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L’allarme sulle banche ignorato da Draghi

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na nota segreta della Vigilanza di Bankitalia avvisò nel 2009 l’allora governatore Mario Draghi dei rischi per le azioni sopravvalutate della Banca Popolare di Vicenza. Il fatto viene ricostruito da Gianluca Paolucci, di La Stampa, dopo che lo scontro sugli istituti di credito è arrivato ai vertici istituzionali, con il duello di parole tra Consob e Bankitalia sulle responsabilità della vigilanza.

“La sicurezza dei risparmiatori – scrive Stefano Lepri – richiede trasformazioni accelerate. Rendiamoci conto che la modifica delle procedure e delle regole di cui ieri è emersa l’urgenza imporrà sfide che per alcune delle attuali aziende bancarie potrebbero risultare troppo ardue. Saranno inevitabili altre aggregazioni”.

In una nota segreta l’allarme su Vicenza ignorato da Draghi

La Vigilanza avvisò nel 2009 l’allora governatore dei gravi rischi per le azioni sopravvalutate

ROMA – C’è una nota della Vigilanza di Bankitalia che nel 2009, al termine delle due ispezioni condotte sulla Popolare di Vicenza, informa il governatore Mario Draghi dei problemi emersi e ancora irrisolti sull’istituto guidato da Gianni Zonin. Sottolineando tra questi il prezzo delle azioni troppo elevato rispetto alla redditività della banca. E come il suo allineamento a valori più congrui avrebbe causato problemi all’istituto, con evidenti ricadute sulle vendite di azioni da parte dei soci e di conseguenti rischi per la stabilità della banca.

La nota, firmata dagli stessi ispettori che avevano condotto le verifiche di controllo del 2009, sottolinea anche come nonostante i correttivi adottati su richiesta della Vigilanza permangano una serie di squilibri, in particolare ricalca in gran parte le considerazioni del rapporto riservato di quella ispezioni. Ma se ne discosta significativamente proprio in questo passaggio.

Agli allarmi lanciati dagli ispettori nel 2008/2009 seguirono alcuni provvedimenti di Bankitalia contro la Vicenza, che venne multata per oltre 500 mila euro (poco più di 25 mila euro per ogni componente del cda e del collegio sindacale) e alla quale venne proibito di effettuare altre acquisizioni. Ma nulla venne fatto sul prezzo delle azioni, che continuò a crescere anno dopo anno fino al picco di 62,5 euro toccato nel 2011. Se non la previsione di una perizia assegnata ad un soggetto indipendente che però ha sempre confermato il prezzo deciso dal cda. Le due ispezioni condotte a partire dall’autunno del 2007 sulla Popolare assumono un ruolo chiave nel ricostruire la vicenda che ha portato al collasso dell’istituto e al suo salvataggio a carico dello Stato nell’estate scorsa.

La prima ispezione, di carattere generale, si svolse dal 23 ottobre 2007 al 12 marzo del 2008 e si concluse con un giudizio «parzialmente sfavorevole». Nella relazione finale, gli ispettori sottolineavano una lunga serie di problematiche emerse, dal ruolo predominante di Gianni Zonin ai prestiti concessi in conflitto d’interesse ad alcuni consiglieri (tra i quali lo stesso Zonin, le cui aziende erano allora affidate per circa 22 milioni di euro), fino alla concessione del credito effettuata su base «relazionale» più che sulla base di criteri oggettivi di merito creditizio. Emblematico il caso dei 96,5 milioni concessi nel 2004 «dal presidente», ovvero Zonin, alla Magiste di Stefano Ricucci senza attendere la delibera degli organi della banca.

In quella ispezione emersero anche problemi sui crediti – con la necessità di una serie di svalutazioni – e sulla liquidità della banca, che in una situazione «di stress» avrebbe avuto secondo gli ispettori una cassa per soli 5 giorni. Di questa ispezione venne comunicata a Consob solo la parte relativa alla vendita da parte della banca ai propri clienti di derivati speculativi, estremamente rischiosi. Il divieto di fare acquisizioni venne tolto nel 2011, con una lettera firmata da Fabrizio Saccomanni.

La successiva ispezione (dal 16 aprile al 7 agosto 2009), definita di «follow up», doveva valutare i progressi compiuti dalla banca per correggere i problemi emersi nella ispezione precedente. Malgrado il giudizio finale («parzialmente favorevole», secondo gradino in una scala di sei), gli ispettori sottolineavano che il ruolo di Zonin restava ancora predominante malgrado il ritorno in banca di Divo Gronchi come ad. E restava irrisolto il nodo del prezzo dell’azione, con un «disallineamento fra rendimento del titolo e redditività d’impresa» che incentivava l’ingresso di nuovi soci e di fatto «la preservazione degli assetti di governance». Ovvero, la poltrona di Zonin.

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lastampa/In una nota segreta l’allarme su Vicenza ignorato da Draghi GIANLUCA PAOLUCCI

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