Camorra: inizia il processo ai boss stabiesi

Estorsioni fino a 200mila euro, tra il 2006 e il 2017, a processo i boss dei clan stabiesi, oggi l’udienza preliminare.

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Estorsioni fino a 200mila euro, tra il 2006 e il 2017, a processo i boss dei clan stabiesi, oggi l’udienza preliminare.

Grazie alle rivelazioni dei collaboratori di giustizia la DDA ha ricostruito decine di episodi estorsivi commessi tra il 2006 e il 2017.

Alla sbarra sono finite 22 persone, tra cui figure apicali dei clan D’Alessandro e Cesarano.

Dagli atti emergono estorsioni fino a 200mila euro, minacce per gli appalti, pestaggi, bombe e aziende intestate ai prestanome. Il tutto per un totale di ventiquattro capi di imputazione.

In questo affare sarebbe coinvolto anche un minorenne, accusato di aver partecipato ad una richiesta di pizzo di 5mila euro ai danni di uno degli imprenditori vittime del sodalizio di Scanzano.

Oltre ai nomi delle ditte schiave della legge del racket, spuntano 2 aziende edili che Liberato Paturzo, l’imprenditore di riferimento dei D’Alessandro, avrebbe provato ad intestare ad altri soggetti per sfuggire al rischio di possibili sequestri.

Vivicentro già vi aveva parlato della piaga del racket imposta dalla camorra a Castellammare (clicca leggi qui l’articolo)

I super indagati

TERESA MARTONE

Sulla vedova del padrino Michele D’Alessandro pende una condanna in Appello a 4 anni per estorsione aggravata dal metodo mafioso, scaturita dal processo Olimpo.

Alla vedova viene contestato un nuovo episodio estorsivo ai danni di un imprenditore stabiese.

A raccontarlo è il super pentito Pasquale Rapicano.

L’ex killer nei suoi racconti fa riferimento ad un episodio del 2011: lui insieme ad un complice avrebbero estorto 10mila euro ad una ditta stabiese che negli anni è riuscita ad aggiudicarsi diverse commesse dal colosso friulano.

La cifra sarebbe stata consegnata in contanti dopo 4 giorni dalla richiesta e suddivisa tra i 2 esecutori dell’estorsione e Teresa Martone.

Da qui l’ordine, da parte della vedova, dopo qualche giorno, di lasciar in pace la ditta. Infatti secondo l’Antimafia, l’imprenditore stabiese per evitare ulteriori richieste estorsive avrebbe cominciato a garantire un mantenimento economico per la famiglia di Scanzano.

Attualmente Teresa Martone sta scontando l’esilio fuori regione imposto dalla Corte D’Appello di Napoli.

VINCENZO D’ALESSANDRO

Il figlio di Michele D’Alessandro è coinvolto anche in questo procedimento. È da poco tornato libero dopo aver scontato una condanna di 10 anni.

Secondo le parole di Rapicano, Vincenzo, dopo la scarcerazione, avrebbe ripreso in mano le redini della cosca e perciò avrebbe anche il compito di raccogliere i proventi delle estorsioni. Infatti il super pentito afferma:

“Attualmente la persona a cui è affidato il compito di raccogliere i soldi provenienti dalle estorsioni è Vincenzo D’Alessandro. È lui che si occupa della divisione dei soldi tra i fratelli e i cugini”.

Gli altri affiliati coinvolti vicini ai D’Alessandro sono i 2 boss tornati liberi nel 2022: Pasquale D’Alessandro e Paolo Carolei. ( Clicca e Leggi qui i 2 articoli sulla panoramica della camorra stabiese  e sulla scarcerazione di PASQUALE D’ALESSANDRO).

È coinvolto anche il boss Sergio Mosca, attualmente in carcere; Giovanni Schettino, Vincenzo Di Vuolo, Luciano Verdoliva, Michele Carolei e Gaetano Vitale sono indagati in quanto, per la DDA, sarebbero gli esattori del pizzo per conto dei D’Alessandro.

LIBERATO PATURZO

Per la DDA, Liberato Paturzo, detto cocò, è l’imprenditore di riferimento per la cosca di Scanzano, e al quale sono riconducibili 2 aziende di costruzioni che avrebbe provato ad intestare a Liberato Esposito e Carmela Ruocco (anche loro indagati).

In una delle ditte riconducibili alla sua persona figurava come dipendente Antonio Rossetti, alias o’Guappon, ritenuto tra le figure apicali della cosca stabiese e condannato a 20 anni per il reato di spaccio e traffico di droga.  Infatti le sue assunzioni nella ditta riconducibile al Paturzo e ad altre 2 ditte di imprenditori compiacenti al sistema camorristico sono puramente fittizie: grazie al contratto di lavoro e alla busta paga che ne consegue, o’Guappon, riusciva a giustificare il suo tenore di vita e a proteggere dal fisco i beni mobili e immobili acquistati con il denaro sporco provenienti da attività illecite.

 

I CESARANO COINVOLTI

Spicca il nome di Nicola Esposito, alias o’Mostro, erede di Ferdinando Cesarano per il comando del sodalizio di Ponte Persica. E’ In cella dal 2014, attualmente al 41 bis e coinvolto in un accusa di usura. Il fatto risalirebbe al 2011, quando un albergatore stabiese avrebbe chiesto al clan un prestito di 550mila euro: la vittima avrebbe dovuto versare ogni mese gli interessi pari al 10% del capitale, ossia 5500 euro ogni 30 giorni per 9 anni. Il vero obiettivo del boss sarebbe stato di mettere le mani sull’impresa trasformandola in un nuovo tassello dell’impero economico del clan.

Per lui è stata chiesta una condanna a 9 anni.

Gli altri indagati riconducibili alla cosca di Ponte Persica sono Giovanni Cesarano, Aldo Vispini, Luca Salvatore Carrano, in quanto, per la DDA, esattori del pizzo.

Nell’inchiesta sono coinvolti anche tre collaboratori di giustizia: Renato Cavaliere, Salvatore Belviso e Pasquale Rapicano.

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a cura di De Feo Michele / Redazione Campania

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