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Referendum istituzionale: il ‘NI’ della Cei

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<strong>Sul referendum istituzionale la conferenza episcopale appare divisa e confusa proprio come il Paese: né a favore del Sì né a favore del No.

La Chiesa divisa e il fronte del No Massimo Franco

La Cei sembra attenta alle ragioni del governo, ma stanno aumentando i contrari alla modifica della Costituzione

Non ci sono pronunciamenti ufficiali, sebbene finora sia prevalsa la lettura di una Cei più attenta alle ragioni del governo. E probabilmente non ci saranno: né a favore del Sì né a favore del No. Ma non solo perché la Chiesa italiana non vuole essere accusata di ingerenze nella politica. La realtà è che sul referendum istituzionale la conferenza episcopale appare divisa e confusa proprio come il Paese. Eppure, più si avvicina la data ancora nebulosa della consultazione, più affiora la preoccupazione per il modo in cui ci si arriva. E sta spuntando un «fronte del No» ecclesiastico, convinto di poter guadagnare terreno rispetto a un Sì che sembrava predominante. A pesare non è la freddezza verso Matteo Renzi e il Pd per le scelte in materia di politica familiare e in economia, anche se una scia di incomprensione e di diffidenza è rimasta. Sono i contenuti dei quesiti referendari ad accentuare l’ostilità di alcuni settori dell’episcopato e del mondo cattolico. Con la Costituzione come fortino da difendere, e il sospetto che la vicenda sfiori anche lo scontro dentro la Cei.

Il Vaticano osserva molto da lontano: tanto più con papa Francescodeterminato a tenere le distanze da qualunque commistione con le vicende italiane. La posizione della Santa Sede è espressa da una persona vicina al Pontefice. E ricalca in buona misura quella misurata assunta dai vertici delle istituzioni italiane. «Non succederà nulla di tragico, né se vince il Sì né in caso contrario. Non si può assecondare chi ritiene sia travolta la democrazia se passa la riforma, né che si va al disastro se Renzi viene battuto. Non succederà nulla né in un caso né nell’altro», si fa presente. «Ci terremo a mille miglia da questa diatriba, anche perché non tocca direttamente gli interessi della Chiesa. Per questo, non pronunciarsi è saggio e doveroso». Ma se si esce dalle mura vaticane, gli umori sono diversi. E si toccano con mano. Sul referendum si scarica l’ortodossia costituzionale di alcune aree dell’episcopato; e si mescola o si aggiunge ai malumori da delusione verso il governo.

«Un tempo per i cattolici esisteva il dogma dell’unità. Ora sembra prevalere quello della disunità», fotografa la situazione con un’iperbole uno dei conoscitori più profondi dell’Italia religiosa. Al di là di questa «disunità», nelle parrocchie e in alcuni settori dell’associazionismo riemerge con prepotenza una sorta di «catto-grillismo», antigovernativo e ostile a un Paese riplasmato dal Sì. «D’altronde, la Carta fondamentale non è una leggetta qualunque. E il referendum mette in gioco qualcosa che va al di là di un governo e di un premier: la democrazia in Italia», arriva a dire un influente cardinale italiano. «Registriamo gli ottimi propositi di velocizzare le leggi e di risparmiare soldi. Ma se il prezzo da pagare è una concentrazione di potere impressionante, la risposta è no: il prezzo è troppo alto». È una tesi che raccoglie consensi tutt’altro che unanimi, ma di certo non è affatto isolata.

Sulla stampa cattolica finora si è colta una cauta preferenza per le riforme proposte da Palazzo Chigi. Andando oltre l’ufficiosità, tuttavia, emerge una realtà più frastagliata, e a tratti ostile alla strategia e agli obiettivi del governo. È indicativa la prudenza di quanti sono indicati come fautori del Sì. Quando si chiede loro quale sia l’orientamento della Cei, si frena: «Non ci sono stati pronunciamenti ufficiali»: quasi si tema che schierarsi esplicitamente col governo possa provocare una spaccatura interna. La diplomazia della cautela anonima, e quella dell’attacco ai quesiti referendari, pure anonima, fanno pensare. È come se i sostenitori ecclesiastici del Sì captassero una fronda in incubazione: in parte, una coda dei contrasti tra presidenza della Cei, e cioè il cardinale Angelo Bagnasco, e il segretario, monsignor Nunzio Galantino.

Gli elementi che alimentano i dubbi nei confronti del referendum sono diversi. Il primo è di metodo. Ad alcuni non sono piaciuti il modo in cui il premier ha difeso inizialmente la sua riforma elettorale, l’Italicum, sostenendo che era intoccabile; e poi la rapidità con la quale si è offerto di modificarla in cambio di un atteggiamento diverso degli avversari, in testa la minoranza del Pd, sul referendum costituzionale. «Scambiare l’appoggio al referendum con il sistema elettorale è scandaloso», avverte un cardinale: una critica che però non può essere riferita solo a Renzi ma va estesa ai suoi avversari tra i Dem. «Né bisogna avere paura della minaccia di una crisi di governo: perfino da noi si dice che morto un Papa se ne fa un altro». In realtà, il 2013 insegna che se ne fa un altro anche in caso di dimissioni, dopo quelle di Benedetto XVI.

Inoltre, viene giudicato semplicistico lo schema secondo il quale «chi dice Sì guarderebbe avanti, chi è per il No sarebbe retrogrado, oscurantista e innamorato del potere. Così non si informa l’opinione pubblica, mentre è essenziale che sappia su che cosa è chiamata a votare». In realtà, come si fa notare in Vaticano, anche gli anti-renziani che esagerano i pericoli per la democrazia fanno propaganda. Il secondo motivo di irritazione è il coro internazionale che sostiene Renzi. Fra alcuni esponenti della Cei, l’appoggio martellante al Sì di istituzioni finanziarie e governi esteri ha creato sconcerto, se non fastidio: sebbene il tema degli effetti di una bocciatura non possa essere eluso. Queste intrusioni vengono considerate figlie come minimo di un’analisi superficiale, con una eventuale sconfitta governativa tutta da vedere. È un approccio sorprendente, nella sua radicalità. Nel «se ne stessero a casa loro!», rivolto a mo’ di sfogo da un cardinale a quanti appoggiano il referendum all’estero e preconizzano che altrimenti l’Italia colerebbe a picco, si colgono echi simili a quelli delle forze d’opposizione.

Se questi sono gli umori, Renzi e la sua cerchia devono sapere di avere un altro avversario da fronteggiare; e più insidioso e potente della minoranza del Pd. Inutile cercare conferma, ma qualcuno ha notato che in alcune omelie estive il cardinale Bagnasco, parlando di Europa, ha accennato alla necessità di saper distinguere tra democrazie e regimi. Ebbene, più di uno ci ha visto un riferimento indiretto alla battaglia referendaria in atto in Italia. Non solo. Ha sorpreso la partecipazione di Dino Boffo, ex direttore di Avvenire e di Tv Duemila, molto vicino al più «politico» degli ex presidenti della Cei, Camillo Ruini, alla riunione dei sostenitori del No promossa di recente dal senatore Gaetano Quagliariello. In più, da mesi uno dei protagonisti del Family Day, Massimo Galdolfini, gira l’Italia attaccando il Sì. Dà seguito alla minaccia di «farla pagare» al premier per le leggi sulle unioni civili: operazione di cui è evidente la strumentalità.

L’impressione è che queste iniziative confermino un fermento nel mondo cattolico e in quello ecclesiastico, frutto di contrasti vecchi e nuovi; e di un giudizio divergente sulla Costituzione e sul futuro politico: se n’è avuta un’eco recente nelle prese di posizione contraddittorie tra Cei e Vaticano sul pasticcio del Campidoglio a guida Cinque Stelle. La domanda da farsi è se questi contrasti emergeranno nelle prossime settimane anche pubblicamente, o rimarranno confinati nelle pieghe di un conflitto sordo e spesso opaco. Si parla di cardinali e vescovi italiani di peso, pronti a fare sentire la propria voce: a costo anche di esprimere opinioni discordanti. Ma ormai nel «mondo cattolico largo», come viene definito quello che va oltre le organizzazioni e le associazioni, a prevalere è un certo disorientamento. Prevale un disincanto verso i partiti che inserisce un’incognita in più anche sull’esito del referendum istituzionale.

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