Camorra in dosi: le origini risalgono al ‘600

Le origini della camorra risalgono al XVII secolo: importata dalla Spagna si è poi diffusa nel capoluogo partenopeo.

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Le origini della camorra risalgono al XVII secolo: importata dalla Spagna si è poi diffusa nel capoluogo partenopeo.

La camorra è da sempre il cancro che reprime le potenzialità di una terra che nonostante tutto presenta eccellenze a livello mondiale.

Intorno alle sue origini nulla ci viene fornito da documenti e ricerche storiche avviate sull’argomento.

Le etimologia del termine Camorra

Qualche notizia ci viene data da delle ricerche etimologiche.

Per alcuni il termine camorra è una distorsione della parola gamurra, indicante un abito cortissimo simile ad una giacchetta, indossato in tempi remoti da bravi e malandrini e che poi successivamente presero il nome del vestiario. Ciò che avvalora tale tesi è il fatto che i camorristi napoletani indossassero una veste simile.

Secondo altri il termine camorra deriva dal gioco della morra, lo stesso che ancora oggi pratichiamo.

Per altri ancora il nome camorra deriverebbe dall’arabo Kumor, gioco proibito dal Corano e produttivo di guadagni fraudolenti.

Sicuramente le prime azioni illecite dei camorristi iniziarono con il gioco d’azzardo in bische ed osterie.

I membri dell’organizzazione criminale erano soliti frequentare questi locali per estorcere denaro utilizzando insulti e minacce nei confronti dei giocatori.

L’arrivo della camorra a Napoli

In una novella del Cervantes, “Rinconete e Cotardillo”, si parla di una setta molto simile alla camorra, operante a Siviglia, con a capo Manapodio.

Questa organizzazione, denominata i “birbevis di Siviglia”, aveva un proprio codice, una propria lingua e attribuiva a se stessa il diritto di vita o di morte dei propri membri.

Ci sono similitudini tra le due organizzazioni anche per quello che riguarda l’organizzazione. In Spagna i nuovi affiliati venivano chiamati fratelli minori e si occupavano dei lavori più umili .

I veterani, detti Fratelli maggiori, erano tenuti a corrente di tutto quello che riguardava l’associazione, avevano tutti un soprannome.

L’attività criminale riguardava di stabilire mazzette, punizioni e vendette private.

Manapodio in un registro annotava le commissioni che riceveva dai clienti. Per esempio:

“Al sarto Gabbo, detto il Selguero, sei colpi di bastone per conto della signora che ha lasciato in pegno la sua collana. Esecutore il desmachado.”

 “All’oste della lucerna dodici colpi di bastone di prima qualità, a uno scudo al colpo. Ricevuto un acconto per otto. Termine stabilito sei giorni. Esecutore maniferro.”

A Napoli come a Siviglia chi voleva diventare camorrista doveva percorrere, direbbero i latini, un cursus honorum. Si iniziava ad essere garzone di malavita, addetto ai lavori più rigorosi e meno retribuiti. Se questi dimostravano coraggio e devozione, si diveniva picciotto di sgarro. Successivamente ad un noviziato che andava dai 3 a 6 anni, si diventava Camorristi.

I camorristi avevano un soprannome, imponevano tasse su tutto. C’era la tangente per vendere e comprare, per avere giustizia e privilegi, per bere e per mangiare. Chi non pagava veniva bastonato, altre volte veniva ucciso.

Le similitudini tra le due organizzazioni sono molte e non possono passare inosservante.

Inoltre il Cervantes non aveva lavorato di fantasia ma si era riferito a studi sociali fatti nei suoi soggiorni nella città di Siviglia tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600.

I centri operativi della camorra

I centri operativi della camorra erano le carceri.

A metà del 1500 cosi annotava il vicerè cardinale Gran Vela: “A nostra notizia il è pervenuto che dentro le carceri della G.C. della Vicaria, si fanno molte estorsioni dai carcerati, creandosi l’un l’altro Priori in dette carceri, facendosi pagare l’olio per le lampade e facendosi dare altri illeciti pagamenti, facedosi essi da padroni in dette carceri”.

Il prelato suggeriva, per estirpare la piaga, di punire i colpevoli con due giri di corda attorno al collo.

Ciò non fu sufficiente, infatti in un rapporto dei gesuiti si annotava: “nelle prigioni entrato uno nelle carceri s’eran gia venduti li vestiti, e quel che è peggio si trovava spogliato senza accorgersene, se ben s’ accorgeva non poteva parlare per timore di vita, poiché con piu facilità si facevano omicidi dentro le carceri che fuori.”.

“E grandi erano i maltrattamenti che si facevano a quelli che venivano carcerati o per occasione di toglierli qualche denaro sotto colore che ognuno quale entra di nuovo carcerato, li facevano pagare la lampa, o sotto altro titolo che si tace di modestia.”.

A nulla servirono i sermoni dei gesuiti. A tal proposito c’è una storiella nella quale si narra di un monaco che tentò di convertire un detenuto parlandogli della grazia di Dio, il detenuto rispose: “Padre, se tu mi dai un carlino per comprare tanta salsiccia, ti darò tutta questa grazia di Dio che tu mi hai offerto.”.

La comparsa del nome Camorra

Il potere e l’influenza della camorra dalle carceri si estese nelle città. Documenti, ordinanze e bandi dell’epoca ci testimoniano i misfatti, i crimini e le tasse che venivano imposte ai cittadini.

A dire il vero, il nome Camorra non compare in nessuno di questi. Ciò fa pensare che l’associazione ancora non era unica o una confederazione di sette alleate.

Ma i reati commessi avevano tutti le caratteristiche di azioni commesse da organizzazioni criminali ben radicate e gerarchicamente organizzate.

È il caso di Giulio Monti, fatto impiccare dal cardinale Colonna nel 1529. Era a capo di un organizzazione di malfattori specializzati in taglie e riscatti.

L’esistenza ufficiale della camorra viene indicata in un opuscolo datato 1726. Si attribuisce l’organizzazione e diffusione della setta a quei soldati spagnoli chiamati in dialetto “prubbechelle”.

Vengono riportati gli abusi, le esazioni e i diversi pretesti nello imporre a venditori di commestibile delle piccole tasse illecite.

Cosi l’autore scriveva : “Ma quello che era peggio, che quei tali allora militari di sì corrotti e diabolici costumi tiravano seco buona parte di sgherri e malandrini del paese, che uniti con un altro infame genere di certi bastardi e soldati, chiamati giannizeri, dagli stessi spagnoli Idalghi e d’onore aborriti, li quali per valissimi uffizi fatti avessero tutti col Don appellavansi, col confondersi il nome di cavaliere tra i ribaldi, e male a quel povero cittadino che non li rispettava sendone giunti sino a ritirarsi in chiesa, e con certi bigliettini componeano di consideranti somme i benestanti, minacciandoli in mancanza della vita.”

 

Le riflessioni sul presente

A Castellammare, grazie alle soffiate e alle rivelazioni dei pentiti e al lavoro encomiabile della magistratura, si sta facendo luce su tutto ciò che di illecito è stato commesso. Un vortice di illegalità che ha portato alla distruzione dell’ambiente, al degrado delle periferie, all’abbandono di strutture fondamentali per lo sviluppo economico, fino allo scioglimento della giunta stabiese per infiltrazioni camorristiche.

Seppure siano passati più di 500 anni, sono evidenti i tratti di similitudine che sorgono tra la camorra di oggi e la camorra di ieri.

Il modo in cui si sviluppa, rafforza e rigenera è lo stesso.

La camorra si arricchisce grazie le debolezze dello stato che non riesce a garantire i diritti sociali sanciti dalla Costituzione. Viviamo nella dittatura della crisi perenne: disoccupazione, inflazione, evasione fiscale, povertà, degrado delle strutture pubbliche e abbandono delle periferie, sono temi che trattiamo ogni giorno.

La camorra è così forte per questo: si sostituisce allo stato!

I clan nascono nelle periferie sfruttando la povertà generata da un sistema economico sociale che lascia indietro gli ultimi. A questi offre un lavoro con ottimi guadagni, vitto e alloggio.

Nei palazzi abbandonati crea punti di ritrovo e le piazze di spaccio. Chiede il pizzo ai piccoli commercianti che soffocati dalle tasse imposte dallo stato sono costretti a chiudere.

Arricchendosi, ricicla il denaro sporco investendolo in attività apparentemente legali che fanno concorrenza sleale alle aziende “legali” le quali ritrovano la propria richiesta di lavoro annullata.

La Camorra è un fenomeno sociale e perciò non si può sconfiggere solo con la polizia.

La camorra si sconfigge conoscendo il fenomeno e le conseguenze negative che causa, investendo nell’istruzione con interventi mirati alle scuole di periferia e soprattutto creando occupazione e posti di lavoro.

Lavoro, che come diceva il poeta “nobilita l’uomo”, è il valore sostanziale ed essenziale che colloca e classifica un individuo all’interno della società. Se il mercato del lavoro garantisse stabilità e un equo guadagno eliminerebbe il ricatto economico che la camorra impone ai propri seguaci, portandola lentamente all’estinzione.

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