Carlo Manfredi, giornalista, scrittore ed ex calciatore, è stato protagonista di un intervento appassionato e ricco di spunti durante l’ultima puntata del Juve Stabia Talk Show, il programma che ogni giovedì sera infiamma i canali social di Vivicentro.it con dibattiti e approfondimenti sul mondo delle Vespe. L’ex calciatore, noto per la sua versatilità in campo e per aver calcato i campi di gioco in diverse categorie, ha offerto una panoramica lucida e affascinante sul calcio di ieri e di oggi, con un occhio di riguardo speciale per la Juve Stabia e il suo sorprendente percorso.
M
anfredi ha iniziato la sua disamina partendo da un punto cruciale nel calcio moderno: la fisicità. “A grandi livelli, è il fisico a fare la differenza”, ha sentenziato, sottolineando come la preparazione atletica e la potenza fisica siano diventati elementi imprescindibili per competere ai vertici. Un concetto che deriva dalla sua stessa esperienza di calciatore poliedrico (soprattutto con la maglia del Foligno), capace di ricoprire “tutti i ruoli del centrocampo”, dimostrando una duttilità tattica che lo ha reso un elemento prezioso per le squadre in cui ha militato.
Inevitabile, nel suo racconto, è stato il riferimento a un maestro del calcio come Sacchi. “Sacchi per me rappresentava la bellezza del gioco del calcio”, ha confessato Manfredi, evocando un’epoca in cui la tattica e l’estetica del gioco avevano un peso preponderante. Un velo di nostalgia traspare nelle sue parole quando confronta il calcio di ieri con quello attuale, dominato dalla tecnologia. “La tecnologia oggi sembra averci surclassato”, afferma, quasi a voler rimarcare come l’iper-tecnologizzazione del calcio abbia in parte oscurato l’aspetto umano e istintivo del gioco. Eppure, proprio nel ricordo del passato, Manfredi ritrova un valore fondamentale: la “selezione naturale”. “Quando giocavo io c’era la selezione naturale per decidere chi andava avanti e chi no”, spiega, sottolineando come un tempo fosse il campo a decretare il valore di un giocatore, in un processo di crescita organico e meritocratico.
Nonostante il passare degli anni, Manfredi dimostra di aver mantenuto vivi i legami con il mondo del calcio. “Ho cercato di non disperdere tutti i contatti che ho”, rivela, citando con affetto mister Celardo, definito un “allenatore eccezionale”. Un aneddoto pittoresco emerge dal suo racconto, un ricordo legato indissolubilmente al territorio e al centro sportivo di Rovigliano: “Ricordo i palloni che finivano nel fiume Sarno con il magazziniere che con il retino cercava di recuperarli, ma non riusciva a riprenderli tutti”, un’immagine che evoca un calcio più genuino, legato alla passione popolare e ai campi di periferia.
Il discorso di Manfredi si sposta poi su un tema a lui caro: la memoria storica. “Stabia e Siracusa? Molti giovani hanno dimenticato la storia. Non possono far finire la memoria, è quella che ci distingue!”, esclama con veemenza. Un appello accorato a non dimenticare le radici, i valori e le tradizioni che hanno reso grande il calcio e le comunità che lo vivono con passione. E proprio in questo contesto si inserisce il suo sogno, quasi una promessa: “Magari un giorno potessi scrivere un libro sulla Juve Stabia in Serie A”. Un desiderio che va oltre la semplice ambizione letteraria, ma che si configura come un vero e proprio atto d’amore verso la squadra e la città.
Carlo Manfredi ci presenta la sua ultima opera “Il Calcio in Riva al Mare” che ha iniziato a scrivere durante il lockdown percorrendo con la memoria la sua esperienza al centro sportivo di Rovigliano. Centro che ha visto muovere i primi calci a tanti calciatori del passato che poi hanno avuto carriere più o meno importanti: come Salvatore Di Somma, Mimmo Izzo, Rodrigo Ghiandi, lo stesso Carlo Manfredi e tantissimi altri.
Dopo alcune parole sul suo libro Manfredi ha voluto fare un elogio all’attuale Mister della Juve Stabia, Guido Pagliuca. “Il team di Pagliuca è una squadra incredibile, giovane che ha un budget inferiore a tante altre di B”, sottolinea con ammirazione. Un complimento che va dritto al cuore del progetto gialloblù, basato sulla valorizzazione dei giovani talenti e su un gioco propositivo e coraggioso, nonostante le risorse economiche limitate. “E’ il gioco che fa grande i calciatori e in questo mister Pagliuca è stato bravissimo”, ribadisce Manfredi, convinto che siano le idee, la tattica e la qualità del gioco collettivo a fare la differenza, più che i singoli investimenti milionari. “La differenza, ripeto, la fa anche il fisico e la preparazione”, aggiunge, ritornando sul tema iniziale della fisicità, ma integrandola in un contesto più ampio, dove la preparazione atletica è al servizio del gioco e dell’intelligenza tattica.
Un sorriso affiora sul volto di Manfredi quando parla del Direttore Sportivo della Juve Stabia. “Il DS è un vero e proprio ragazzino che ho avuto il piacere di conoscere al Menti in occasione della conferenza pre partita con il Cosenza”, confessa con un tono tra l’ironico e l’ammirato, quasi sorpreso dalla giovane età di una figura così centrale nella gestione della squadra. Infine, una chiusura sorprendente, un parallelismo inatteso che racchiude in sé la bellezza e la capacità dello sport di superare ogni confine ideologico e storico. “Fa sorridere pensare che Castellammare da Stalingrado rossa che ha onorato la Resistenza abbia tra le fila della propria squadra un Mussolini, ma lo sport supera qualsiasi barriera e questo è giusto”. Un’affermazione che sigilla l’intervento di Manfredi con un messaggio potente: il calcio, con la sua passione e la sua capacità di unire le persone, è un linguaggio universale che va oltre le divisioni politiche e sociali. E chissà, magari un giorno, potremo davvero leggere quel libro sulla Juve Stabia in Serie A, scritto da un testimone d’eccezione come Carlo Manfredi, innamorato del calcio e della magia delle Vespe.