La Repubblica Italiana dal “Trattato di Pace” ad oggi (di A. Cataldi)

Il Prof. Antonio Cataldi esamina le dinamiche della Repubblica Italiana dal “Trattato di Pace” del 10 Febbraio 1947 fino ad oggi. Dinamiche di un Paese "atlantista".

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Antonio Cataldi, docente e storico, attraverso ricerche e approfonditi studi, che anticipano un saggio dedicato ai 77 anni della Repubblica, prova ad esaminare il profondo cambiamento dell’Italia dal Trattato di Pace del 1947 ad oggi, alla luce delle influenze geopolitiche

di Maria D’Auria

Roma- Com’è cambiata l’Italia dopo il Trattato di pace del 1947? Quali sono state le influenze geopolitiche fino ad oggi? Antonio Cataldi, docente e storico, attraverso ricerche e approfonditi studi -che anticipano un saggio dedicato ai 77 anni della Repubblica-, prova ad esaminare questo profondo cambiamento alla luce delle influenze geopolitiche.

Un’analisi attenta e doviziosa che apre ad interessanti spunti di riflessione sul tema.

La Storia. Il 10 Febbraio 1947 -data cruciale per la storia dell’Italia unita- l’Italia sottoscrisse a Parigi il “Trattato di Pace” impostole dai Paesi Alleati, vincitori della Seconda Guerra Mondiale, con una serie di condizioni che ebbero rilevanti conseguenze per l’Italia stessa che stava iniziando a prendere forma dalle ceneri della guerra.

Trattato di PaceLe pesanti condizioni punitive a cui l’Italia fu sottoposta, furono presto dimenticate dall’opinione pubblica: dalle più rilevanti mutilazioni territoriali dell’Istria-Dalmazia-Quarnaro a Est, alla perdita di Briga, Tenda, territori del Moncenisio, Monginevro, Tabor e Passo San Bernardo a Ovest; la perdita delle colonie africane e dei territori occupati in Europa; il ridimensionamento delle forze armate; l’imposizione di alcune aree territoriali demilitarizzate o a basso impatto di difesa militare (tutta la costa ligure, un territorio-cuscinetto dalla Valle d’Aosta alla Liguria interna); tutta la fascia costiera friulana e veneta; buona parte della Penisola Salentina, la Sardegna e la Sicilia; l’accettazione di una sistematica e reiterata operazione di “pulizia etnica” posta in atto dal regime comunista yugoslavo di Josip Broz detto Maresciallo Tito, finalizzata all’eliminazione fisica o alla cacciata degli italiani dai territori della Venezia Giulia (tra il 1943 e il 1945) e dai comuni di Capodistria, Pirano, Umago, Cittanova e Buie (abitati da 63 mila italiani, 60 mila dei quali abbandonarono le loro case, le loro terre, pur di restare italiani), ceduti con il Trattato di Osimo del 1975, alla Federazione Yugoslava.

Temi scomodi e generatori di disagio

I libri di Storia non parlano del Trattato di Pace del 1947 e delle conseguenze che ne scaturirono: per la gran parte degli italiani, l’evento non è percepito come un punto di svolta ineludibile per la comprensione delle dinamiche della rinascita italiana dopo la Seconda Guerra Mondiale. E non a caso, le problematiche inerenti l’identità nazionale e il nuovo ruolo dell’Italia nello scenario internazionale (come ricorda Ernesto Galli della Loggia), sono tornati d’attualità solo dopo il 1989, cioè dopo la fine della “Guerra fredda”.

Il nuovo assetto identitario dello Stato con la nascita della Repubblica Italiana risultava alleggerito di alcune caratteristiche identitarie fondative della comunità nazionale che durante il fascismo avevano subìto pesanti manipolazioni e strumentalizzazioni.

Dal Trattato di Parigi l’Italia usciva non solo ridimensionata nel suo ruolo internazionale, ma le sue frontiere dovevano restare “completamente aperte, i suoi territori nazionali… strappati, le clausole economiche… gravissime” come ebbe ad osservare lo stesso Alcide De Gasperi nell’Agosto 1946 proprio a Parigi. Ne usciva infragilita pure la sua identità risorgimentale, quella cioè di un Paese dal grande passato storico e con un avvenire che non poteva essere meno grande, in teoria.

Di questo forte declassamento e ridimensionamento, le classi dirigenti italiane non ne ebbero immediata consapevolezza, come evidenziato dalla campagna elettorale del 1948 in cui i partiti politici tutti, chi più chi meno, rivendicavano la restituzione delle colonie, un obiettivo solo parzialmente e simbolicamente raggiunto nel caso della ex colonia africana della Somalia Italiana, che fu affidata in “amministrazione fiduciaria” all’Italia per dieci anni da parte delle Nazioni Unite.

Le “clausole segrete” stabilite dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna nella «Convenzione d’Armistizio» del 3 Settembre 1943, come pure le clausole segrete del «Trattato di Pace» di Parigi del 10 Febbraio 1947, furono prodromiche al delinearsi del “Patto Atlantico” il nuovo progetto strategico-militare che gli Stati Uniti stavano elaborando finalizzato a controllare l’Europa Occidentale, nella loro nuova condizione di Paese vincitore-egemone.

Stati Uniti e Gran Bretagna

In un primo momento gli Stati Uniti, e ancora di più la Gran Bretagna, pare volessero escludere l’Italia da un coinvolgimento diretto in questa Alleanza militare. Tuttavia alcuni dei diplomatici italiani più influenti dell’epoca, iniziarono un’azione convergente e sinergica sul governo di De Gasperi affinché decidesse di schierarsi a favore dell’ingresso dell’Italia in questa Alleanza, al fine di evitare un “declassamento” del Paese dal gruppo di Paesi “di testa”, cioè i Paesi occidentali vincitori della guerra.

L‘amministrazione americana era ben consapevole dell’importanza geopolitica-strategica dell’Italia come Paese al centro del Mediterraneo, e pertanto difficilmente eludibile in un progetto di controllo e dominio di almeno tutta l’area Occidentale europea quale si prefiggeva di essere il “Patto Atlantico”. Per le stesse ragioni però la Gran Bretagna era contraria all’ingresso dell’Italia, ritenendola da sempre un Paese debole e inaffidabile, da tenere sotto stretta osservazione.

Le resistenze britanniche, tuttavia, non poterono contrastare la crescente volontà statunitense di includere l’Italia. Così, il 27 Marzo al Senato ci fu l’approvazione in favore dell’adesione: su 308 senatori votanti, 188 furono i favorevoli, 112 furono i contrari e 8 gli astenuti. I contrari-astenuti in gran parte ritenevano che l’Italia dovesse stare fuori dallo schieramento bipolare strutturatosi alla fine della guerra, affinché potesse operare nel ruolo di ponte tra Ovest ed Est. Molti di loro però subirono forti pressioni affinché votassero a favore dell’adesione mentre Giuseppe Rapelli contestò la forte deriva “atlantista” del partito a trazione degasperiana, difendendo il desiderio di pace diffuso nel popolo italiano dopo gli anni devastanti della guerra, e per questo si adoperò per allargare il fronte neutralista. Superati i dibattiti parlamentari, si giunse alla cerimonia della firma del «Trattato NATO» a Washington, era il 4 Aprile 1949.

L’espansione militare

Una volta ottenuta l’annessione formale dell’Italia nel proprio progetto di difesa, gli Stati Uniti procedettero senza difficoltà alla realizzazione del loro programma di espansione militare nella Penisola attraverso accordi relativi alle singole installazioni militari che avrebbero aperto.

Tra i Paesi vincitori del conflitto, prevalse la volontà angloamericana su quella sovietica (che propendeva invece per accordi senza vincoli di carattere militare), mentre la nascente classe politica governativa italiana, acconsentì la presenza militare statunitense nel paese come “presidio stabile di difesa“.

Gli Stati Uniti riuscirono così ad avviare un programma di apertura di centri militari di vario tipo e dimensione un po’ ovunque in Italia, sebbene con alcune predilezioni territoriali come ad esempio nel Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia, Sardegna.

Gli accordi riguardanti l’installazione di basi o centri militari statunitensi e NATO in Italia hanno tuttavia sempre disatteso le procedure delle leggi vigenti, essendo stati stipulati sempre in forma segreta e solo eccezionalmente presentati al Parlamento, ma sempre a cose fatte. Secondo gli articoli 80 e 87 della Costituzione, l’autorizzazione di installazioni militari estere, non può avvenire per via di accordi con procedura semplificata, senza l’autorizzazione parlamentare; ecco quindi che si profila il carattere di incostituzionalità di tutti i numerosi accordi bilaterali stipulati tra Stati Uniti e Italia in questa materia. Inoltre, nessun accordo relativo all’istituzione delle tante basi militari americane e NATO sul suolo italiano è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, di conseguenza, tali violazioni, di fatto, rendono questi accordi illegittimi e incostituzionali.

“La prerogativa dell’America di non informare le autorità italiane e l’opprimente segretezza imposta su questi accordi da parte statunitense, emerge, purtroppo, in molte circostanze, come nel caso della tragedia del Cermis”. 

Il «Memorandum d’intesa USA Italia» fu reso pubblico solo in occasione della tragedia del Cermis, quando il 3 Febbraio 1998 un aereo militare statunitense proveniente dalla base dell’Aeronautica statunitense di Aviano, tranciò i fili della funivia del Cermis provocando la caduta di una cabina e la morte di 19 persone che ancora oggi, dopo 25 anni, attendono giustizia con i loro familiari, visto che i piloti responsabili sono stati condannati a pene ridicole e poi facilmente rimessi in libertà. Nonostante il suddetto accordo disponga che le strutture delle basi vengano poste sotto il controllo italiano, il comando di tutte le operazioni rimane saldamente nelle mani dei militari statunitensi, i quali in genere non informano affatto le autorità italiane.

“Ma come si è potuto attuare un simile programma di trasferimento di personale, armamenti e mezzi militari, soprattutto americani, sul territorio italiano?”

Di sicuro non si poteva prescindere da un consenso diffuso nella società italiana: dalla diffusa benevolenza della popolazione italiana nei confronti dei militari americani- presenti in Italia sin dal 1943 e spesso identificati come “liberatori” e distributori di aiuti alimentari e sanitari per una popolazione di almeno trenta milioni di italiani stremati e debilitati dalle vicissitudini belliche-, fino ai legami di “sangue”, di parentela con numerosi soldati statunitensi figli, nipoti o pronipoti di oriundi italiani trapiantatisi oltreoceano.

Genesi dell’occupazione

Sin dall’inizio dell’entrata in vigore del Patto Atlantico, le basi militari che si andavano aprendo nella penisola italiana e nelle isole, da Sigonella ad Augusta, da Gaeta alle basi di Vicenza, ufficialmente dovevano costituire dei centri a servizio delle strategie della NATO, ma contemporaneamente sarebbero state utilizzate senza alcun limite dalle forze armate statunitensi in virtù dei suddetti accordi bilaterali tra Stati Uniti e Italia, molto dettagliati. Su tutto, però, ha sempre prevalso la volontà politica di porre le relazioni tra Italia e Stati Uniti sul piano stabilito nel 1954, ovvero di mantenere all’oscuro la popolazione italiana del contenuto degli accordi segreti nonché della loro manifesta incostituzionalità. Come quando, nel 1959, il Presidente del Consiglio Antonio Segni nell’intento di diminuire la condizione di forte marginalità dell’Italia sul piano della diplomazia internazionale, concedeva agli Stati Uniti in forma di accordo bilaterale semplificato la possibilità di installare dei missili nucleari Jupiter in Puglia, dalla distruttività cento volte superiore a quella delle due bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki. Non solo si evitarono i passaggi parlamentari, ma lo stesso Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi ne venne a conoscenza solo a cose fatte. L‘accordo finì per generare forti tensioni con l’Unione Sovietica, che lamentava la forte dipendenza dell’Italia dagli Stati Uniti.

Con i missili installati in diverse località della Murgia barese, la Puglia rischiò di essere travolta da un’Apocalisse nucleare a causa di 4 fulmini che caddero su alcune delle installazioni danneggiandole, col rischio concreto di esplosioni nucleari accidentali. Un rischio che era noto agli scienziati statunitensi del Comitato Congiunto per l’Energia Nucleare (JCAE) che cercarono di mettere in guardia i vertici militari, ma questi rimasero impassibili alle loro avvisaglie e non introdussero nessuna misura di sicurezza. Alla fine del 1960, un gruppo del JCAE, arrivò in Italia per visionare le installazioni missilistiche e rimase molto colpito dalla trascuratezza dei sistemi di sicurezza in Puglia. L’allora Presidente Kennedy dispose un finanziamento di 23,3 milioni di dollari per la collocazione del sistema di sicurezza denominato PAL, finalizzato ad evitare esplosioni nucleari accidentali o non autorizzate. Di tutti questi rischi e del sopralluogo degli scienziati statunitensi nei siti pugliesi, non fu mai informato il Parlamento italiano e tanto meno le popolazioni pugliesi, e più in generale la popolazione italiana che restò del tutto ignara su questi eventi che pure li riguardava in prima persona.

Gli anni Ottanta

Negli anni Ottanta gli Stati Uniti decisero di spostare in Italia un centinaio di bombe atomiche nelle basi di Aviano e Ghedi, ponendo nuovi problemi di ordine giuridico oltre che politico: entrambi i Paesi sono firmatari del Trattato anti proliferazione nucleare, e l’Italia non può né produrre né ricevere “formalmente” ordigni nucleari sul proprio territorio.

Per cercare in qualche modo di “salvare la faccia”, gli Stati Uniti e l’Italia hanno elaborato un sistema di comando binario e parallelo, detto “della doppia chiave” secondo il quale, in caso di attacco nucleare, a rispondere con una testata atomica dovranno essere contemporaneamente i due comandanti, quello italiano e quello statunitense. Nella realtà però questa “divisione dei compiti” pare essere fittizia, o piuttosto finalizzata ad evitare polemiche e provocazioni politiche dal momento che la Costituzione italiana vieta l’azione bellica come strumento di soluzione dei conflitti.

Rispetto agli altri Paesi europei mediterranei occidentali come la Spagna, la Grecia e il Portogallo, l’Italia divenne così per gli Stati Uniti un interlocutore affidabile e di primaria importanza per l’attuazione della loro strategia di realizzazione di una rete di propri centri e basi stabili delle diverse forze militari ormai impiantati in Europa e in Italia. Con l’invasione militare statunitense del Vietnam e la relativa guerra ultra ventennale, il mito del soldato americano buono, portatore della grande civiltà americana, iniziò a scricchiolare.

Nel 1986, gli Stati Uniti governati da Ronald Reagan, decisero di bombardare la Libia senza consultarsi con i Paesi alleati, e in primis con l’Italia che era il primo partner commerciale del Paese nordafricano. Se si esclude il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, la guerra americana alla Libia costituì la crisi principale nei rapporti tra Italia e Stati Uniti sin dal dopoguerra. L’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi negò a Regan per ben due volte l’autorizzazione ad usare le basi americane in Italia e Sicilia per andare a bombardare la Libia.

Le spese militari

I governi italiani degli ultimi decenni hanno sempre ottemperato alle richieste americane di aumentare il proprio bilancio per le spese militari. Negli ultimi anni il governo di Mario Draghi, su precisa richiesta perentoria dell’Amministrazione Biden, ha impegnato lo Stato italiano a portare al 2% del PIL annuale le spese militari a partire dal 2024, ovvero oltre cento milioni di euro al giorno, circa 38 miliardi di euro ogni anno; impegno che è stato recentemente confermato anche dal governo Meloni.

Per quanto riguarda l’Italia, gli effetti economici dell’attività militare in un territorio specifico, è spesso sopravvalutata. Anzi, vi sono situazioni territoriali devastate da vari punti di vista proprio per la presenza di questi centri militari, altamente impattanti, come nel caso della Sardegna, tra i più eclatanti. È il caso del tristemente noto poligono di Quirra-Teulada, aperto nel 1956 e destinato alla sperimentazione di nuovi sistemi d’arma, spesso utilizzato dalle forze armate statunitensi o NATO, nonché da industrie di armi. A causa di un’elevata percentuale di casi di malattie tumorali al sistema emolinfatico soprattutto dal 2001, si è iniziato a parlare di una vera e propria “Sindrome di Quirra”, riscontrata non solo tra il personale impiegato nella base, ma anche tanto tra le popolazioni adiacenti il poligono. Nell’area del poligono di Quirra, sono stati esplosi circa 4200 missili contenenti Torio, di questi solo 19 sono stati recuperati. Dove sono gli altri? La Procura di Cagliari ha dovuto ammettere l’elevata presenza di questo materiale radioattivo in tutta la penisola che ospita il poligono, con effetti devastanti per nascituri e bestiame. In Germania, gli americani avevano costruito intere città come scenari adatti a simulare i diversi scenari di guerra, ed è probabile che anche in Italia si vada verso questa scelta, specialmente nel territorio tra Vicenza e Aviano, dove era stata individuata la città fantasma di Longare, a sud di Vicenza.

Il nuovo concetto strategico

Da alleanza che impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, la NATO viene trasformata in alleanza che prevede l’aggressione militare in scenari sempre più ampi e non attinenti a quelli dei suoi Paesi membri. La nuova strategia è stata messa in atto con le guerre in Jugoslavia (1994-1995 e 1999), in Afghanistan (2001-2015), in Libia (2011) e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria.

Il Nuovo concetto strategico viola i principi della Carta delle Nazioni Unite. Uscendo dalla NATO, l’Italia si sgancerebbe da questa strategia di guerra permanente, che viola la Costituzione, in particolare l’articolo 11, e danneggia i reali interessi nazionali. L’appartenenza alla Nato priva la Repubblica italiana della capacità di effettuare scelte autonome di politica estera e militare, decise democraticamente dal Parlamento sulla base dei principi costituzionali. La più alta carica militare della NATO, quella di Comandante supremo alleato in Europa, spetta sempre a un generale statunitense nominato dal presidente degli Stati Uniti. E anche gli altri comandi chiave della Nato sono affidati ad alti ufficiali statunitensi. La NATO è perciò, di fatto, sotto il comando degli Stati Uniti che la usano per i loro fini militari, politici ed economici.

La sudditanza dell’Italia agli Stati Uniti è esemplificata dalla rete di basi militari Usa/Nato sul nostro territorio che ha trasformato il nostro paese in una mega fortezza militare statunitense nel Mediterraneo. Particolarmente grave è il fatto che, in alcune di queste basi, vi sono bombe nucleari statunitensi e che anche piloti italiani vengono addestrati al loro uso. L’Italia viola in tal modo il Trattato di non-proliferazione nucleare, che ha sottoscritto e ratificato.

Attualmente ci sarebbero oltre cento basi militari straniere sul suolo italiano, secondo stime recenti sarebbero almeno 173, ma non è semplice stabilirne il numero esatto dal momento che pare sussistere una volontà istituzionale tesa a sminuire quando non a negare la precisa entità di queste strutture. Ampliamenti, modifiche di infrastrutture collegate alle basi non di rado sono approvate all’interno di progetti dichiarati di “pubblica utilità, così da dissimularne la divulgazione e prevenire eventuali proteste, come ad esempio nel caso dell’Emilia Romagna dove l’ARPAE approvava, nel 2019, un progetto per la realizzazione di un nuovo tronco sotterraneo della dorsale MT 15 KV TORNADO che avrebbe consentito alla NATO (radar di Poggio Renatico) di ottenere l’aumento di potenza richiesto; l’opera sarebbe stata in cavo cordato ad elica sotterraneo per una lunghezza di 1,5 km. E ciò nonostante in questo territorio, almeno dagli anni inizi degli anni Duemila, furono rilevati casi di tumori infantili al cervello, statisticamente anomali.

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