Panetta, avvisa: istituti a rischio se non sapranno innovare

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Il vice direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, avvisa: istituti a rischio se non sapranno innovare.

“I nostri istituti fuori gioco, se non innovano. Amazon può diventare un big del credito”

Il vicedirettore di Bankitalia Panetta: “I Bitcoin? Una scommessa, non una moneta. La Commissione d’inchiesta talvolta ha deviato, ma adesso può rivelarsi utile”

ROMA –  «È tutto molto aperto», avverte Fabio Panetta. In effetti il mondo sta cambiando vorticosamente e un nuovo universo prende il posto del vecchio. «Entro dieci anni le banche italiane saranno diverse», stima il vice direttore generale della Banca d’Italia, ragionando sulla sfida del Fintech, la finanza che corre sul web. Non sarà uno sconvolgimento da poco. «Andrà a finire che gli istituti di credito più innovativi e avanzati compreranno le società del Fintech», prevede. Oppure «che le Fintech compreranno loro».

I Grandi di Internet si tuffano nel mondo dei pagamenti e rischiano di disintermediare le banche così come le conosciamo. «Perché non dovremmo dare la licenza ad Amazon se la chiedesse?», domanda il banchiere, convinto che il Fintech non abbia bisogno di grandi interventi legislativi, mentre il Bitcoin non ne necessita affatto. «E’ una scommessa, non una moneta – assicura -. Chi va a fare a spesa col Bitcoin rischia di morire di fame». Ciò non toglie che in Italia il legislatore debba agire. La Commissione bancaria «in certi momenti ha deviato dalla direttiva principale», ma ora si può dare «un contributo per minimizzare gli effetti delle future crisi». Meglio, naturalmente, se «seguendo gli spunti offerti dal governatore Visco».

Direttore, le banche italiane non innovano tanto. O no? 

«Sono consapevoli e interessate all’evoluzione tecnologica, sanno che è necessaria, ma gli investimenti sono ancora contenuti. Il principale problema del sistema è la bassa redditività, dovuta alla crescita fiacca, ai tassi azzerati e alla bassa domanda di credito da parte delle imprese, a sua volta dovuta alla debolezza degli investimenti e all’alto autofinanziamento. Detto ciò, se anche la congiuntura migliorasse non basterebbe ad alzare la redditività del sistema».

Servono strategie diverse? 

«Non c’è una soluzione che possa risolvere magicamente i problemi di redditività. Le banche possono guadagnare in tre modi: assumendo alti rischi, il che è oggi arduo per la normativa sempre più stringente. Sfruttando il potere di mercato, ma anche questa strada è sbarrata dalla concorrenza. Possono poi migliorare l’efficienza, abbassando i costi e aumentando il ricorso alla tecnologia, cosa che stanno facendo. Le banche non possono non investire nell’innovazione. Ma attenzione: non è detto da solo basti. Nel mondo che ci aspetta la concorrenza sarà una sfida continua agli intermediari tradizionali da parte di operatori più agili e con costi minori».

E allora? 

«Le banche devono migliorare il ricorso all’innovazione rispetto al passato, quando la tecnologia raddoppiava l’attività tradizionale e i bancomat duplicavano gli sportelli. La scommessa è sostituire, non affiancare, i canali tradizionali con servizi a distanza, sapendo che lo sportello non sparirà, perché non vedo molti clienti acquistare un mutuo online».

Immagina una Amazon che diventa colosso creditizio? 

«Teoricamente è possibile e in parte sta accadendo. Le maggiori “Big tech” – come Apple, Google, Amazon, Alibaba – già ora offrono servizi finanziari. Alcune di esse hanno un valore di Borsa di circa mille miliardi. Con un aumento di capitale (per loro) limitato potrebbero acquisire l’intero sistema bancario italiano».

È la forza del «Big Data». 

«I dati sono l’elemento chiave di concorrenza. Le piattaforme delle bigtech offrono ai gestori informazioni uniche: di ciascuna azienda si conoscono i prodotti, le vendite, il gradimento presso i clienti. Si possono inferire i gusti e il tenore di vita dei consumatori. Si sa chi paga e chi no. La massa di dati è enorme: si imporrà chi sarà più bravo a leggere ed elaborare informazioni».

Quindi il possesso di dati può giustificare acquisizioni in questo settore? 

«Si. Perché Alibaba o Amazon, che hanno un “roe” elevatissimo, dovrebbero comprare una banca, che se va bene rende il 5%? Distruggerebbero valore. L’impulso può derivare unicamente dall’obiettivo di acquisirne i dati».

Se Mr. Amazon bussasse alla vostra porta e chiedesse la licenza bancaria, gliela dareste? 

«Le licenze sono europee, la prassi è eguale per tutti. Se si ponesse il caso, imbastiremmo la pratica e la porteremmo alla Bce per discuterla».

Con quale possibile esito? 

«Amazon ha una reputazione, è una potenza finanziaria, offre garanzie di tenuta, ha competenze tecniche e l’ipotesi che faccia riciclaggio mi pare per lo meno remota. Con tutti i requisiti sarebbe un atto dovuto. E, comunque, perché no?».

Qualora i pagamenti via Facebook o Alibaba spazzassero via le nostre banche e queste venissero a protestare, che farebbe? 

«Avrei una sola possibilità: spiegare che c’è il mercato, che ci son delle regole, e che è lì che si svolge la partita. Proteggerle sarebbe una violazione del nostro mandato».

La Commissione Ue vuole una licenza paneuropea per il Fintech. Un’esigenza che condivide? 

«È una esigenza del tutto condivisibile per le attività non ancora normate a livello Ue, come il crowdfunding. Per le altre, in particolare per servizi bancari e di pagamento, esiste già un quadro legislativo europeo, che vieta di introdurre vincoli specifici a livello locale. E’ sufficiente. Potranno essere necessari aggiustamenti, dato che gli schemi regolamentari esistenti sono stati tarati per le attività tradizionali. Ma non credo serva un quadro ad hoc per il Fintech».

Si diffondono gli algoritmi nella finanza. Gli automatismi possono essere pericolosi come si è visto nello scivolone dell’euro prima di Natale. Possiamo fidarci?

«Non dobbiamo diffidare delle tecnologie, perché sono indispensabili per trattare la massa immensa delle informazioni. Ma dobbiamo usarle bene. Ci vorrebbero nei cda delle banche più ingegneri, statistici, crittografi e magari meno avvocati ed economisti. Ma siamo lontani dal momento in cui ci affideremo a una intelligenza artificiale. Nella finanza, come capita in ogni campo, le scelte tendono a contenere elementi di irrazionalità. Inoltre, i computer svolgono un ruolo centrale, ma molte decisioni richiedono una valutazione dei rischi fatta da persone. Anche nella gestione dei rischi, da quelli operativi a quelli cibernetici, il fattore umano è ancora centrale».

Ha comprato dei Bitcoin? 

«No».

Che pensa di chi lo ha fatto? 

«Alcuni credono che sia una moneta e non lo è. Non è unità di conto, non è riserva di valore, non è mezzo di scambio. Non ci si può comprare il pane, nessuno ci fa il bilancio. E non ha valore di uso come gli immobili. Soprattutto, Bitcoin non ha uno Stato dietro».

Se non è una moneta, cos’è? 

«Un contratto che ci si scambia nella convinzione che possa valere di più in futuro. È un contratto altamente speculativo. La sua volatilità lo rende simile a una scommessa»

Per alcuni il Bitcoin incarna il rifiuto del cosiddetto establishment?

«Non è una novità. Ci sono alcuni che chiedono di “ridare la moneta al popolo”, togliendola alla Banca d’Italia. Con ciò dimenticando che già oggi la Banca d’Italia trasferisce i profitti derivanti dal signoraggio – molti miliardi ogni anno – allo Stato italiano, e quindi al popolo».

Il Bitcoin andrebbe regolamentato? 

«Occorre innanzi tutto lavorare sull’informazione, illustrarne le caratteristiche e i rischi. Forse “se lo conosci, lo eviti”. Gli scambi sono globali, avvengono al di fuori dei mercati, un’azione legislativa nazionale finirebbe per essere inefficace. E comunque la diffusione è ancora relativamente bassa».

Tutto ciò si scontra con la bassa cultura finanziaria degli italiani che favorito la crisi delle piccole banche perché la gente comprava di tutto. Vero?

«Se un risparmiatore ha difficoltà a capire cos’è un subordinato andando allo sportello della sua banca, figuriamoci come può trovarsi davanti a un prodotto strutturato venduto su Internet. E’ chiaro che bisogna aumentare la cultura finanziaria del paese. Quello che conforta in parte è che le indagini condotte tra i risparmiatori italiani ci dicono che si sta almeno diffondendo la consapevolezza di non sapere. E’ un passo avanti, sebbene la consolazione sia magra. Ma mi faccia aggiungere una cosa.

Dica pure…

«Non dobbiamo dimenticare il valore dell’etica. I consumatori devono sapersi difendere dalle insidie, ma innanzi di tutto occorre evitare che ci siano operatori pronti a insidiarli. E questo è possibile sono con una solida etica del lavoro. È necessario un cambiamento dei comportamenti da parte di molti operatori professionali, e tutti dobbiamo esserne consapevoli».

La normativa Psd2 consentirà la circolazione dei dati dei clienti che lo autorizzino. Opportunità o pericolo? 

«Favorisce la concorrenza, anche se non mi aspetto che le banche abbiano gran disponibilità a condividere i dati coi concorrenti. Così pure i nuovi intermediari. Il possesso di dati è la ricchezza del futuro».

A cosa serve, dunque? 

«Ad esempio, le banche potranno creare delle joint venture e offrire prodotti con aziende innovative. Si faciliterà la creazione di piattaforme, che sono un canale unico che consente di interagire simultaneamente con tante controparti e offrire a basso costo prodotti per molti clienti».

La commissione bancaria è stata una battaglia. E adesso? 

«Sono fiducioso che il rapporto della Commissione conterrà proposte utili. L’audizione del Governatore ha offerto spunti necessari perché, quando il rumore di fondo sarà stato archiviato, la riflessione possa condurre a ricette concrete. L’esperienza di parlamentari, banchieri, giuristi, esperti può fornire un contributo importante alla comprensione dei fatti, al miglioramento dell’attuale assetto, per minimizzare gli effetti di eventuali future crisi. Mi auguro di cuore che succeda».

Una curiosità, per concludere. A seguire il botta e risposta talvolta è apparso sorprendente che tutti ricordassero ogni dettaglio. Come si fa?

«È il nostro mestiere. Appunto sulla mia agenda tutti gli incontri ufficiali. Di regola in Banca d’Italia si redige un verbale di ogni riunione formale. Il nostro lavoro ci impone di essere sempre attenti anche i particolari».

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