o malefici. Hanno clonato la scimmia semplicemente perché poteva esser fatto. E se non lo avessero fatto loro, prima o poi lo avrebbe fatto qualcun altro. Qualsiasi nostra illusione a riguardo sarebbe soltanto complice delle sciagure che da questa spietata potenza tecnologica di trasformazione dell’essere potrebbe discendere e discenderà.

Bisogna dunque arrendersi all’ineluttabile? Niente affatto. Bisogna, per l’appunto, lottare. Tenere alta la guardia di un umanesimo sempre sul punto di soccombere alle potenze disumane insite nel progresso tecnologico e scientifico. Umanesimo, però, non significa opposizione a quel progresso. Tutt’altro. La tecnica, lo abbiamo detto, è una potenza specificamente umana. L’essere umano, unico tra le altre specie animali, non esiste in natura. L’essere umano è il risultato delle continue trasformazioni «tecnologiche» attraverso le quali genera se stesso fin dal giorno in cui assunse la posizione eretta per guardare più lontano sulla linea dell’orizzonte nella vastità delle savane africane. Umanesimo significa, dunque, mantenere viva ogni giorno la lotta incessante per far prevalere il lato benigno della incessante trasformazione tecnologica che l’uomo applica a se stesso. La lotta per restare umani, nonostante tutto.

Il viaggio continua. Coraggio.

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lastampa/Tener viva la lotta per restare umani ANTONIO SCURATI

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